Tutta (falsa) misericordia e (falsa) sinodalità, la chiesa liquida bergogliana dissolve la dottrina e la fede stessa. Intervista a don Davide Pagliarani su dieci anni devastanti

Cari amici di Duc in altum, nel pubblicare questa intervista al superiore della Fraternità sacerdotale San Pio X, don Davide Pagliarani, sento la necessità di una premessa. Vi chiedo di leggere l’intervista con lo sguardo e l’animo sgombri da pregiudiziali di tipo legalistico. Non state a lambiccarvi sulla situazione canonica della Fraternità: guardate ai contenuti. Per quanto mi riguarda, condivido pienamente l’analisi di don Pagliarani. Questo fa di me un lefebvriano? Non lo so e sinceramente la questione non mi interessa. Non so neppure se e in che in modo un laico può eventualmente diventare lefebvriano con il timbro sopra. Ciò che mi sta a cuore è la fede, e trovo che l’analisi di don Pagliarani sia una delle più lucide che si trovino in circolazione in questo momento di totale sbandamento e confusione dilagante. Tutto ciò vale anche come risposta a chi mi ha scritto esprimendo preoccupazione (nel migliore dei casi) perché ho collaborato alla realizzazione del libro Parole chiare sulla Chiesa, scritto da un sacerdote della FSSPX. L’ho fatto perché in quel libro c’è amore per la santa Chiesa, c’è rispetto della tradizione e c’è tanto buon senso. Il mio consiglio, in tutta semplicità e amicizia, è di non preoccuparvi delle etichette da appiccicare sopra le persone. Guardate alle idee.

A.M.V.

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Reverendo Padre Superiore, Papa Francesco ha recentemente celebrato i dieci del suo pontificato. Qual è, secondo lei, il punto che ha segnato particolarmente questi ultimi anni?

Dopo le ultime idee centrali ed ispiratrici che furono la misericordia, intesa come “amnistia universale”, e la nuova morale di stampo ecologista fondata sul rispetto della Terra come “casa comune del genere umano”, è innegabile che questi ultimi anni siano stati caratterizzati dall’idea della sinodalità. Non si tratta di un’idea totalmente nuova [1], ma Papa Francesco ne ha fatto l’asse portante del suo pontificato.

Si tratta di un’idea talmente onnipresente che a volte si finisce per perdere interesse verso di essa, mentre in realtà rappresenta la quintessenza di un modernismo completo e maturo. Da un punto di vista ecclesiologico, la rivoluzione sinodale dovrebbe segnare e trasformare profondamente la Chiesa nella sua struttura gerarchica, nel suo funzionamento, e soprattutto nell’insegnamento della fede.

Per quali ragioni si è arrivati al disinteresse nei confronti della sinodalità?

Si è forse vista questa questione soprattutto come un problema tedesco o, fatte le debite proporzioni, come un problema belga, e se ne è persa di vista la dimensione più universale. Certo, i tedeschi giocano un ruolo particolare nel processo sinodale, ma il problema posto è un problema romano, e quindi universale. In altri termini, riguarda l’intera Chiesa.

Come definirebbe questo processo sinodale?

Questo processo è innanzitutto una realtà concreta, più che una dottrina predefinita. È un metodo confuso, o meglio ancora una “prassi”, che è stata messa in moto senza che se ne conoscano tutti i possibili punti di arrivo. Concretamente, si tratta di una volontà determinata di far funzionare la Chiesa al contrario. La Chiesa docente non si concepisce più come depositaria di una Rivelazione che proviene da Dio e di cui è custode, ma come un gruppo di vescovi associati al Papa che è all’ascolto dei fedeli, e in particolare all’ascolto di tutte le periferie, cioè con un’attenzione particolare a quanto possono suggerire le anime più lontane. Una Chiesa dove il pastore diventa pecora e la pecora diventa pastore.

L’idea sottointesa è che Dio non si rivela attraverso i canali tradizionali che sono la Sacra Scrittura e la Tradizione, custoditi dalla gerarchia, ma attraverso “l’esperienza del popolo di Dio”. Per questo il processo sinodale è iniziato con una consultazione dei fedeli delle diocesi del mondo intero. A partire da questi dati si sono stabilite delle sintesi a livello delle conferenze episcopali, per arrivare a una prima sintesi romana pubblicata qualche mese fa.

