Sulle carmelitane del Texas e il vescovo Olson

di Rita Rizzo

“Non sono un dittatore!” dichiarava pubblicamente nel 2018 monsignor Michael Olson, vescovo di Fort Worth, Texas, in risposta a una petizione dei fedeli che chiedeva la sua rimozione. Oltre alla petizione (con più di 1400 firme), è nato un vero e proprio movimento di cattolici, addirittura con un sito internet [qui] che invita i fedeli a pregare e digiunare per la conversione o la rimozione del vescovo e la restaurazione della fede cattolica nella diocesi.

Michael Olson, classe 1966, ordinato sacerdote nel 1994 nella diocesi di Fort Worth, ne fu nominato vescovo il 19 novembre 2013 da papa Francesco.

Facciamo la sua conoscenza attraverso il video [qui] del 2018, diffuso su YouTube dalla diocesi, in cui il presule respinge le accuse di abuso di autorità, violazioni del diritto canonico, abusi verbali verso i fedeli e vendicatività nei riguardi di preti e laici, e ci dispiace vedere che egli nasconde accuratamente la croce pettorale nel taschino della camicia.

Ma che cosa porta l’opinione pubblica americana a occuparsi nuovamente di lui, vescovo di una diocesi di 92 parrocchie, 17 scuole, 132 sacerdoti (di cui 67 diocesani), 106 diaconi permanenti e 48 suore?

Un pasticciaccio brutto, direbbe Carlo Emilio Gadda. Eccolo, in estrema sintesi.

Il 24 aprile 2023 il vescovo telefona alle monache carmelitane scalze del monastero della SS. Trinità di Arlington, annunciando una sua visita. Dopo mezz’ora egli si presenta, accompagnato da un sacerdote e alcuni laici, per interrogare la superiora, Madre Teresa Agnes di Gesù Crocifisso, O.C.D, al secolo Gerlach.

La religiosa, 43enne, si trova in precarie condizioni di salute, è alimentata da un sondino e sotto effetto di analgesici, a seguito di un intervento chirurgico subìto quello stesso giorno, ma il vescovo non desiste. Interroga per due ore anche la suora infermiera che assiste la madre, suor Francis Therese e altre religiose il giorno successivo.

Nessuna di loro, neppure la superiora, sa perché vengano interrogate con tanta veemenza: sono spaventante e disorientate, traumatizzate. L’intervento del vescovo culmina nel sequestro di telefoni e tablet in possesso delle monache.

La superiora apprende solo il 16 maggio, attraverso un comunicato della diocesi diffuso via internet, di essere accusata di aver violato il voto di castità con un sacerdote, di cui non viene rivelato il nome e appartenente a un’altra diocesi.

Resta incomprensibile il crimine per il quale sarebbe stata aperta l’indagine: sembra superfluo doverlo ricordare, ma vi è una notevole differenza tra peccato e delitto…

Nel frattempo, le monache, per disposizione del vescovo, vengono private, tutte, della Santa Messa quotidiana e della possibilità di confessarsi: niente Messa e sacramenti, quindi, non solo per la presunta rea, ma per tutte le monache e  50-60 laici che assistono ogni giorno alla Messa anche in settimana.

Madre Gerlach dà quindi mandato a un legale, l’avvocato Matthew Bobo, e il 3 maggio intenta causa presso la giustizia civile per i soprusi subiti: ella descrive le azioni del vescovo come “male allo stato puro”, atti d’insensata crudeltà verso religiose di stretta clausura.

In una dichiarazione giurata del 10 maggio, madre Gerlach insiste sul fatto che, come istituzione di diritto pontificio, il monastero opera sotto la diretta autorità del papa e che la comunità non è sotto il controllo del vescovo locale.

La superiora, inoltre, confidando nella giustizia della Chiesa e certa che il vescovo stesse operando al di sopra del diritto canonico (il vescovo ha rifiutato, uno dopo l’altro, quattro avvocati – procuratori da lei nominati), ricorre al Dicastero per gli istituti di vita consacrata e per le società di vita apostolica, dal quale, tuttavia, non riceve riscontro.

A questo punto, il 31 maggio, il Dicastero emana un decreto che nomina il vescovo Olson “commissario pontificio”. Egli riceve “pieni poteri di governo” sul “monastero di St. Joseph” (ma il monastero di madre Teresa Agnes si chiama “della SS. Trinità), con “la facoltà di nominare, se necessario, le suore per assumere i ruoli di sorvegliante dei membri della comunità, rappresentante legale, tesoriere, ecc.”.

Inoltre, il decreto “sana tutti gli atti amministrativi e legali già compiuti dallo stesso vescovo”, il che significa che qualsiasi azione compiuta da Olson che possa aver violato il diritto canonico è stata approvata retroattivamente.  Una sanatio totale e sorprendente, un colpo di spugna.

Ma le sorprese non finiscono qui: il numero di protocollo del decreto romano appare assai curioso (Prot. N. 2566/2020) mentre il decreto stesso porta la data del 31 maggio 2023, oltre a essere del tutto errato il nome del monastero.

Il 1° giugno, un giorno dopo la sua nomina a plenipotenziario, Olson dimette Madre Teresa Agnes dall’ordine carmelitano per aver violato il sesto comandamento.

La superiora, dimessa senza (a quanto risulta) alcun intervento dell’ordine carmelitano, reagisce intentando causa al vescovo e alla diocesi.

Per tutta risposta, il 7 giugno quest’ultima diffonde due foto in cui si vedono tavoli ingombri di medicine e prodotti a base di cannabis, sostenendo che sono state scattate all’interno del monastero. Non solo la superiora avrebbe avuto rapporti sessuali con un non precisato prete, ma le suore farebbero uso di stupefacenti.

Il portavoce della diocesi dichiara che questa è in comunicazione con la polizia di Arlington ed esprime “seria preoccupazione riguardo all’uso di marijuana all’interno del monastero”.

La vicenda è sotto i riflettori dell’opinione pubblica, che sta dalla parte delle suore, molto stimate ad Arlington per la loro vita di preghiera. Ai più quello del vescovo appare un uso sproporzionato dell’autorità nei confronti di un gruppo di donne che vivono e pregano in un monastero di settanta acri. Forse troppo grande per loro?

Mike Lewis, dalle pagine di Where Peter is, fa notare che “la credibilità dei vescovi cattolici in questi giorni è estremamente scarsa” e che c’è un “cono di silenzio nella Chiesa”, come dimostra il caso McCarrick.

Il caso del vescovo Olson e delle carmelitane di Arlington s’inserisce in questo cono?

Senza scomodare Nostro Signore, Via, Verità e Vita, ricordiamo l’antico adagio latino: Amicus Plato sed magis amica veritas.

Esso vale (o così dovrebbe) anche oltretevere e per ogni vescovo non dittatore.

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Nella foto, la reverenda madre Teresa Agnese di Gesù Crocifisso

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