Lettera dalla Francia / La rinascita della Chiesa e i nuovi tradizionalisti. Ma i vescovi dove sono?

di Claude Barthe

Il risanamento della Chiesa, capace di strapparla a un «adeguamento» mortifero alla società moderna, necessita di vescovi che vogliano realizzarlo. Ma qualsiasi riflessione relativa a una riforma della Chiesa inciampa contro questo dato di fatto ostinato: pur essendoci «buoni vescovi», in grado di compiere analisi corrette e di agire di conseguenza, si guardano bene dal farlo oppure lo fanno solo a metà. Bernanos non diceva forse, alla fine della sua esistenza, che ciò ch’era mancato agli uomini di Chiesa all’interno della società moderna non fu la carità, bensì la forza? [1]

Tuttavia, disperare sarebbe peccare. Aiutandoci con i dati tratti da Vincent Herbinet in Les espaces du catholicisme français contemporain [2], e interpretandoli, vorremmo evidenziare due punti positivi:

  1. Un cambiamento è in corso poco a poco nel panorama diocesano, il che apre la possibilità di un’azione riformatrice [3];
  2. Possono esservi vescovi differenti, che prendono spunto da questa nuova situazione per avviare una riforma.

Precisiamo che i dati di Vincent Herbinet, su cui si basano le nostre riflessioni, sono francesi, ma sembrano potersi estendere, senza dubbio con diversi aggiustamenti, a tutta la Chiesa.

Un cambiamento nel paesaggio diocesano francese

Il panorama diocesano si è progressivamente trasformato dopo gli anni Settanta del secolo scorso. Innanzi tutto perché il cattolicesimo è divenuto minoritario nella società: quello rurale sta morendo e quello urbano, malgrado in apparenza viva un contesto più favorevole, è esangue. In questa società cattolica numericamente molto ristretta, il «progressismo» non ha più successo. Ad esempio, l’esperienza «progressista» delle Adap, le assemblee domenicali in assenza del presbitero, è praticamente svanita. O ancora, gli auspici del Cammino sinodale tedesco, sintesi del pensiero cattolico «di sinistra», sono completamente sfasati rispetto alle aspettative di quanto resta del popolo cristiano, almeno in Francia: un questionario intitolato Sinodo sulla sinodalità rivela che il 92,9% degli intervistati si aspetta prioritariamente un sacerdote che dispensi i sacramenti, l’87,6% è favorevole al celibato sacerdotale, il 70% rimprovera alla Chiesa di «non farsi carico delle proprie opinioni e di tacere la Verità per paura di scandalizzare», il 74% si aspetta che promuova «un modello bioetico in grado di garantire il rispetto integrale della persona umana, dal suo concepimento sino alla morte naturale», il 70% ch’essa «difenda la famiglia nella sua forma tradizionale».

Herbinet avanza «l’ipotesi che una militanza cattolica più visibile si stia profilando d’ora in avanti rispeto alle problematiche familiari, etiche e dottrinali» (pag. 96). Le giovani generazioni di cattolici praticanti sono chiaramente impegnate con un approccio che attesta più che in passato la loro qualifica di cattolici. L’autore nota un certo numero di fenomeni caratteristici e in particolare:

– L’istituzione dell’adorazione perpetua del Santissimo Sacramento, sostenuta soprattutto dalla Comunità dell’Emmanuele, con candele, incenso, genuflessioni e un rifiorire delle processioni del Corpus Domini per le strade degli agglomerati urbani.

– L’ascesa della «militanza pro-famiglia» con una generazione molto attiva di persone sui trenta, quarant’anni, quella dell’Afc, in particolare delle Équipes Notre-Dame, luogo privilegiato di un nuovo incontro fra tutte le tendenze del cattolicesimo identitario.

– Una ri-cattolicizzazione di molti istituti scolastici diocesani, iniziata negli anni Novanta, che serve anche come base per i movimenti scout e per la pastorale di un «nuovo» clero identitario.

I rari giovani che ancora bussano alle porte dei seminari, provenienti dal cattolicesimo urbano, hanno per lo più una sensibilità molto classica. Molti di loro sono passati attraverso lo scoutismo (scout unitari, scout d’Europa), hanno compiuto studi superiori (ma quasi mai letterari) e scelgono il seminario à la carte. Sono però rari, generalmente isolati. Nel complesso, soprattutto nelle campagne, si ha l’impressione che la società clericale sia scomparsa.

