Chiesa e liturgia / Se la cura è proposta dal medico incapace

di Fabio Battiston

Prima parte

Il 30 settembre scorso sulle colonne on-line di Avvenire, immarcescibile velina della sedicente Nuova Chiesa Universale di marca bergogliana, è stato proposto un articolo di Giacomo Gambassi dal titolo estremamente eloquente: Sempre meno fedeli a Messa. «Ecco da dove possiamo ripartire».

Ma quello che, più di altro, ha attirato la mia attenzione (spingendomi a una lettura integrale del testo) è stato il sottotitolo, così concepito: Il calo delle presenze dopo il Covid, l’assenza dei giovani, il disagio per riti “scadenti”. Le diocesi si interrogano sulla partecipazione in crisi alle celebrazioni. Parla il vescovo Busca.

Ed è proprio dalle “acutissime analisi” del vescovo di Mantova che ho preso spunto per un commento a certe dichiarazioni (delle quali riporterò nel seguito alcuni estratti che ritengo significativi) che, come vedremo, spaziano dall’incredibile al tragico fino ad arrivare al quasi comico. Ma andiamo con ordine anche perché il buon prelato di carne al fuoco ne ha messa in quantità (quanto alla qualità… lasciamo andare). Ed è proprio per la messe di temi trattati nell’articolo che ho deciso di non tediare troppo i pazientissimi lettori di Duc in altum, dividendo il mio commento in due parti. La seconda arriverà a breve.

Per una maggiore chiarezza di chi vorrà sorbirsi questi miei contributi, metterò sempre in corsivo gli interventi di Busca.

L’incipit dell’articolista richiama pensieri foschi e prospettive altrettanto buie; sentite:

“Il campanile non chiama più come accadeva fino a pochi anni fa. Invece di un popolo intorno alla mensa eucaristica, c’è un gregge disperso che frequenta sempre meno le Messe nelle parrocchie italiane. E qualcuno parla di chiese vuote”.

Credo occorra notare, prima di tutto, come venga ormai costantemente riproposto il luteranissimo attributo di “mensa eucaristica” alla Santa Messa cattolica. Ma si sa, il settimanale “buon pranzo” ammannito dall’inquilino di Santa Marta al termine di ogni suo diabolus domenicale si è ormai esteso anche all’altare, oggi più che mai tavolo buono per ogni agape che si rispetti: colazione, pranzo, merenda e apericena.

Ma veniamo al primo commento che il vescovo lombardo ci regala sulle parole dell’articolista:

È evidente la diminuzione della pratica della fede. Ma occorre ricordare che l’esperienza ecclesiale non si esaurisce entro i confini del rito. Come narra il Vangelo, Cristo è passato beneficando e risanando tutti quelli che incontrava nei contesti ordinari della vita. Ecco, la Chiesa intercetta non soltanto coloro che si siedono sulle panche ma l’intero popolo di Dio che comprende anche chi si interroga sulla verità e sul bene. Del resto non dobbiamo disconoscere che c’è una diffusa ricerca di spiritualità nel nostro Paese, di cui la Chiesa è chiamata a farsi interprete.

Bingo! Alla faccia del terzo Comandamento il caro vescovo – nientemeno che presidente della Commissione episcopale Cei per la liturgia – ci dice che, in fondo, di surrogati alla partecipazione liturgica per un cattolico ce ne sono molti e che chiunque si interroghi sulla verità (notare il minuscolo) e sul bene viene intercettato dalla Chiesa. Atei o devoti, massoni o clericali, agnostici o filosofi orientali, buddisti o confuciani pari sono per la Chiesa 2.0, anzi no! Costoro sono ben più apprezzati di quel manipolo di indietristi che, a ogni festa comandata (ricordate? Una volta si diceva così), partecipano a certe liturgie che non dovrebbero più trovar posto nella vita di un buon cattolico. Busca ci parla di un Cristo benefico e risanatore, tralasciando bellamente che tali attributi non sono mai disgiunti dagli elementi più significativi che hanno connotato l’agire del Signore su questa terra: insegnare, convertire, evangelizzare ad una sola fede, una sola parola e, soprattutto, una sola Verità. Ed ancora, donare misericordia e perdono solo alla luce di un sincero ravvedimento.

