Scoprire l’Eucaristia con san Giovanni Bosco / 4. Sulla santa Messa

di don Marco Begato

Le istruzioni sulla santa Messa trovano ampio spazio in un ulteriore testo di san Giovanni Bosco. Si tratta de Il cattolico provveduto per le pratiche di pietà (1868). Anche in tal caso non possiamo fare a meno di notare come la produzione editoriale di don Bosco sia tendenzialmente pratico-divulgativa, non scrive dunque ampi trattati speculativi, quanto brevi testi di facile distribuzione popolare, utili a guidare concretamente la vita dei fedeli. Nel libro del ’68 compare una Istruzione sulla S. Messa che merita di essere riletta, per cogliere al meglio quale fosse la consapevolezza dei cattolici attorno al mistero eucaristico alla vigilia delle riforme teologico-liturgiche contemporanee. Come già affermato negli articoli precedenti di questa nostra serie, tale confronto tra passato e presente potrebbe risultare altamente istruttivo in una prospettiva di dialogo costruttivo.

La categoria culturale che sintetizza l’insegnamento sulla Santa Messa e da cui don Bosco muove è quella del sacrificio. Lo si presenta anzitutto per come appare nella cultura giudaica.

“Presso tutti i popoli, che la storia ricorda, troviamo il sacrifizio non solo interno e del cuore, come per esempio la rassegnazione e la preghiera, ma anche l’esterno, il quale solo, propriamente parlando, appellasi sacrifizio. Il sacrifizio fu in ogni tempo considerato come parte essenziale del divin culto. Sotto il nome di sacrifizio strettamente e propriamente parlando s’intende una offerta esterna di un oggetto materiale fatta a Dio, quale supremo ed infinito padrone, da un ministro pubblico e a ciò deputato (il sacerdote) a fine, coll’immutazione od anche colla totale distruzione di quest’oggetto materiale, di attestare e riconoscere solennemente il supremo dominio di Dio sopra tutte le cose. In questo senso gli ebrei offrivano, secondo la prescrizione di Mosè, vari sacrifizi, i quali oltre i particolari loro fini figuravano ancora l’unico sacrifizio del cristianesimo e ricordavano la necessità della penitenza senza aver la forza di operare la conversione dei cuori, e la remissione dei peccati”.

Subito il santo torinese avvia una lettura comparata tra sacrificio giudaico e novità del sacrificio portato da Gesù Cristo.

“Al contrario il sacrifizio del cristianesimo opera per propria virtù nelle anime il pentimento, il perdono dei peccati  e la santificazione degli uomini: ed è perciò il compimento d’ogni sacrifizio, è la fonte più feconda delle celesti benedizioni, è il mezzo più potente per condurre le anime all’eterna felicità. Questo sacrifizio d’infinito valore offrivalo Gesù Cristo Dio-Uomo morendo sulla croce a fine di riconciliare la caduta umanità colla santità e colla giustizia del suo Eterno Padre, e per farci ritornare figliuoli di Dio ed eredi del paradiso. Al compimento di questo sacrifizio in croce dovevano, secondo le profezie, cessare tutti i sacrifizi giudaici, e questo sacrifizio della croce si doveva in perpetuo rinnovare e rappresentare in una maniera incruenta, cioè non sanguinata, affinchè tutti i fedeli, col partecipare a questo sacrifizio, partecipassero di continuo ai meriti di Gesù Cristo, porgessero a Dio il debito tributo di adorazione, di ringraziamento e di preghiera, ed entrassero in intima comunicazione col loro divin Redentore”.

A questo punto il sacrificio del Signore è direttamente collegato al senso della Santa Messa.

“Questo eccelso sacrifizio dal quale tanto bene deriva ai fedeli, ed eccita sentimenti di fede, speranza e carità, umiltà, pentimento, obbedienza, divozione a Gesù Cristo, è la s. Messa dei cattolici, siccome fu dai profeti predetta, e realmente da Gesù Cristo instituita. Che la Messa sia un vero sacrifizio lo definì il Concilio di Trento con queste parole: « Se alcuno dirà non venir nella Messa offerto al Signore un vero e proprio sacrifizio, oppure questo sacrifizio in nient’altro consistere, che nella partecipazione di Cristo, sia scomunicato. » (Sess. XXII, can. I).

