L’attuale conflitto tra “Oriente” e “Occidente”: blocchi geopolitici alternativi o complementari?

di Guido Vignelli

Il confuso panorama della globalizzazione nella quale stiamo vivendo sembra dominato dal conflitto in corso tra il blocco geopolitico dei “regimi despotici”, erroneamente qualificato come orientale, e quello dei “regimi democratici”, erroneamente qualificato come occidentale.

Questo conflitto sembra mettere in crisi le categorie interpretative finora usate per analizzare la situazione globale e prevedere dove ci sta conducendo il processo rivoluzionario. Di conseguenza, l’opinione pubblica benpensante, disorientata dalla capillare propaganda mass-mediatica, erroneamente identifica l’Occidente con la civiltà cristiana o l’Oriente col mondo comunista, per cui tende a schierarsi per l’uno o per l’altro dei contendenti [1].

Eppure, l’attuale situazione geopolitica può essere chiarita se, applicando vecchie categorie alchemiche alla nuova “ingegneria sociale”, interpretiamo il conflitto in corso come lo scontro tra due tipiche fazioni interne alla Rivoluzione universale, quella distruttiva e quella costruttiva, siano esse alternative o rivali o complementari tra loro.

La prima fazione, descrivibile come la “mano sinistra” dell’agente sovversivo, s’impegna nel facile ruolo di distruggere l’ordine tradizionale per sgombrare la strada all’avvento di quello rivoluzionario, svolgendo il ruolo alchemico di solvere, ossia di trarre il caos dall’ordine (“chaos ab ordo”). La seconda fazione, descrivibile come la “mano destra” dell’agente sovversivo, s’impegna nel difficile ruolo di costruire l’ordine rivoluzionario sulle macerie di quello tradizionale, svolgendo il ruolo alchemico di coagulare, ossia di trarre l’ordine dal caos (“ordo ab chaos”). Si badi però a non intendere le parole sinistra e destra nel loro senso politico, perché una fazione sinistrorsa può diventare retrograda e una destrorsa può diventare avanzata.

In teoria, la fazione distruttiva sarebbe funzionale a quella costruttiva, perché questa dovrebbe mantenere le strabilianti promesse, fatte dalla Rivoluzione ai popoli sottomessi, di condurli a una sorta di nuovo Paradiso Terrestre che risanerà tutti i mali e risolverà tutte le contraddizioni – compresa quella tra l’uomo e Dio – che finora hanno lacerano la natura e la storia. Si tratta del vecchio progetto di costruire una società laicista, razionalistica e tecnocratica che mira a preparare l’avvento del “novus ordo saeclorum”, ossia della “Repubblica Universale”. Questo progetto costruttivo è sembrato realizzarsi durante il periodo storico che va dalla Rivoluzione Francese a quella sovietica.

Lo scontro tra la liberté e l’égalité in funzione della fraternité

Tuttavia, gli occulti “alchimisti sociali” ormai non riescono più a far credere alla popolazione che manterrà le grandi promesse fattele da secoli. Negli ultimi tempi, il loro progetto costruttivo, pur continuando a ottenere grandi vittorie, ha anche subìto arresti, deviazioni e arretramenti che lo hanno reso incerto, insicuro e declinante. Lo hanno dimostrato i fallimenti prima del progetto sovietico, poi di quello “terzomondista” e oggi di quello europeista, ma anche quello di sottomettere la Chiesa sta dando solo tardivi e incerti risultati.

Questi insuccessi sono dovuti al fatto che la costruzione dell’ordine rivoluzionario viene ostacolata non solo dalle tenaci resistenze (naturali e soprannaturali) sollevate dalle popolazioni non ancora sottomesse ai poteri sovversivi, ma anche dal dilagare dei fattori di disordine e di dissoluzione suscitati e manipolati da quegli stessi poteri.