Essa è stata in parte rimpiazzata da nuove comunità, specialmente quelle più classiche, che i sociologi qualificano come «neo-integraliste», di «un integralismo che si guarda bene, tranne in certi casi, dal condannare il desiderio moderno di libertà in quanto tale, ma che si sforza di scoraggiare l’impotenza del mondo moderno a darvi sostanza» (Danièle Hervieu-Léger, citato da V. Herbinet, pag. 220). Si può aggiungere che si guarda bene dal condannare quella modernità stile gestione aziendale che essa stessa a volte pretende di adattare all’apostolato.

Per la Comunità dell’Emmanuele si parla di realtà «neo-carismatica». Essa si è infatti allontanata dalle sue origini pentecostali, sottacendo le manifestazioni dello Spirito come il parlare nelle varie lingue, spiritualizzando gli incontri di guarigione e cancellando la carica sentimentale troppo forte propria della sua spiritualità. Ne sono usciti sei vescovi francesi e conta un centinaio di seminaristi che, dopo un anno di discernimento, iniziano i loro studi canonici a Parigi nell’ex-abbazia benedettina di La Source. Presente in una cinquantina di diocesi francesi, la Comunità dell’Emmanuele è allo stesso tempo più presente e più integrata (i suoi sacerdoti possono essere incardinati sia nelle diocesi, che se ne servono, sia nella stessa Comunità) rispetto alla Comunità di San Martino.

Quest’ultima è tuttavia la comunità la cui crescita, in seno al cattolicesimo francese, è stata più rimarchevole, come una specie di «ufo ecclesiale e sacerdotale», secondo Herbinet. Il suo seminario, fondato a Genova sotto la tutela del cardinal Siri e poi giunto in Francia, a Candé-sur-Beuvron, per stabilirsi infine a Évron, nella diocesi di Laval, è divenuto il più importante in terra di Francia (un buon centinaio di seminaristi). La Comunità di San Martino s’impianta nelle diocesi sotto forma di gruppi di almeno tre sacerdoti. Occupa uno spazio intermedio dal punto di vista ideologico, basato sulla scelta del suo fondatore, don Guérin: né Écône, né lo «spirito del Concilio». Egli l’ha spinta il più lontano possibile dal secondo polo quanto allo stile (abito talare, latino e gregoriano, altare del seminario rivolto verso il Signore, stile conservatore e «virile»), vietandosi al contempo di attraversare il Rubicone liturgico della liturgia tradizionale.

La liturgia pre-conciliare è ciò che fa la differenza, con la forza d’attrazione della galassia tradizionalista e tutto ciò che vi è connesso, vale a dire essenzialmente un catechismo vecchia maniera, ben strutturato. Ciò rende anche le sue comunità, per il momento, un mondo a parte. Il motu proprio Traditionis custodes e i testi successivi hanno cercato di accentuare tale separazione. La prosperità sacerdotale del mondo tridentino, della Fraternità San Pio X e delle Comunità «ufficiali» (Fraternità San Pietro, Istituto Cristo Re e Istituto del Buon Pastore sono le più importanti), per quanto relativa, viene sottolineata da tutti gli osservatori. L’ambiente tridentino è giovane, come nel caso della Comunità dell’Emmanuele e della Comunità di San Martino, con famiglie praticanti spesso numerose. Per la propria specificità liturgica, tale ambiente ha generato un mondo di opere proprie e specialmente una rete importante di scuole, vivaio di vocazioni, che riattivano in permanenza la militanza degli aderenti, poiché necessitano di un conseguente investimento umano (e finanziario).

Vincent Herbinet nota come le comunità tradizionaliste, quali le comunità carismatiche, si stiano evolvendo – lui parla di «neo-tradizionalisti» -, in quanto le giovani generazioni coltivano uno stile disinvolto simile a quello di altri giovani cattolici. Osserva soprattutto una porosità importante nei giovani tra i praticanti dell’Emmanuele, di San Martino e le comunità tradizionali di ogni tendenza. Le critiche che Traditionis custodes ha sollevato tra molti cattolici classici, ma non tradizionali, sono un segno di questa vicinanza. Le comunità della San Pio X e dell’Ecclesia Dei esercitano sui giovani una certa attrazione per l’aspetto strutturato di ciò che propongono: catechismi, scuole, pellegrinaggi (il 40% dei giovani che si recano al pellegrinaggio di Chartres non frequenta abitualmente le chiese e le cappelle tradizionali) e le manifestazioni militanti per la vita, il cui pubblico è sorprendentemente giovane, il che contribuisce all’amalgama.

