Cronache dal clero / Caro Aldo Maria, ti scrivo. Ancora su preti e Comunione

di padre Mario Begio

Caro Aldo Maria,

continuiamo a parlare di preti che fanno la Comunione. Sei pronto?

L’altra volta abbiamo ricordato quali sono le regole cui il clero dovrebbe attenersi. Oggi provo a dire cosa vedo attorno a me, dopo tanti anni di esperienza sul campo. Cosa vedo e cosa non vedo. Ovviamente sono impressioni generiche, cui si oppongono tante eccezioni lodevoli. Noto però che le eccezioni lodevoli sono spesso fatte oggetto di scherno o di emarginazione.

Tanto per cominciare, non vedo, caro Aldo Maria, i preti pregare prima della Messa e non li vedo fare ringraziamento dopo la Messa. Tanti si fiondano nelle sagrestie e si vestono degli abiti sacri in quattro e quattr’otto. Non li vedo pregare mentre si preparano. Troppo spesso vedo che decidono loro quali paramenti indossare e quali no: hanno capito che sono chiamati a impersonare Cristo nella liturgia, anche tramite il vestire? E poi, finito il rito, devono correre ad aprire e chiudere porte. Però non capisco come mai se da una parte sono tanto affaccendati da non poter pregare, dall’altra il mormorio principale dei fedeli è che i loro preti non si fermano ad ascoltarli.

E sia. Stiamo sulla Comunione. Non so bene da dove partire.

Dal fatto che in molte sagrestie si trovano lini così zozzi che avrei timore ad appoggiarci sopra non dico l’Eucaristia ma anche solo il pane del pranzo? O dal fatto che prima di iniziare la Messa devo controllare che nella pisside e nei vasi sacri non siano rimasti frammenti di Ostie consacrate dalle precedenti celebrazioni?

Questi però forse sono eccessi, non rarità ma eccessi.

Guardiamo alle mani. Fateci caso, potete vederlo tutti con grande facilità. Dove mette le mani il prete? Cosa tocca nel corso della Messa? Soprattutto prima e dopo aver toccato la Divina Eucaristia. Anticamente il sacerdote, lo dicevamo, teneva alcune dita giunte (pollice e indice) in modo da afferrare con esse la particola e muovere con le altre dita gli altri oggetti.

Vedo preti che alla consacrazione alzano le specie stando al di fuori della superficie dell’altare: in tal caso i frammenti cadono tutti in terra.

Vedo preti che, dopo aver toccato l’Eucaristia, spostano libri, oggetti, e chi più ne ha più ne metta. Non li vedo praticamente mai controllare di non avere frammenti sui polpastrelli: solo io ne trovo in continuazione sui miei? Boh.

E poi pissidi messe fuori dal corporale e corporali che vengono sbattuti prima e dopo l’uso, esattamente come si fa con la tovaglia a fine pranzo. Ma il senso del corporale è custodire i frammenti, altrimenti per cosa lo si usa? E tutti quei frammenti dove vanno?

Non tocco la questione dell’igienizzante, col quale abbiamo irrispettosamente disciolto i frammenti eucaristici nell’amuchina. E che dire dei preti che, terminata la Comunione al popolo, vanno al posto senza astergersi le dita?

E le pissidi colme di ostie travasate alla bell’e meglio, magari pigiando il contenuto con il palmo della mano, ovviamente senza più purificarla?

E la quantità delle sacre particole che negli ultimi anni abbiamo distribuito con le pinzette? E quante sono cadute in terra? E i preti almeno purificavano il suolo o no?

Caro Aldo Maria, ci lamentiamo del popolo? Con un clero simile, il popolo come può capire la sacralità dell’Eucaristia e la devozione che a essa dobbiamo tributare?

Stiamo parlando non di zotici, ma di sacerdoti spesso raffinati quando si tratta di vestire (generalmente non abiti ecclesiastici), di tecnologia e di interessi personali. E allora chiedo: come mai non si accorgono della trascuratezza cui condannano l’Eucaristia?

Chiese chiuse, mascherine e gel hanno dato come una mazzata finale a questo andazzo. Mi sembra che negli ultimi mesi il pressapochismo eucaristico sia come esploso.

Ed ecco la mia lettura, non molto originale: l’Eucaristia ha a che fare con la coscienza. E tutti noi sappiamo che la coscienza funziona a scalini. Il bambino che non ha mai detto parolacce si vergogna a sentirne. Se inizia a dirne qualcuna, o subito si interrompe o facilmente finisce col prenderne il vizio. E di qui la china può portarlo a passi ulteriori e peggiori. Alla fine del processo, l’adulto abituato alla volgarità difficilmente recede e nemmeno si accorge di essere divenuto persona scurrile. Se poi attorno a sé vede solo esemplari simili, difficilmente si interroga sulla propria onestà.

Ecco, la pandemia ha fatto fare il grande passo a tanti sacerdoti, ha dato una bella spinta al processo e ci ha scaraventati giù per la china. Quarant’anni di sperimentazioni hanno preparato il terreno, lasciando però ancora alcuni titubanti e un minimo di verecondia nei più; tre anni di pandemia hanno rotto l’argine. E ora che la coscienza è sprofondata e si è perso il grande valore del Sacramento Eucaristico, sarà molto difficile tornare indietro.

Facilmente il prete medio, che massacra ritualmente le sacre specie, non accetterà e non si riconoscerà nemmeno in queste mie righe. Serve ben altro per ripulire la sua coscienza.

Bene. Parecchi parroci, cancellieri e vescovi, cui per lo più ci rivolgiamo per rivendicare i nostri diritti eucaristici, stanno tutti a questo livello di sordità sacramentale, di coscienza eucaristica ottenebrata. Come potete sperare che vi ascoltino?

Operavano un correttivo le cappellanie e le parrocchie di rito antico. Ma mi pare chiaro cosa pensi Roma di tale restaurazione eucaristica.

Che altro potrei mai aggiungere? Qualche cenno sull’eccidio rituale delle concelebrazioni? Risparmiamocelo, dai. E teniamo duro, il Signore userà anche la nostra sofferenza per ristabilire la piena dignità che compete al suo Corpo sacramentato.

E mi fermo qui. Per oggi.

19.continua

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