Allora, negli ultimi tempi, la fazione distruttiva della Rivoluzione sta tentando di sostituirsi a quella costruttiva nella guida del processo sovversivo, per fargli compiere un “salto di qualità” capace di superare la situazione di stallo Infatti, la fazione distruttiva sta imponendo un nuovo progetto – di carattere ecologista, irrazionalista e anarchico – che tenta di alimentare i fattori dissolutivi fino al parossismo, anche se ciò rinvia a un problematico futuro la costruzione della “nuova società”. L’esplosione del Sessantotto fu l’avvio di questo esperimento rivoluzionario, tutt’oggi in corso perché riuscito solo in parte e rimasto incompiuto.

Probabilmente, gli “alchimisti sociali” all’opera sperano che l’attuale scontro tra il fattore distruttivo della liberté liberale e quello costruttivo della égalité socialista non impedirà più l’avvento della fraternité globalista ma anzi lo favorirà. Il risolutivo regime della “solidarietà fraterna” dovrà suscitare tutta la licenza necessaria affinché le passioni e le forze sovversive riescano a dissolvere ogni ordine residuo, ma dovrà anche imporre tutta la repressione necessaria affinché le sopravvissute forze sane non sin approfittino della licenza per restaurare condizioni sociali che violino l’eguaglianza faticosamente ottenuta.

Recentemente, alcuni ideologi rivoluzionari avanzati – come l’israeliano Noah Yuval Harari – hanno auspicato che l’avvento della fraternité sia realizzato da un regime che imponga una “transizione ecologica” capace di realizzare una fusione tra gli uomini e gli altri esseri viventi che faccia evolvere il cosmo dal livello terreno a quello celeste, ossia divino [2].

L’aspetto più inquietante di questa transizione consiste nel fatto che alcuni ingegneri sociali influenti nel mondo politico – come i sociologi Edgar Morin e Michel Maffesoli – sostengono che, per passare dal livello umano a quello sovrumano, bisogna affidarsi alla guida di quel “puro spirito, demiurgo e re del mondo” che gl’ideologi rivoluzionari del XIX secolo (Hegel, Marx, Comte) hanno identificato con Satana, inteso come agente di progresso e di liberazione dell’umanità da ogni forma di “superstizione religiosa” e di “tirannia politica” [3].

L’attuale scontro tra “Oriente” e “Occidente”

Tuttavia, i capi rivoluzionari stanno facendo oggi molta fatica a far accettare ai loro stessi seguaci un così netto e rapido rovesciamento di strategia che, oltre a eludere il mantenimento delle grandi promesse sociali fatte ai popoli, presuppone una diversa concezione del progetto rivoluzionario e un suo cambio nella sua guida. Pertanto, l’attuale crisi geopolitica può essere spiegata come effetto dello scontro tra i due opposti fronti rivoluzionari prima delineati.

Da una parte, vediamo schierarsi una formazione geopolitica composta da molti Governi “democratici”, impropriamente posizionati nel quadro geopolitico “occidentale”: l’Unione Europea, gli Stati Uniti d’America, l’Australia e altri. Essi pensano che le conquiste rivoluzionarie finora ottenute (come i cosiddetti “diritti civili”) siano rimaste incompiute e instabili, per cui debbano essere salvate rilanciando il processo rivoluzionario e spingendolo fino alle sue ultime conseguenze, per quanto distruttive siano. Secondo loro, la “nuova società” può nascere solo dall’“uomo nuovo”, per cui le oggettive esigenze della collettività devono sempre essere sottomesse alle soggettive pretese individuali.

A questo scopo, i governi “democratici” favoriscono il dilagare nel mondo dei nuovi movimenti sovversivi “occidentali” (come quelli ecologisti, immigrazionisti e woke), perché li valutano come una sorta di droga che permetterà alle forze rivoluzionarie di slanciarsi verso la finale meta anarchica, sfondando ogni resistenza fatta da “sistemi chiusi”, “regimi despotici” e “Chiese retrograde” che – per nostalgia della passata società della certezza, della sicurezza e del benessere – si stanno attardando a una fase superata del processo rivoluzionario [4].

