Il dogma? Se è “divisivo” meglio eliminarlo. Così il vescovo di Trieste nega il “Credo”

di Silvio Brachetta

Era uscito indenne da quindici secoli di ecumenismo. Era stato confessato dai maggiori Dottori della Chiesa come verità rivelata (papi compresi). Era stato inserito nel Simbolo contro ariani e modalisti. Lui – il Filioque – era parte integrante del Credo occidentale: lo era fino al 30 di agosto di quest’anno.

Perché allo scoccare appunto del 30 agosto scorso, il neo-vescovo tergestino Enrico Trevisi se ne usciva con il seguente pronunciamento: «Ma talvolta al posto che essere umili nel comunicare questa verità complicata che è Dio amore, Dio Trinità, il Signore Gesù Cristo vero Dio e vero Uomo, lo Spirito Santo che procede dal Padre (e anche dal Figlio? Questione ecumenica aperta) ci siamo reciprocamente offesi, intestarditi l’uno contro l’altro»

Cioè monsignor Trevisi non è affatto sicuro che lo Spirito Santo «procede dal Padre e dal Figlio» («qui ex Patre Filioque procedit»), ma potrebbe anche procedere solo dal Padre, come invece confessano gli ortodossi. Insomma, nonostante lo dichiari apertamente ogni domenica, durante la Messa, monsignor Trevisi al Credo non crede. Ma allora perché dice «Credo»?

Si potrebbe rispondere: perché crede al resto del Credo. Giusto. Ma se è lecito dubitare del Filioque, perché non dubitare del resto? Ovvero: se i dogmi si devono decidere ecumenicamente o per evoluzione, perché non decidere tutto il resto a colpi di dialogo?

Si potrebbe ancora obiettare: il resto del Credo non è in discussione nell’ecumene. Giusto. Ma io confesso il Credo perché ci credo o perché l’ecumene ha trovato un accordo? Ci si potrebbe avventurare, inoltre, anche fuori dall’ecumene, con gli ottimi islamici e gli ottimi ebrei, così da convergere assieme su un Dio ripulito della natura trinitaria o della divinità del Verbo (tutti dogmi altamente divisivi). Il dialogo ne verrebbe edificato e la pace universale sarebbe lì lì da venire.

Quindi il dogma è divisivo. Monsignor Trevisi dice che non bisogna rinchiudere Gesù Cristo in una «formula che lo pietrifica». Quindi fa problema al vescovo – anche se non si azzarda a dirlo – non solo il Filioque, ma l’intera «formula» del Credo, che imperterrito egli continua a confessare ogni santa domenica. E perché allora non eliminare definitivamente il Credo, se è così divisivo? Perché non mettere tutte queste formulette in soffitta? Se infatti il Credo fosse depennato dalla liturgia, Cristo non sarebbe più pietrificato in formule e finalmente esploderebbe la pace cosmica.

Ma chi è contro il depennamento del Filioque? Personaggetti transeunte: Leone Magno (è lui che dogmatizzò il Filioque nel 447), Agostino, Ambrogio, Girolamo, Tommaso, Bonaventura e altri. Cioè i massimi santi Dottori della Chiesa. Ecco, secondo monsignor Trevisi costoro hanno pietrificato Gesù Cristo: lo hanno imbalsamato in formule inutili e divisive. Il presule non si azzarda a dirlo, ma lo crede fermamente (questa volta con fede certa).

A questo punto ci si potrà chiedere: perché tanta ritrosia, tanta ambiguità, tanta doppiezza, tanto parlare obliquo da parte dei vescovi contemporanei? Perché non dire schiettamente e onestamente: “San Leone Magno si è sbagliato, san Tommaso si è sbagliato, san Bonaventura si è sbagliato”? Per un motivo semplicissimo: perché il pronunciamento di monsignor Trevisi sul Filioque è collaterale alla sua firma del Manifesto di Parole O_Stili, documento che «ha l’ambizione di ridefinire lo stile con cui le persone stanno in Rete, vuole diffondere l’attitudine positiva a scegliere le parole con cura e la consapevolezza che le parole sono importanti». I firmatari – per la stragrande maggioranza di area Partito Democratico / sinistra varia – vogliono rieducare il popolo al nuovo linguaggio inclusivo, dove al centro non c’è la verità, ma le parole accomodanti, di compromesso, nell’illusione che questa prassi eliminerà guerre e discordie nel genere umano.

Ebbene, allo scoccare del 30 agosto 2023, il neo-vescovo Trevisi ha firmato il Manifesto e ne ha cantato le lodi. Nei dieci punti (una specie di Decalogo laicista) del Manifesto della comunicazione non ostile la parola «verità» non ricorre mai, ed è sostituita da «responsabilità», «rispetto», «intenzioni», «conseguenze», «credibilità», «umilianti», «dibattito pubblico», «silenzio». L’intenzione dichiarata è di bannare l’insulto, la parolaccia, la bestemmia, le fake news, il ciarpame dei social, lo slogan e il fanatismo. Ottimo. Fosse solo questo, sarebbe auspicabile un diluvio di firme.

C’è, al contrario, tutta una cultura censoria che si nasconde dietro le Parole O_Stili e alla cui base c’è un’intenzione non dichiarata, che sta a fondamento di tutto l’impianto ed è questa: non devo mai parlare per dire la verità, ma con responsabilità, stando ben attento a quel che dico, soppesando ogni sillaba con il bilancino, affinché le mie parole siano innocue, non abbiano conseguenze spiacevoli (velata minaccia) e non intralcino il pubblico dibattito.

Un esempio per tutti, onnipresente sui giornali controllati da ricchi editori: il solito maschio che vuole diventare una femmina (diamola per buona). Egli è sempre e solo definito dal giornalista «donna transgender». Non solo, ma tutti gli articoli e gli aggettivi riferiti a questa persona (questo maschio) dovranno essere al femminile, rigorosamente al femminile. Un errore di battitura può costare una denuncia o la radiazione dall’Albo. Ecco, questa è l’intenzione censoria dietro l’apparente mitezza di Parole O_Stili. La verità viene estromessa a favore del compromesso dialogante e della prescrizione inappellabile di stili e pensieri decisi dall’editore.

Ora questo programma è assunto in blocco dalla Chiesa di Trieste, che rinuncia di fatto al primato della verità, nonostante monsignor Trevisi dica che la sua firma è in nome di Gesù Verità. Non è vero: nel Manifesto è del tutto assente Gesù Cristo ed è assente la Verità, sia come vocabolo, sia come richiamo indiretto. Si confonde l’insulto con la schiettezza, la divisione con il dogma, il fanatismo con il sacrosanto mandato di dire la verità.

I vescovi non possono eliminare la sostanza della verità: il dogma è divisivo non perché pietrifica il vero, ma perché è la verità medesima a fare scandalo. È sempre stata la Chiesa a dirlo. Ora non lo dice più. Nella civiltà del dialogo, viceversa, la divisione è sovrana ovunque. Non è scoppiata nessuna pace a seguito dei pressoché infiniti dibattiti, summit e banalità analoghe. Sono invece scoppiate guerre e tra le nazioni regna adesso il caos.

 

 

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