Lettera da Bologna / La carne halal nelle mense scolastiche e il cortocircuito dei progressisti

di Michela Di Mieri

Caro Valli,

mi rendo perfettamente conto che questo periodo è caratterizzato da ambasce ben esiziali per la nostra Fede. Nondimeno vorrei portare l’attenzione su un fatto di cronaca locale, dall’apparente secondaria o terziaria importanza rispetto alla Rivoluzione che si sta consumando davanti ai nostri occhi, e passato anche abbastanza in sordina, perché il diavolo, oltre a rendersi palesemente manifesto nelle romane sciagure, si nasconde, come si suol dire, nei dettagli, dai quali sarebbe saggio trarre insegnamenti e avvertimenti.

Per partire, rivolgo a lei ed ai lettori una domanda: avete mai visto le strade di Dacca, in Bangladesh, trasformate in torrenti di acqua, per le piogge, e sangue, quello delle migliaia e migliaia di ovini sgozzati, per la tre giorni della Festa del sacrificio? Ecco, io vorrei fare delle gigantografie di quelle immagini e andarle ad appiccicare nottetempo, come facevo una volta, quando si partiva con la complicità del buio, colla e pennello, a fare attacchinaggio, sui muri dei comuni, così da sbatterle in faccia a un’anestetizzata Bologna in preda alla consueta, frenetica alienazione quotidiana.

Perché quelle immagini mi sono subito venute alla mente, con un vago brivido lungo la schiena, quando ho letto della sperimentazione che i solerti funzionari al governo della “città più progressista d’Italia” hanno partorito per questo anno scolastico 2023/24, tirando fuori in gran spolvero tutto l’armamentario classico delle parole magiche, con cui rendere ragione delle loro favole che si trasformeranno puntualmente in incubi.

E dunque, dal giorno 2 di ottobre dell’anno di grazia 2023, in tre quartieri non meglio precisati, in alcuni anonimi istituti scolastici dipendenti dall’amministrazione comunale, dai seicento agli ottocento bambini potranno chiedere la somministrazione di pollo cucinato secondo le norme della macellazione rituale islamica, cosiddetta halal.

Plauso immediato del signor Yassine Lafram, presidente dell’UCOII e delle locali comunità islamiche (nonché interlocutore assiduo del nostro arcivescovo), che, usando espressioni trite e ritrite, definisce gongolante tale barbarie come “un atto di civiltà vero e proprio, che va sicuramente nella direzione di favorire una maggiore integrazione positiva e costruttiva tra i bambini, dove la diversità non è un elemento divisivo, ma anzi diventa momento inclusivo anche di conoscenza dell’altro e delle sue abitudini”. A chiosa, ci informa che “la notizia ha già fatto il giro di varie famiglie musulmane ed è stata accolta molto favorevolmente e con grande gioia”. Chi l’avrebbe mai detto. Per inciso: per conoscersi, non c’era alcun bisogno di sgozzare polli lasciandoli gocciolare stilla a stilla, bastava che ce lo raccontassero.

La notizia passa comunque sotto strano silenzio, l’opposizione non imbraccia le armi, la popolazione sbadiglia, ha altro a cui pensare.

È finita qui? No, perché, qualche giorno dopo, si sveglia un altro figlio del nostro mondo occidentale contemporaneo, portatore di un’altra religione, l’animalismo: la Lav. Inferocita. “A prescindere che, per chi non mangia carne per scelta, questa davvero etica e di civiltà, nessuna forma di macellazione può essere accettabile, riteniamo che nessun processo di integrazione fra culture diverse possa e debba essere basato su un atto di violenza gravissimo ai danni di esseri viventi e senzienti. Nella macellazione rituale, secondo i precetti della Sunna, la morte degli animali è lenta, in piena coscienza, ancora più atroce rispetto alla già terribile macellazione con stordimento”. E rilancia una vecchia proposta che, a suo dire, potrebbe veramente fare la differenza tra civiltà e oscurantismo, ovvero la diminuzione del consumo di carne nelle mense scolastiche pari al 20%, dovuto all’istituzione di un giorno 100% vegetale ogni settimana. Per concludere, infine, una riflessione: “Questa sarebbe una vera scelta di civiltà, per l’ambiente, per la salute, per gli animali. Meno carne nelle mense, meno violenza a scuola, meno smog in città”. E su questo trittico mi rimane qualche ombra: va bene la relazione tra gli allevamenti intensivi e l’aumento dei livelli di CO2, ma mi sfugge quella tra la minor violenza scolastica e una dieta più vegetariana.