Pertanto, questo fronte “occidentale” composto dai governi “democratici” può essere definito come un fattore estremista, aggressivo e destabilizzante, corrispondente alla “mano sinistra” della Rivoluzione globale, secondo la quale bisogna mettere in crisi e distruggere piuttosto che difendere e costruire, perché il movimento vale più del suo risultato.

Dalla parte opposta, vediamo schiararsi una formazione geopolitica composta da molti governi “despotici”, impropriamente posizionati nel quadro geopolitico “orientale”: ossia la Russia, la Cina, l’India, gli Stati islamici e alcuni Stati sudamericani. Essi pensano che dalla nuova fase distruttiva del processo rivoluzionario non apra la strada a nuove conquiste sociali, ma anzi rischi di mettere in pericolo quelle ottenute in passato. Secondo loro, l’“uomo nuovo” può nascere solo dalla “nuova società”, per cui le soggettive pretese dell’individuo devono sempre essere sottomesse alle oggettive esigenze della collettività.

Di conseguenza, questo fronte “orientale” condanna e reprime come arbitrari e retrivi i citati movimenti fanatici e anarcoidi “occidentali”, favoriti da irresponsabili governi “democratici”, perché sono manifestazione di quella “malattia infantile dell’estremismo” – a suo tempo denunciata da Lenin – che rischia di travolgere il sistema rivoluzionario in un vortice di eccessi deliranti e dissolutori.

Pertanto, questo fronte “orientale” composto dai governi “dispotici” può essere considerato come un fattore di moderazione e di contenimento, corrispondente alla “mano destra” della Rivoluzione globale, secondo la quale bisogna costruire e difendere piuttosto che distruggere e mettere in pericolo, perché il risultato ottenuto vale più del movimento.

Appare ora chiaro che il conflitto in corso sta avvenendo non tra una fazione sovversiva e una conservatrice, ma tra due fazioni rivali interne al potere rivoluzionario globale, ciascuna delle quali si propone come fattore che deve bilanciare l’influenza geopolitica dell’altra.

Conflitto geopolitico, di potere o ideologico?

L’ingannevole propaganda diffusa da entrambe le fazioni ci rende difficile capire la vera origine e portata del loro conflitto. Proviamo comunque a fare qualche ipotesi.

Prima ipotesi. Il conflitto in corso oppone due blocchi mondiali che stanno ridisegnando le loro aree d’influenza e di azione; il terremoto che ci scuote è prodotto dall’attrito tra falde geopolitiche rivali che sta accelerando il processo di globalizzazione da tempo in atto. Se così fosse, tutto potrebbe finire domani con una pace concordata priva di gravi conseguenze.

Seconda ipotesi. Il conflitto in corso non è solo geopolitico ma coinvolge anche due fazioni gemelle e rivali, che stanno litigando sul ruolo da svolgere nel processo rivoluzionario, sul potere da ottenervi e sui mezzi da usarvi. Se così fosse, tutto potrebbe ridursi al confronto strategico tra una tesi e un’antitesi che verrà risolto da una sintesi riconciliatrice che ridisegnerà i ruoli delle fazioni rivali.

Terza ipotesi. Il conflitto in corso non riguarda solo ruoli e mezzi, ma anche il percorso da fare e la meta da raggiungere. Infatti, la fazione “occidentale” proclama il primato della liberté sull’égalité, dei mezzi sul fine, dell’azione sul risultato, della distruzione sulla costruzione; al rovescio, la fazione “orientale” proclama il primato dell’égalité sulla liberté, del fine sui mezzi, del risultato sull’azione, della costruzione sulla distruzione. Di conseguenza, questa rivalità tra liberté ed égalité impedisce ch’esse, riconciliandosi, instaurino insieme il regime di fraternité.