Siamo invece di fronte all’incubo bergogliano che prende finalmente corpo: non più la liturgia – della parola, del sacrificio e della redenzione – come centro di gravità di una comunità di fratelli in Cristo che si riunisce nella preghiera e nel rinnovamento quotidiano (non nel semplice ricordo) dell’offerta del Pane e del Vino. Al suo posto, una comunità universale non solo di diversi, ma anche e soprattutto di opposti (e che intendono rimanere tali), nella quale la Chiesa cattolica si propone come collante ed in cui la liturgia si diluisce fino a non essere più riconosciuta. Per Busca si può fare ed essere chiesa in mille altri modi che non siano l’ordinario “andare a messa la domenica”. È lo stare insieme su obiettivi – spesso divergenti – e con forme diverse che ci fa sentire, finalmente, tutti uniti e tutti fratelli. Insomma a 234 anni di distanza, l’universalismo di Robespierre ha finalmente trionfato e con esso quell’umanesimo ateo che aveva visto quasi sempre il cattolicesimo come il suo più acerrimo nemico. E oggi la Chiesa cattolica temporale, quella che dovrebbe essere la nostra Chiesa, fa suo questo demoniaco progetto!

Pensate sia finita così? Neanche per sogno; leggete il successivo commento di Busca, degno delle più divertenti comiche di Stan Laurel e Oliver Norvell Hardy (e mi scuso con questi due sublimi maestri):

Dovremmo chiederci: chi si è allontanato da chi? È la gente che si è allontanata dalla Chiesa o da determinate ritualità; oppure è la Chiesa che si è allontanata dalle persone perdendo in parte la sua capacità di incontro nel nome del Vangelo? Comunque spesso siamo di fronte a comunità con legami fragili, con appartenenze deboli e talvolta anche con uno stile di fraternità a velocità variabile.

Insomma, partendo da alcune serissime domande che si pone chi desidera capire ciò che lo circonda, si arriva ad una prima nefasta conclusione, tipica di meccanismi psicologici di tipo proiettivo. Il problema è della comunità, dei suoi legami fragili e del suo modo astruso di concepire la fraternità; è tutto questo che mal si sposa con ciò che la Chiesa da tempo si sforza di insegnare e divulgare. Non è quindi essa, nella sua innovativa versione 2.0, che si è allontanata dai fedeli e dalla tradizione; sono invece i credenti che – tapini – non comprendono perché si debba adorare la pachamama, perché ci si dovrebbe sentire fratelli con un buddista (condividendo quale Verità?) o perché essere felici sentendo un Papa sostenere che l’aborto è un problema antropologico e non, soprattutto, di fede.

Ma ecco un’altra perla dell’amico vescovo:

Nelle sintesi diocesane giunte a Roma per il Cammino sinodale della Chiesa italiana – afferma Busca – è emersa una qualità celebrativa un po’ deludente, un anonimato delle liturgie che non può essere trascurato. Si chiede maggiore attenzione da parte di chi presiede e delle assemblee. Oppure di superare una gestione clericale dei riti. Inoltre viene sottolineato un divario fra liturgia e vita che balza agli occhi soprattutto nell’omelia: in molti hanno manifestato il proprio malessere di fronte a riflessioni che non hanno una lingua materna e non riescono a sintonizzarsi sulla lunghezza d’onda spirituale che si irradia nelle nostre città.

Sembra che ad ogni dichiarazione si sia raggiunto il colmo e invece Busca è veramente imbattibile. Ma come! Sono decenni che la Chiesa cattolica sta progressivamente stravolgendo la liturgia nel nome di una Sacrosanctum Concilium che, è bene ricordarlo, non aveva mai suggerito le nefaste “innovazioni” poi sistematicamente applicate. Sta facendo a pezzi Tradizione e Depositum fidei nei vari messali novum che si sono finora succeduti, trasformando la Santa Messa in una kermesse neopagana. Eppure, di fronte a questa triste e innegabile realtà il monsignore a capo della Chiesa mantovana se ne esce con esilaranti spiegazioni quali: qualità celebrativa deludente (neanche fosse un prodotto da supermercato), anonimato delle liturgie e gestione clericale dei riti (e che accidenti significa?). Ed ancora il comico accenno alle “riflessioni che non hanno una lingua materna” e “non sono sintonizzate sulla lunghezza d’onda spirituale che si irradia dalle nostre città”. Ma come parli signor vescovo? Sono le vostre generazioni di prelati succedutesi, con rare eccezioni, dal 1965 in poi che hanno creato questo sfacelo proprio nel nome di una ricerca ossessiva di piacere al mondo, di relativismo/secolarismo a piè sospinto, di dialogo in tutto e con tutti, venendo meno al ruolo fondamentale di essere evangelizzatori nell’unica Via, Verità e Vita. Sono i vostri sacerdoti che entrano in chiesa in monopattino, che trasformano i matrimoni in concerti rock dal vivo, che fanno a gara nel non vestire l’abito e via discorrendo in altri mille, diecimila esempi, che hanno iniziato e continuano a parlare un linguaggio (verbale e non) che essi credono à la page ma che in realtà ha contribuito a rendere la Chiesa, oggi, così come l’incipit dell’articolo in oggetto l’ha definita: vuota!

A prestissimo per la seconda parte; si parlerà di Covid e ne sentirete delle belle!

1.continua

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