Vincent Herbinet formula così l’ipotesi che una graduale apertura del mondo «tradizionale» sia in corso da una ventina d’anni: «La porosità tra cattolici “ordinari” e “extraordinari” si sviluppa sulla scala di una o due generazioni e [noi] pensiamo che possa essere un elemento possibile di riorganizzazione del tessuto ecclesiale e territoriale. A livello globale, la generazione dei giovani sacerdoti, tendendo a rivalorizzare l’adorazione, le confessioni, una liturgia curata, una predicazione di tipo classico e gli insegnamenti dottrinali, potrebbe infatti traghettare i cattolici più giovani (meno di 45 anni) con dei ponti secondo i riti e secondo le comunità» (pag. 276).

Possono esserci vescovi disposti a farsi carico di questa nuova situazione?

Affinché tale nuovo fattore pastorale possa far germogliare un cattolicesimo riformato, più strutturato, occorrono necessariamente pastori diversi, capaci di divenire sacerdoti riformatori. Che un certo numero di vescovi, in varia misura, non sia allineato, è cosa certa. Ma, come abbiamo detto all’inizio, il manifestarsi della loro differenza resta a oggi alquanto timido. La questione è quindi quella di sapere se dei vescovi possano concretamente mostrare una reale indipendenza rispetto al consenso della Conferenza episcopale e dei sacerdoti che li circondano e al controllo romano.

Herbinet dedica un capitolo di trenta pagine all’esame di un caso molto particolare, quello del vescovo di Fréjus-Tolone. Si tratta della vicenda di un vescovo diverso, forse in via di rimozione, poiché, dopo il divieto di procedere alle ordinazioni, una visita canonica è stata organizzata per farlo rientrare nei ranghi (come precedentemente con i vescovi di Albenga in Italia e di San Luis in Argentina). Resta il fatto che la sua esperienza corrispondeva bene alle aspettative del nuovo cattolicesimo. Monsignor Rey, proveniente dalla Comunità dell’Emmanuele, è subentrato nel 2000 a monsignor Madec, a sua volta successore di monsignor Barthe, due vescovi d’impostazione molto classica. Herbinet parla di «quarta via», né progressista né integralista e diversa anche dalla «terza via» del cardinal Lustiger negli Anni Ottanta-Novanta. I piani pastorali molto dinamici del vescovo di Fréjus-Tolone si sono susseguiti e sono stati portati a termine a ritmo sostenuto, associando una grande preoccupazione evangelizzatrice con l’utilizzo del carisma di numerose comunità. In totale, sembra che monsignor Rey abbia praticato un’accoglienza sistematica e molto pragmatica di comunità nuove, di sacerdoti classici e tradizionalisti, tutti conquistati dal suo classicismo informale. Il risultato è che il clero della diocesi è il più numeroso di Francia, di età nettamente al di sotto della media nazionale, e il seminario de la Castille è il secondo dopo quello di Parigi.

Vincent Herbinet attribuisce un’importanza decisiva al saper articolare il tutto tra classici e tradizionalisti e ne fa il punto centrale del tentativo di Rey: «Forte è l’originalità della diocesi di Fréjus-Tolone, retta dal suo vescovo atipico. A differenza del mondo tradizionalista, ancora messo al bando in certe diocesi, in cappelle spesso ai margini, con comunità di fatto poco inclini alla testimonianza verso il mondo, notiamo come le comunità Summorum Pontificum di Fréjus-Tolone ostentino questa vocazione missionaria» (pag. 188).

«Ci chiediamo perché, visti i frutti del modello tolonese – afferma ancora Herbinet – falsamente ingenuo, altre diocesi non siano ricorse a modalità di guida analoghe» (p. 202). Altri vescovi, in un contesto identico, avranno dentro di sé le risorse morali e spirituali per affrontare una crisi aperta tanto nei confronti degli uffici romani quanto nei confronti della maggior parte dei loro confratelli vescovi e di un buon numero di sacerdoti delle loro rispettive diocesi? In caso affermativo, si entrerebbe in un’altra fase della storia post-conciliare. Occorre ripeterlo: la preghiera perché Dio doni «buoni vescovi» alla sua Chiesa è oggi la più urgente.

[1] Encyclique aux Français [Enciclica ai francesi], in corso di ristampa a opera delle Edizioni de L’Homme nouveau.

[2] Gli spazi del cattolicesimo francese contemporaneo, Presses Universitaires de Rennes, 2021.

[3] Si veda Res NovaePer una vera riforma della Chiesa.

Fonte: resnovae.fr

 

 

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