Qual è la portata di questa idea per cui Dio si rivela e fa conoscere la sua volontà attraverso l’esperienza del popolo di Dio?

Questa idea è la base stessa di tutto l’edificio modernista. San Pio X costruisce tutta l’enciclica Pascendi a partire dalla denuncia di questa falsa idea di Rivelazione. Se, invece di riferirsi alla Sacra Scrittura e alla Tradizione, si riduce la fede a un’esperienza – prima individuale, poi comunitaria una volta condivisa – allora si apre il contenuto della fede, e per conseguenza la costituzione della Chiesa, a ogni sorta di possibili evoluzioni. Un’esperienza è per definizione legata a un momento, a un periodo: è una realtà che si produce nel tempo e nella storia e che è dunque per essenza evolutiva. Così come la vita di ciascuno di noi contiene un movimento, ed in conseguenza evolve.

Una simile fede-esperienza, destinata necessariamente a evolvere secondo le sensibilità e le necessità dei diversi momenti della storia, “si arricchisce” continuamente di nuovi contenuti, e al tempo stesso mette da parte ciò che non è più attuale. Così la fede diventa una realtà piuttosto umana, legata a contingenze sempre nuove e mutevoli, come la storia dell’umanità. Alla lunga, non resta più granché di eterno, di trascendente, di immutabile. Se si parla ancora di Dio e della Chiesa, queste due realtà finiscono per essere la proiezione di ciò che l’esperienza può sentire hic et nunc. Questi due termini, con tutti gli altri elementi dogmatici della nostra fede, sono irrimediabilmente alterati nel loro senso e nella loro autentica portata: sono a poco a poco riassorbiti nel flusso di ciò che è semplicemente terrestre e mutevole. Il loro significato evolve con l’umanità e l’esperienza che essa fa di Dio. Non è un’idea nuova, ma il processo sinodale ne rappresenta un compimento nuovo per ampiezza e profondità.

Che cosa ci può dire di questa “sintesi romana” che ha evocato?

Si tratta di un testo pubblicato nell’ottobre 2022 e intitolato Allarga lo spazio della tua tenda. È un documento di lavoro elaborato per la riflessione dei vescovi nella tappa continentale del cammino sinodale, cioè per i vescovi riuniti a livello dei rispettivi continenti [2]. Questa sintesi è presentata come l’espressione del sensus fidei dei fedeli, ed è raccomandato ai vescovi di leggerla nella preghiera, «con gli occhi del discepolo, che [la] riconosce come la testimonianza di un percorso di conversione verso una Chiesa sinodale che impara dall’ascolto come rinnovare la propria missione evangelizzatrice [3]». Si suppone dunque che sia a partire da questa presunta espressione del senso della fede dei fedeli che i pastori tirino le conseguenze e prendano le decisioni finali.

Ora, il contenuto di questo testo, i suggerimenti che contiene, sono un disastro dall’inizio alla fine. Non c’è praticamente nulla che possa essere considerato come espressione della fede cattolica: la maggior parte dei suggerimenti auspica piuttosto una dissoluzione della Chiesa in una realtà completamente nuova. Si può al limite capire che dei fedeli, ed anche dei preti, soprattutto oggi, possano affermare delle cose strane, ma è assolutamente inconcepibile che simili propositi siano stati conservati nella sintesi realizzata dal Segretariato generale del Sinodo in Vaticano.

Ci sono passaggi di questa sintesi che l’hanno particolarmente colpita?

Ahimè, la maggior parte dei passaggi sono spaventosi, ma ce ne sono due che mi sembrano esprimere bene tutto il documento e, in particolare, la volontà di cambiare, attraverso il Sinodo, l’essenza stessa della Chiesa. Innanzitutto, riguardo l’autorità, si preconizza esplicitamente il riconoscimento di una Chiesa che funzioni all’inverso, nella quale la Chiesa docente non abbia più niente da insegnare: «È importante costruire un modello istituzionale sinodale come paradigma ecclesiale di destrutturazione del potere piramidale che privilegia le gestioni unipersonali. L’unica autorità legittima nella Chiesa deve essere quella dell’amore e del servizio, seguendo l’esempio del Signore [4]».