Se così fosse, il conflitto in corso avrebbe radici più profonde e causerebbe conseguenze più vaste di quanto si crede, perché metterebbe in crisi l’intero processo rivoluzionario e anzi la concezione stessa della Rivoluzione. Di conseguenza, il conflitto potrebbe diventare una “guerra civile mondiale” capace di far “esplodere le contraddizioni” del sistema globale e di gettarci nel caos.

Un’occasione storica da cogliere

Se quest’analisi è giusta, siccome il Vangelo ammonisce che “ogni regno in sé diviso è destinato a crollare”, possiamo ipotizzare che oggi la Rivoluzione non sta tentando uno dei tanti voltafaccia con i quali disorientare i propri nemici, né sta subendo una delle sue solite “crisi di crescita”; essa sta piuttosto subendo una crisi senile dovuta a una sorta di mutazione genetica che può condurla alla dissoluzione e alla morte.

Lungo l’intero XX secolo, l’intero arcobaleno ideologico – compreso il colore cristiano progressista – diede per scontato che il sistema di potere rivoluzionario fosse “storicamente inevitabile” e quindi “politicamente insuperabile”. Per contro, fin dagli anni 1970, due noti protagonisti della cultura e dell’apostolato cattolico, Augusto Del Noce e Plinio Corrêa de Oliveira, previdero l’imminente fallimento o il suicidio della Rivoluzione, poi avvenuti col crollo del regime comunista e con la crisi della ideologia liberale. Essi previdero pure che tutto ciò avrebbe potuto aprire la strada alla rinascita della cultura e della politica cristiane mediante la formazione di élites tradizionali analoghe all’antica nobiltà europea [5].

Se ciò non è ancora avvenuto, non è tanto a causa della residua forza rivoluzionaria, quanto per colpa della debolezza della classe dirigente cristiana, specialmente di quella ecclesiastica. Dapprima, essa ha tentato di rabberciare il traditore e fallimentare ambiente neo-democristiano, poi ha rinunciato a ogni prospettiva di riscossa, abbandonando i cittadini cattolici al dominio dell’unica classe politica superstite: quella radicale e globalista [6].

Tuttavia, questo drammatico sviluppo della situazione ci conferma che oggi la Divina Provvidenza sta offrendo alle residue forze tradizionali un’altra storica occasione per uscire dalla rassegnazione, superare le divisioni interne e avviare una risolutiva riscossa cristiana cattolica che permetterà di vincere le forze rivoluzionarie. Se il mondo cattolico rinuncerà a questa grande occasione nel timore di essere perseguitati e preferirà rifugiarsi in nuove catacombe rimboccandosi lapide e facendo finta di essere morto, commetterà una grave offesa alla Divina Provvidenza che non ci risparmierà dalla meritata punizione e per giunta rinvierà ulteriormente la promessa vittoria della Chiesa

_________________________

[1] Un opportuno chiarimento ci è fornito dal recente libro, curato da Massimo Viglione, intitolato Occidente e occidentalismo, tra realtà storica e ideologia (Il Maniero del Mirto, Roma 2022).

[2] Cfr. N. Y. Harari, Homo deus. Una breve storia del domani, Garzanti, Milano 2016.

[3] Cfr. ad es. M. Borghesi, L’età dello Spirito in Hegel, Studium, Roma 1989.

[4] Bisogna notare che papa Francesco ha espresso una certa simpatia per questi movimenti (cfr. Fratelli tutti, enciclica del 3-10-2020, cap. III).

[5] Cfr. ad es. A. Del Noce, Il suicidio della rivoluzione, Rusconi, Milano 1978; P. Corrêa de Oliveira, Nobiltà ed élites tradizionali analoghe, Marzorati, Milano 1993.

[6] Cfr. la denuncia fatta da Silvio Brachetta, La città fondata in Dio, Cantagalli, Siena 2021, cap. IV

Fonte: vanthuanobservatory.com

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