Il fondamento di tale dottrina, come si è visto, ha i suoi appoggi incrollabili nell’insegnamento del Concilio di Trento, ma esso a sua volta può riferirsi alle testimonianze attinte dalle Sacre Scritture e dai Padri della Chiesa.

“Fra le profezie sulla s. Messa più rilevante avvi quella del profeta Malachia; Iddio per bocca di questo profeta parlando agli ebrei, loro dice: « Io più non ho in voi compiacenza alcuna, e non riceverò più dalle vostre mani alcun sacrifizio. Imperocchè dall’oriente fino all’occidente il mio nome è grande fra i popoli, e in tutti i luoghi viene offerto al mio nome un sacrifizio mondo. Imperocchè il mio nome sarà glorioso fra i popoli, dice il Signore degli eserciti. » (Malach. I, 11). Inoltre per bocca del profeta Davide l’Eterno Padre dice di Gesù Cristo (Salm. 109): Tu sei sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedecco il quale offrì al Signore pane e vino (Gen. XIV, 18).

La Chiesa cattolica sulla scorta dei santi Padri ha sempre applicate ambedue queste profezie alla Messa. Fra i ss. Padri che parlano di questo sacrifizio s. Ireneo, il quale fiorì nel secondo secolo della Chiesa, dice: Cristo prese ciò che in virtù di sua creazione era pane, rese grazie e disse: questo è il mio Corpo, e similmente il Calice…. lo riconobbe suo Sangue, e instituì perciò il novello sacrifizio della novella alleanza, che la Chiesa ricevette dagli apostoli, e in tutto il mondo offre a Dio: del qual sacrifizio Malachia predisse: Dall’oriente ecc”.

Cosa insegnano tali profezie? San Giovanni Bosco riporta cinque insegnamenti relativi al superamento del sacrificio giudaico e all’istituzione di un sacrificio di tipo nuovo, che fosse puro, richiamasse l’offerta di Melchisedec e fosse unico e irripetibile.

“È chiaro pertanto che nelle addotte profezie il Signore annunziò:

1° L’abolizione del sacrifizio dell’antica legge, anzi l’abolizione della legge medesima. Ciò dimostrasi sovratutto da quelle parole di Malachia: Io più non ho in voi compiacenza alcuna, e non riceverò dalle vostre mani alcun sacrifizio.

2° L’istituzione di un novello sacrifizio. Malachia infatti parla di un sacrifizio che allora non esisteva ancora, perciò non di un sacrifizio puramente interno di ringraziamento, di lode o di buone opere che allora già esisteva, e che gli antichi patriarchi sempre offrirono fin dal principio del mondo. Inoltre il profeta oppone questo sacrifizio ai sacrifizi dei sacerdoti ebrei, esterni e reali: ciò vuol dire, che sarebbe anche questo un sacrifizio esterno e reale. Finalmente lo chiama mondo, tale cioè che non resterebbe macchiato dall’indegnità dell’offerente, la qual cosa non può essere dei sacrifizi puramente spirituali, i quali più o meno partecipano dei difetti dell’umana debolezza.

3° Annunzia un sacrifizio, che nel merito intrinseco e nell’eccellenza avrebbe di gran lunga superati i sacrifizi giudaici e pagani. Lo chiama mondo ancora per opposizione a quelli de’ giudei e del gentilesimo, i quali od erano impuri, ovvero non possedevano alcuna virtù interna di comunicare agli uomini la grazia e l’interna santità.

4° Questo novello sacrifizio doveva avere una somiglianza col sacrifizio di Melchisedecco, il quale offri pane e vino (Gen. XIV). Dunque anche questo doveva avere l’aspetto di pane e di vino. In questo senso il Messia, che lo avrebbe instituito e offerto, sarebbe sacerdote secondo l’ordine di Melchisedecco, e non secondo l’ordine di Aronne (il quale doveva offrire carne e sangue di animali) col quale nome avrebbe dovuto essere chiamato, se il profeta con questo sacrifizio avesse voluto solamente parlare del sacrifizio sanguinoso della croce.

5° Questo sacrifizio inoltre non sarebbe offerto in un luogo solo, come i sacrifizi giudaici si offrivano nel solo tempio di Gerusalemme, nè una sola volta, come il sacrifizio della Croce, ma su tutta la superfìcie della terra, dall’oriente all’occidente, e sino alla fine del mondo. Per questo motivo il Messia autore del medesimo, che pel primo l’offrì, non vien semplicemente chiamato sacerdote, ma sacerdote in eterno, perchè per mezzo de’ suoi ministri offrir doveva ogni giorno all’Eterno Padre il sacrifizio incruento della propria carne e del proprio sangue”.