Qui, ci si chiede se ci si trova in presenza di un’eresia o, semplicemente, di un nulla che non si riesce nemmeno a qualificare. L’eretico, in effetti, “crede” ancora in qualcosa, e può avere ancora un’idea della Chiesa, benché deformata. Qui siamo in presenza di un’idea di Chiesa non solo vaga ma, per riprendere un termine alla moda, “liquida”. In altri termini, si preconizza una Chiesa senza dottrina, senza dogma, senza fede, nella quale non ci sarebbe più bisogno di un’autorità che insegni alcunché. Tutto è dissolto in uno spirito di amore e servizio, senza chiedersi troppo a cosa corrisponda tutto questo – ammesso che corrisponda a qualcosa – e dove porti.

Lei ha menzionato un secondo passaggio che l’ha particolarmente colpita…

In effetti, un secondo passaggio mi sembra riassumere bene lo spirito dell’insieme del testo, e allo stesso tempo, il sentire caratteristico di questi ultimi anni di pontificato: «Il mondo ha bisogno di una “Chiesa in uscita”, che rifiuta la divisione tra credenti e non credenti, che rivolge lo sguardo all’umanità e le offre, più che una dottrina o una strategia, un’esperienza di salvezza, un “traboccamento del dono” che risponda al grido dell’umanità e della natura [5]». Sono convinto che questa breve frase racchiuda un significato e una portata molto più profondi di quanto appaia di primo acchito.

Il fatto di rigettare la distinzione tra credenti e non-credenti è certamente folle, ma logico nel contesto attuale: se la fede non è più una realtà autenticamente soprannaturale, la Chiesa stessa, che la dovrebbe custodire e predicare, altera la sua ragion d’essere e la sua missione presso gli uomini. In effetti, se la fede è solo un’esperienza tra le altre, non si vede perché debba essere la migliore, né perché la si debba imporre universalmente. In altri termini, un’esperienza-sentimento non può corrispondere a una verità assoluta: il suo valore è quello di un’opinione particolare, che non può più essere la verità nel senso tradizionale del termine. Si finisce allora logicamente nel rifiuto di distinguere tra credenti e non-credenti. Resta solo l’umanità, con le sue attese, le sue opinioni e le sue grida, che in quanto tali non postulano nulla di soprannaturale.

La Chiesa offre così all’umanità un insegnamento che non corrisponde più alla trasmissione di una Rivelazione trascendente. Si trova ridotta a proporre un “vangelo” diminuito, naturalizzato, semplice libro di riflessione e consolazione adattato indistintamente a tutti. In questa prospettiva, si capisce come la nuova teologia e la nuova morale ecologista proposta da Laudato si’ si offrano a un’umanità che non si vuole più convertire, e nella quale non si fa più distinzione tra credenti e non-credenti.

In campo mediatico, si fa notare particolarmente l’attenzione che il Sinodo presta alle unioni tra persone dello stesso sesso. Come vede questo problema?

Non si può negare che la pressione esercitata a livello mondiale in questo campo trovi la sua eco nel processo sinodale. Si chiede alla Chiesa di essere più accogliente e attenta ai bisogni affettivi di queste persone, soprattutto dopo che le porte sono state aperte da Amoris laetitia. È uno degli argomenti sui quali c’è più forte attesa. L’impressione che si ha osservando quanto avviene è che da un lato l’autorità della Chiesa ricorda il principio secondo il quale simili coppie non possono essere benedette – come è avvenuto per esempio con la risposta della Congregazione per la dottrina della fede nel marzo 2021. Dall’altro lato, tali coppie sono state comunque benedette in alcune occasioni: alcune si sono recate in chiesa per ricevere una benedizione dopo un matrimonio civile in comune.

Qualche mese fa, i vescovi belgi fiamminghi hanno anche pubblicato un rituale ufficiale per benedire tali coppie, una nuova iniziativa che finora non ha visto reazioni da parte del Vaticano. Secondo il vescovo di Anversa, il Papa sarebbe anzi stato al corrente, e avrebbe deciso di lasciar fare. Ugualmente, i tedeschi propongono dei passi in avanti notevoli e apertamente rivoluzionari in questo campo. Tutto questo provoca inevitabilmente delle reazioni in una parte dei vescovi e dei fedeli, mentre un buon numero di essi si limita ad osservare passivamente le cose.

