Annecy / Lo “strano caso” di un giovane uomo coraggioso perché cattolico tradizionale

di Roberto Bonato

Henri d’Anselme era ad Annecy giovedì scorso. Si trovava nei pressi del parco nel momento in cui un richiedente asilo siriano vi ha sferrato l’attacco durante il quale ha ferito gravemente quattro persone. Quando si è reso conto di quello che stava succedendo, il ragazzo ha affrontato l’attentatore armato colpendolo con il suo zaino, riuscendo a metterlo in fuga, e impedendogli di fare altre vittime.

Coraggio, abnegazione, prontezza di spirito. Già solo questi elementi basterebbero a riempire una prima pagina, in questi tempi nei quali da un giovane ci si aspetta al massimo che sguaini il suo cellulare per filmare il tutto ed incassare like sulla propria pagina Facebook.

Ma Henri va oltre, molto oltre. Intervistato dalla tv di «informazione continua» BFM TV, immensamente seguita in Francia, in quattordici minuti pronuncia parole come «cattedrale», «cristianità», «Santa Vergine», «Cristo», «preghiera», «spirito cavalleresco».

L’intervista comincia nel modo classico: «Cosa stava facendo lì? Una passeggiata?»

Henri ci va subito giù pesante: molto più di una passeggiata, sta facendo un tour delle cattedrali di Francia, alla scoperta della loro bellezza, quella bellezza che innalza lo spirito.

E rincara la dose: ha fatto quello che ogni francese avrebbe fatto. Si noti bene: non si tratta della frase fatta del chiunque lo avrebbe fatto. Qui c’è un sottinteso che pesa come un macigno di questi tempi: chi non è capace di fare cose del genere, non è un francese.

L’intervistatore incassa con nonchalance: «E quando si è reso conto di cosa stava succedendo, cosa ha pensato? Ecco l’ennesimo pazzo?» (Pazzo è la parola d’ordine che i giornali francesi usano quando vogliono sminuire l’origine islamica degli innumerevoli attentati degli ultimi anni).

Puro come una colomba, Henri ha capito benissimo: di più, ha visto negli occhi dell’aggressore l’essere preternaturale con cui aveva a che fare. Ma, astuto come un serpente, sa che non può dire in tv che ha visto il diavolo, così risponde che nello sguardo dell’uomo ha visto «qualcosa di molto malvagio». Dice mauvais, in francese, che come maligno in italiano può voler dire tanto «malvagio» che «Satana». Ma abbiamo capito tutti: questo ragazzo crede nell’esistenza del demonio. E come non potrebbe, lui che conosce e ama quelle immense macchine di pietra che furono le cattedrali, la cui funzione essenziale era quella di aspirare preghiere ed anime verso l’alto, e cacciare lontano dalle loro guglie i demoni?

L’intervistatore non coglie, forse nemmeno gli interessano questi dettagli. «E poi cos’ha fatto? Quando la polizia ha messo l’uomo fuori combattimento è tornato a farsi i fatti suoi?»

Henri sgancia la prima vera bomba: no, è tornato sui suoi passi, dalle persone ferite, e ha fatto quello che ogni francese avrebbe fatto: si è messo a pregare la Santissima Vergine, ha invocato Cristo in aiuto delle vittime perché in quei momenti bisogna abbandonarsi alla Provvidenza.

Visibilmente stordito dall’enormità di udire cose del genere da un tizio che non è ricoverato in un ospedale psichiatrico, ma che circola liberamente sul territorio francese, e quando gli capita affronta a mani nude persone armate di coltello per mettere in salvo dei bambini, l’intervistatore cerca una via d’uscita e la butta sul personale. «Cosa fa nella vita? Perché questo tour delle cattedrali?»

Henri è incontenibile. In un crescendo esaltante, parla del suo periplo di nove mesi a piedi e in autostop, della sua ricerca del bello, di quella bellezza che innalza lo spirito e che lo ha reso capace di agire con prontezza ed abnegazione. Dice che basta decidere di non subire, di levare lo sguardo, verso le testimonianze lasciate dagli antenati che hanno costruito la cristianità. Una gragnuola di parole proibite (quando non dimenticate) si abbatte sulle linee martoriate dell’info continue come un fuoco di artiglieria pesante che precede l’attacco decisivo.

Ecco la chiave: la Chrétienté. Henri la pronuncia spesso, questa bella parola, che solo parzialmente si può tradurre con in italiano con «cristianità», ma che in francese evoca immediatamente quell’ideale di armonia tra fede cristiana e istituzione civile, di religiosità popolare e ordine sociale, di teologia e scienza, di arte e ragione che fu il migliore Medioevo francese.

Una parola dimenticata quando non aborrita, ma che riaffiora ancora qua e là come un fiume carsico che scorre sotto la superficie dell’animo transalpino, devastato e desertificato da 250 anni di ateismo di stato, più o meno esplicito, più o meno feroce, più o meno passivamente accettato.

È un caso che sia terminato da pochi giorni il Pellegrinaggio della Pentecoste, organizzato dall’associazione Notre Dame de Chrétienté, che quest’anno, per la sua quarantunesima edizione, ha battuto tutti i record di partecipazione, con 16 mila pellegrini (età media: 20,5 anni), che in tre giorni coprono i cento chilometri che separano Parigi da Chartres, perfettamente ordinati in un’immensa colonna di più di due chilometri che si snoda tra strade provinciali, campi a perdita d’occhio e campanili naufragati nelle sterminate pianure della Beauce? E che, con buona pace di Traditionis custodes, trovano la forza di assistere spossati a tre messe in latino?