Da ciò si argomenta che il sacrificio di Cristo, richiamato dai profeti, dovesse essere appunto quello istituito nell’ultima Cena: in essa convergono infatti tutti gli elementi fin qui riportati.

“Siccome dunque il sacrifizio predetto tanti anni prima da Malachia non può essere il sacrifizio incruento della croce, nè un sacrifizio interno di lode o di buone opere, e meno ancora un sacrifizio dei giudei e dei gentili, bisogna di necessità intendere il sacrifizio instituito dal divin Salvatore nell’ultima cena, il quale non cessò mai da quel tempo di essere offerto in ogni parte del mondo dai sacerdoti della sua Chiesa. Un breve sguardo a quanto Egli operò in quella cena, e a ciò che si opera nella Chiesa Cattolica, finirà di convincerci di questa verità”.

A questo punto, ovviamente, don Bosco viene quindi a raccontare e riprendere gli elementi essenziali dell’Ultima Cena.

La vigilia di sua passione, mentre gli apostoli mangiavano, così l’Evangelista s. Matteo, Gesù prese del pane, lo benedisse, lo ruppe e lo distribuì ai suoi discepoli dicendo: prendete e mangiate, questo è il mio Corpo. Poscia prese il calice, rese grazie, lo diede ai suoi discepoli, dicendo: bevetene tutti, imperciocchè questo è il mio Sangue, Sangue del novello testamento, il quale sarà sparso per molti in remissione dei peccati. Con s. Matteo si accordano pienamente gli altri Evangelisti, e la narrazione di s. Paolo. E poichè qui si trovano tutti i requisiti di un vero sacrifizio, non si può mettere in dubbio, che Gesù Cristo non abbia offerto nell’ultima cena un vero e reale sacrifizio. Noi vi troviamo 1° la benedizione, la preghiera di lode e di ringraziamento a Dio datore di ogni bene; 2° la immolazion della vittima: cioè nella conversione separata in virtù delle parole di Cristo, del pane nel Corpo e del vino nel Sangue, vi troviamo se non reale, una mistica separazione del sangue dal corpo, e con ciò uno stato di vittima; 3° la partecipazione al sacrifizio, che era pure una delle condizioni dell’olocausto pacifico. Poichè ebbe Cristo offerto nell’ultima cena questo sacrifizio puro ed immacolato, predetto dai profeti, egli lo instituì e ordinò a tutti i luoghi, popoli e tempi, come un monumento di sua passione e morte da conservarsi per sempre nella sua Chiesa: e perciò aggiunse: Fate ciò in memoria di me. Con le quali parole diede agli Apostoli ed ai loro legittimi successori, i vescovi e gli altri sacerdoti, non solamente la potestà, ma il comando di fare ciò che aveva fatto egli stesso”.

Più che narrare i fatti del Cenacolo, don Bosco individua i tre momenti strutturali della Cena, che si ritrovano in ogni autentico sacrificio e si ripresenteranno evidentemente anche nella celebrazione della Santa Messa.

“Pertanto la Messa della Chiesa Cattolica è l’adempimento di questo divin comando, ed è una continua ripetizione, e rinnovazione di quel sacrifizio instituito da Gesù Cristo nella vigilia di sua passione. La cosa è chiara per chiunque voglia paragonare l’uno coll’altro sacrifizio. Imperocchè come in quello Gesù Cristo 1° ringraziò Iddio, 2° cangiò il pane ed il vino colla sua onnipotente parola, 3° diede in cibo e bevanda ai suoi discepoli la propria carne e sangue; così nella s. Messa sono contenute queste tre parti essenziali, 1a l’offerta col ringraziamento, l’Offertorio ed il Sanctus, 2a la transostanziazione, 3a la comunione. L’introito della Messa fino al Vangelo, e le preghiere che accompagnano questa prima parte non sono punto essenziali al sacrifizio, ma furono stabilite fino dai primitivi tempi della Chiesa per innalzare sempre più la maestà di questo sublime mistero, e rendere a noi più sensibile il pregio infinito di quest’azione”.

4.continua

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