Così, si creano una confusione e una dialettica, in questo campo come in altri, che fanno sì che tutti si aspettino un pronunciamento dell’autorità… Questa ha allora piena libertà di mettere un freno a quanto appare troppo prematuro, ma al tempo stesso di spingersi avanti concedendo delle cose che, a poco a poco, entrano nei costumi e nelle abitudini. A volte, la dottrina tradizionale è ricordata e perfino definita come immutabile, così da rassicurare i conservatori. Ma poi si mettono in avanti le necessità pastorali dei casi particolari, applicando una misericordia “miracolosa” che concilia l’inconciliabile. In realtà, i princìpi morali tradizionali, esattamente come la fede, sono trasformati in libere opzioni. Questo modo di procedere è proprio ad un’autorità che non è più guidata da princìpi trascendenti, ma si mostra sensibile alle aspettative del momento, ben determinata a soddisfarle, secondo un’opportunità valutata in modo puramente pragmatico.

Ora, si deve ben cogliere che tutto questo non si ferma a un punto determinato. Questo modo di esercitare l’autorità subisce lo stesso meccanismo che regge le democrazie moderne: una cosa che non può essere approvata oggi lo sarà domani, quando con la stessa dialettica, con una nuova pressione, con dei nuovi precedenti, la situazione sarà abbastanza matura e gli spiriti abbastanza preparati. Ecco descritto in poche parole il meccanismo innescato dalla sinodalità, ed ecco perché ci troviamo davanti alla forma più matura del modernismo.

Recentemente, un rescritto di Papa Francesco ha ricordato che ogni nuovo sacerdote che volesse celebrare la Messa tridentina deve ottenere il permesso esplicito della Santa Sede. In più, se una Messa tridentina è autorizzata in una chiesa parrocchiale, ci vuole pure il permesso della Santa Sede. Come valuta queste misure?

Penso che non sia necessario essere un esperto molto accorto per capire la volontà manifesta di metter fine alla celebrazione della Messa tridentina. Questo rescritto del febbraio 2023, come la lettera apostolica Desiderio desideravi del giugno 2022, ha la duplice finalità di restringere al massimo l’uso del messale tradizionale, e anche di spaventare chiunque volesse utilizzarlo. In tali condizioni, immagino con difficoltà un giovane sacerdote avere il coraggio di rivolgersi alla Santa Sede per chiedere il permesso di celebrare la Messa tridentina. Che lo si voglia o no, a partire dal motu proprio Traditionis custodes, questa Messa è praticamente proibita nella Chiesa; come è stato recentemente ricordato dal cardinal Roche, con il Concilio «la teologia della Chiesa è cambiata [6]», e in conseguenza la liturgia, che ne è l’espressione.

In questo clima, i membri degli Istituti detti Ecclesia Dei vivono un momento di attesa e di apprensione. Si sente parlare di un ulteriore documento pontifico che li riguarderebbe e che potrebbe essere pubblicato prossimamente. Che cosa ci può dire a questo proposito?

Non so assolutamente nulla di un tale documento, ma penso che un prete non possa vivere serenamente il proprio sacerdozio se accetta di avere costantemente una spada di Damocle sospesa sulla testa; allo stesso tempo, non può vivere serenamente se è continuamente messo in allarme dai minimi rumori. Un sacerdote dovrebbe poter vivere la propria Messa senza chiedersi se domani sarà ancora autorizzato dai suoi superiori a celebrarla. Deve avere la preoccupazione di far partecipare le anime ai tesori che dispensa, senza vivere con la costante paura di esserne privato lui stesso, o in attesa di un miracolo che gli permetta di sfuggire alla situazione precaria nella quale si trova. Non penso che la Provvidenza voglia questo.

In più, purtroppo, i membri di questi Istituti, come molti sacerdoti desiderosi di celebrare il rito tridentino, vivono in un tale timore che condannano se stessi al silenzio di fronte all’attualità della vita della Chiesa: infatti sanno bene che, il giorno in cui volessero esprimere qualche riserva di fronte a ciò che succede oggi, la spada di Damocle potrebbe cadere su di loro. Il cardinal Roche è pronto a ricordarlo loro in ogni momento. Lo dico in piena carità: questa situazione provoca una dicotomia permanente tra la sfera liturgica e la sfera dottrinale, che rischia di far vivere questi sacerdoti nella delusione, e di paralizzarli irrimediabilmente nella necessaria professione pubblica della loro fede. Ecco perché oggi, soprattutto in alcuni paesi, la reazione contro le follie del movimento sinodale, paradossalmente, proviene piuttosto da ambienti che non sono legati all’uso del messale tradizionale.