L’intervistatore capitola: tutto, in questo giovane, parla di fede. Bisogna pure affrontare l’argomento. «Da dove la viene questa mania» (no, non usa questo termine, ma si sente che nella sua testa è la stessa cosa)? Henri ci è «caduto dentro da bambino»: espressione in codice che evoca nella mente di ogni francese che si rispetti Obelix che cade nel pentolone della pozione magica, il che gli conferirà a vita la sua forza prodigiosa. E anche qui le parole non sono scelte a caso. Quella fede è la sua forza, la fede che proviene dall’incontro con Cristo, perché quando si incontra Chi ha creato e salvato la propria vita, è molto più facile metterla in gioco per salvare quella di un bambino.

L’intervistatore è battuto ma non ancora sconfitto. Anche l’attentatore si dice cristiano, cristiano d’Oriente. Come la mettiamo?

Henri è pronto, sa benissimo dove vogliono andare a parare. Gli odiatori di Cristo hanno finalmente in mano il loro tanto agognato episodio di «terrorismo cristiano», potranno finalmente dire che tutte le religioni fomentano il fanatismo e la violenza, che non è solo un problema dell’Islam, e che l’una vale l’altra. Roba da tenerci banco per anni.

Henri para l’affondo con grazia. Non basta «dichiararsi» cristiani. Non sa dire a «cosa» si rifaccia questo individuo, sa solo che prendersela con degli innocenti è profondamente anticristiano, e che per meritare il sacro nome di cristiano bisogna provarlo con i fatti, e in particolare con il rispetto del codice cavalleresco, quello che parla della difesa dell’orfano e della vedova, e in generale dell’innocente e dell’indifeso.

Eccola, la chevalerie. Altra parola impronunciabile di questi tempi, altra parola disprezzata quando non dimenticata, ma che appena evocata non può non suscitare nel cuore di ogni francese, uomo o donna, il senso di nostalgia per una grandezza che fu tipicamente francese, che alimentò per secoli l’immaginario e i costumi, che divenne arte di vivere e di morire, prima di naufragare in un mondo che avrebbe scelto il Mammona borghese al Cristo, del Medioevo, sepolta sotto le menzogne e gli sghignazzamenti immondi di philosophes cinici e libertini, che si facevano beffe di gente pronta a mettere in gioco vita e beni per la fede e per l’onore.

 

L’intervistatore fa diversione, evoca la visita di Macron: forse una decorazione? Henri non sa nemmeno se la accetterebbe, «si vedrà». Si stava parlando di cose alte e magnifiche, perché immiserirle? Il presidente è lì per fare il suo mestiere: morta là.

Ormai l’intervistatore comincia a essere intimidito. In fondo, si sente che questo giovane proveniente da un’altra epoca comincia a stargli simpatico. E quasi si scusa nel formulare goffamente la domanda che tutti i francesi dabbene si pongono: «Come può un giovane come lui, simpatico e coraggioso, aderire a questa cosa, la religione cattolica, che tutte le persone ammodo dovrebbero odiare, o perlomeno, disprezzare?» (In realtà lui dice che «è meno di moda», ma ancora una volta abbiamo capito tutti).

D’Anselme non si scompone: è così, in questo momento sarà anche meno popolare, ma – vivaddio –  è quella religione che ha costruito questo paese, che ha ingentilito la sua indole guerresca e rozza sublimandola nell’ideale cavalleresco, e che ancora la «irriga» (il termine piacerebbe a Gustave Thibon, il filosofo contadino) come un fiume sotterraneo attraverso la testimonianza muta di quelle cattedrali che non sono solo attrazioni turistiche, ma centri nevralgici che irradiano civiltà, ragione e bellezza. E che chiunque levi gli occhi verso le loro guglie, chiunque voglia sollevare la testa e capire Chi ne è l’autore può entrare a far parte di questo ordine cavalleresco.

L’intervistatore gioca la sua ultima carta. Forse Henri, oltre alla sua grottesca fede, ha una qualche affiliazione politica? Come direbbe Guareschi, tenta di «buttarla in politica», ultimo vano tentativo di ridurre questa figura di un’altra epoca alla dimensione di certi nani del grottesco baraccone francese della «droite», foss’anche «identitaire».

No. Henri se ne infischia della politica. Ha scelto di concentrarsi sull’essenziale. Ha scelto di agire in questo momento, facendo il meglio che può, con quello che ha sottomano. Lo ha fatto quando ha affrontato l’attentatore armato del suo solo zaino. Lo ha fatto quando ha deciso di visitare le più di 170 cattedrali francesi zaino in spalla e in autostop, facendo conoscere ed apprezzare a quante più persone possibili, quella Bellezza che lo abita.

Il duello è finito. La vittoria è tanto più schiacciante, in quanto nelle ultime parole dell’intervistatore si notano inequivocabili gli accenti della simpatia.

Henri d’Anselme. Tra il suo nome, quello dell’ancora amatissimo re francese che, con la sua conversione dal protestantesimo al cattolicesimo (molto più sincera di quanto l’apocrifo «Parigi val bene una Messa» lasci credere) pacificò il Paese ed aprì l’ultima vera stagione della grandeur francese, e il suo cognome, che evoca uno dei più grandi teologi del Medioevo cristiano, ci piace credere che quella particella nobiliare Henri se la sia guadagnata, forse ancor più per il coraggio dimostrato in questa intervista, che per il gesto magnifico di essersi interposto, disarmato, tra degli innocenti ed un uomo deciso a scannarli a coltellate.

Fonte: renovatio21.com

Nella foto, Henri d’Anselme, ventiquattro anni, durante la sua azione

 

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