Cari paladini dell’inclusività e del buonismo, abbiate il coraggio di andare fino in fondo

di Marco Radaelli

Caro Valli,

ho letto con interesse le sue considerazioni [qui] sulla “chiesa in uscita” che, spogliandosi delle scomode e tonanti vesti di Isaia, è entrata in quelle più calde e accomodanti di Liala, così da “far germogliare sogni, suscitare profezie e visioni […] imparare l’uno dall’altro e creare un immaginario positivo che illumini le menti, riscaldi i cuori, ridoni forza alle mani”.

Ridonare forza alle mani? Far germogliare sogni? Creare un immaginario positivo? C’è davvero da ridere, leggendo il foglietto da lei descritto. E infatti la mettiamo sul ridere anche noi. Ma c’è soprattutto da piangere. Probabilmente chi pronuncia queste parole si accontenta del loro suono tanto inclusivo e di essere al passo con i tempi, ma ci fermiamo un poco, e con un minimo di spirito critico, non ci vuole poi molto ad accorgersi che le conseguenze sono davvero terribili: si tratta infatti della dissoluzione della verità e dell’eliminazione di qualsiasi riferimento, considerato ormai scomodo e divisivo, a Dio, a Gesù o allo Spirito Santo. Il tutto per lasciare spazio a una mielosa società del volemose bene e del va bene tutto.

Le confesso, caro Valli, che pur sforzandomi non riesco a capire che cosa concretamente voglia dire questa roba (non so come definirla meglio), ma mi sembra di intuire che il risultato sarebbe che alla fine nessuno ha una Verità migliore delle altre e tutto dipenderebbe dal discernimento, dalla situazione, dalla cultura. In sostanza il soggettivismo più spinto, e fateci il piacere di accogliervi tutti senza giudicare nessuno.

E via con l’annunciare un regno di pace e di amicizia senza dire che questo regno si chiama in un solo modo: Regno di Dio; via con il predicare la speranza tacendo però sull’Unico che potrebbe davvero conferirla, e altre assurdità del genere. Pare così confermata la tesi che le presentavo qualche giorno fa in una lettera: a quanto pare, molti si sono convinti che per essere inclusivi sia necessario tacere la verità. “Noi non vogliamo convertire i giovani a Cristo”, abbiamo sentito di recente. Siccome la verità non sembra molto inclusiva, tanto peggio per la verità. Con buona pace di san Tommaso d’Aquino, ma non solo.

Che fine fa, ad esempio san Pietro, che negli Atti degli apostoli afferma: “Questo Gesù è la pietra che, scartata da voi, costruttori, è diventata testata d’angolo. In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati” (Atti 4, 11-12)? Che fine fa Lumen gentium, in cui si osa sostenere che “questa Chiesa pellegrinante è necessaria alla salvezza”?

E ancora: che fine fanno, per questi teologi del dialogo-per-il-dialogo senza scopo, i grandi santi della Chiesa cattolica come san Francesco il quale, mettendo a repentaglio la propria vita pur di affermare il Vangelo e convertire il sultano, partì per predicare “il Dio uno e trino e il Salvatore di tutti, Gesù Cristo, con tanto coraggio, con tanta forza e tanto fervore di spirito” (Tommaso da Celano, Vita prima)? E san Domenico, il quale dedicò la propria vita alla predicazione in terra catara per riconquistare alla vera fede quanti più eretici possibili? E san Paolo non ha esortato ad annunciare il Vangelo in ogni occasione opportuna e non opportuna o ha forse detto di stare bene attenti a non pestare i piedi a nessuno per mantenere una convivenza civile?

Tutti costoro oggi sarebbero bollati come pericolosi per il dialogo, e probabilmente verrebbero messi a tacere. Oppure verrebbero conservati, ma stravolti. E infatti, secondo la nuova vulgata, Francesco avrebbe messo a rischio la propria vita non per convertire il Sultano, ma per poter scambiare con lui due chiacchiere in amicizia. La storia osa affermare altro? Basta cambiarla. Un buonismo e uno stravolgimento della storia per farle dire ciò che si vuole per me insopportabili.

Però a questo punto le chiedo, caro Valli: non le sembra che così si faccia torto non tanto al profeta Isaia o a san Francesco, quanto piuttosto a Gesù stesso? Perché, insomma, non è stato lui a dire agli apostoli di andare in tutto il mondo a predicare il Vangelo, e “chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato”? Oppure li ha invitati a far germogliare sogni e a creare un immaginario positivo che ridoni forza alle mani? Ha prospettato loro fatica, incomprensione, perfino il martirio per il suo nome, oppure ha promesso il successo, la fama e l’accoglienza dappertutto grazie alla fratellanza universale? Non è stato lui a inveire contro i farisei con parole pesantissime e a perdonare sì l’adultera, ma invitandola a non peccare più? Sbaglio o ha chiesto ai discepoli che il loro parlare fosse “sì sì, no no”? E infine: come ha potuto essere così poco inclusivo da arrivare a proclamarsi lui stesso come l’unica Via e l’unica Verità?

Che vadano fino in fondo allora, questi paladini del politically correct: che se la prendano con Gesù stesso e con questa sua arrogante presunzione, così poco amorevole e inclusiva, di annunciare se stesso come l’unico Salvatore. Che abbiano il coraggio di condannarlo, questo cattivone. Quanto meno si mostrerebbero coerenti. E invece no, neanche questo.

A confortarmi, però, è che “Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre” (Eb. 13, 8) e che la verità non muta a seconda delle società, della convenienza e dei costumi. La verità è vera e basta, e non dipende dal tempo in cui essa viene pronunciata ma dal suo contenuto e dalla corrispondenza con la natura e con il cuore dell’uomo.

Ma poi, caro Valli, davvero si pensa di essere affascinanti presentando una proposta così annacquata e priva di sapore, che non annuncia nulla di decisivo per le vite degli uomini? Perché mai qualcuno dovrebbe abbandonare tutto per seguire chi non ha niente da dire sulla sua anima, sulla sua salvezza, sulla sua felicità, un più di vita? Per dire: io penso che un uomo vero come sant’Agostino, oggi, di fronte a una proposta così molle e sdolcinata, starebbe ancora vagando alla ricerca del luogo in cui far riposare il proprio cuore inquieto. Che cosa se ne fa un uomo, che senta l’urgenza della felicità e della bellezza, di sogni e di immaginario che riscalda i cuori? Sono le proposte forti, quelle con cui è possibile confrontarsi virilmente, quelle che hanno qualcosa di interessante e di decisivo da dire, che gli uomini stanno aspettando.

 

 

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