Come vede l’avvenire della Fraternità San Pio X?

Lo vedo in perfetta continuità con ciò che la Fraternità ha rappresentato finora. La Fraternità deve essere preoccupata dell’attualità della Chiesa, ma senza interessarsi alle voci, a ciò che tal cardinale avrebbe detto in gran segreto a tal seminarista, a ciò che potrebbe prodursi, a ciò che potrebbe succederci… Dobbiamo vivere al di sopra di tutto questo.

Per il bene della Chiesa, la Fraternità deve custodire e garantire, ai suoi sacerdoti e ai suoi fedeli, la piena libertà della celebrazione della liturgia tradizionale. Allo stesso tempo, la Fraternità deve continuare a garantire la conservazione della teologia tradizionale che accompagna e sostiene questa stessa liturgia. Un cattolico ancora lucido non potrebbe rinunciare a tale dottrina: il cambiamento di questa durante il Concilio è proprio l’elemento che – per parafrasare il cardinal Roche – ha ispirato la nuova messa. Dobbiamo mantenere l’una e l’altra, con la piena libertà di opporci agli errori e ai loro fautori. In effetti, se la liturgia è per definizione pubblica, lo è anche la professione della fede che le è associata.

Allo stesso tempo, oggi più che mai, dobbiamo essere coscienti che al culto tradizionale della Chiesa corrisponde anche una vita morale che non abbiamo il diritto di alterare nei suoi princìpi. Al centro della nostra religione, Dio ha piantato la Croce e il Sacrificio. Nessuno si può salvare senza la Croce o senza il Sacrificio, accettando – in nome di un falso amore e di una falsa misericordia – ogni sorta di abominazione. C’è un solo amore che salva, perché c’è un solo vero amore che purifica: quello della Croce, quello della Redenzione; quello che Nostro Signore ci ha mostrato, che ci comunica, e che ha voluto chiamare “carità”. Questo amore però non può esistere senza la fede e senza chi la insegna.

Note

[1] Il movimento sinodale è cominciato immediatamente dopo il Concilio, dopo il quale si sono tenuti più di mille sinodi diocesani: la maggior novità di questi è stata la frequente presenza di laici.

Papa Francesco ha precisato gli elementi della sua concezione della sinodalità dall’inizio del suo pontificato: innanzitutto con la sua interpretazione del sensus fidei e della pietà popolare come fonte della rivelazione (cf. Evangelii gaudium, n. 119-120); poi affrontando più chiaramente la questione della sinodalità nel suo Discorso per il 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi (17 ottobre 2015). Su questa base, la Commissione internazionale di teologia elaborò un testo che mise in forma tale nozione: La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa (2018), che teorizzava il processo che vediamo oggi in atto.

Il sinodo sulla sinodalità si manifesta così come l’applicazione pratica, sulla scala della Chiesa universale, di nozioni che, esposte ed esplorate teologicamente durante tutto questo pontificato, erano state ampiamente sperimentate a partire dal Concilio.

[2] Si tratta più precisamente di sette continenti, perché l’America del Nord e del Sud rappresentano due entità diverse; ugualmente, il Vicino Oriente e il resto dell’Asia formano due regioni distinte.

[3] Allarga lo spazio della tua tenda, n. 13.

[4] Ibidem, n. 57.

[5] Ibidem, n. 42.

[6] «La teologia della Chiesa è cambiata», ha osservato il cardinal Roche. «In precedenza, il sacerdote rappresentava, a distanza, tutto il popolo: esso era canalizzato da questa persona che, sola, celebrava la Messa. [Oggi, invece], non è solo il prete che celebra la liturgia, ma anche quelli che sono battezzati con lui, ed è un’affermazione enorme» (BBC Radio 4, 19 marzo 2023).

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Questa intervista con il superiore generale della Fraternità sacerdotale San Pio X sugli orientamenti del pontificato di Francesco è stata realizzata a Menzingen il 5 maggio 2023, festa di san Pio V, a cura di FSSPX.Actualités

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