Non entro e non voglio entrare nel dibattito sulla legittimità del vegetarianesimo, del veganesimo e degli allevamenti intensivi: non è questa la sede per esprimere le mie personalissime opinioni in merito. Mi vorrei, invece, soffermare sul cortocircuito in cui stiamo incappando, pormi e porre a lei e ai lettori del suo meritevolissimo blog una domanda. Che i figli dell’idra rivoluzionaria, per certi aspetti oramai grandicelli, si stiano iniziando ad accapigliare tra loro? Perché, come può la testa islamica, che ha riesumato in Occidente il concetto di sacrificio animale, convivere con quella che vuole le altre bestie che camminano, volano, strisciano e nuotano ontologicamente uguali ad homo sapiens?

E così, se ci proiettiamo in modo altrettanto sperimentale verso un futuro neppure troppo lontano, quelle raccapriccianti immagini di Dacca e dei suoi Flegetonti non suonano più così aliene. Per ora, ancora, anche se corposa e invadente, i seguaci di Maometto costituiscono una minoranza. Ma già ha ottenuto, nell’evoluta e sensibile Emilia, di poter sgozzare le bestie senza stordimento, dissanguandole goccia a goccia, in uno stillicidio di dolore (perché non è che se non hai l’anima intellettiva allora non hai il sistema nervoso eh?), fino a completo dissanguamento, rivolte verso la mai troppo lontana Mecca, empiendo l’aria dell’adrenalina del terrore e della morte, che gli animali superiori, con le loro capacità olfattive, percepiscono oltre qualsiasi umana comprensione, e che si diffonde ovunque, come in un enorme mattatoio a cielo aperto.

Cosa sarà quando il loro numero crescerà notevolmente, nei prossimi decenni, con inevitabile pretesa di una sempre maggior rappresentanza politica?

Non so voi, ma io non me ne faccio niente che la pratica avvenga all’interno di un macello autorizzato e sanificato sotto la supervisione Asl: è il dolore gratuito e aberrante di quelle bestie che mi fa male, è la barbarie che stiamo iniziando ad accettare che mi ripugna, è il tradimento e l’oblio di quell’Uomo su cui si è fondata la nostra civiltà, che mi fa indignare di rabbia. Perché chi lo proclama forte e chiaro, oggi, sia agli islamici, sia alle anime belle animaliste, che aveva già detto tutto? Che noi, europei e italiani, sappiamo tramite Lui che non è impuro ciò che entra, ma ciò che esce dall’uomo, che i sacrifici più o meno arzigogolati e cruenti di ovini, bovini e pollame sono aboliti, in quanto il Suo solo è quello che fa la differenza? Che esiste un benedetto ordine gerarchico tra le creature e che Adamo, come ha nominato gli animali, così di essi risponderà? Nessuno. Non è rimasto più nessuno. Non la Chiesa, che si fa paladina di un ecologismo d’accatto ma tanto di successo, ma che si guarda bene dall’opporre parole chiare e nette ai retaggi tribali islamici. E se non lo fa lei, è impensabile che lo faccia Cesare, che non va oltre un insipido balbettio su quanto sia brutta e cattiva la crudeltà sui pucciosi, morbidosi e languidosi animaletti.

Eppure sarebbe la nostra unica salvezza. Perché, non illudiamoci, noi saremo il campo di battaglia dell’inevitabile scontro tra le varie teste dell’idra anticristica, che mai potranno conciliare, un esempio tra i tanti, il concetto di padre uno e due con un omosessuale bendato spinto giù dal ventesimo piano.
Le strade di Dacca non sono poi così lontane, e si avvicinano impercettibilmente, man mano che il Natale si trasforma nella festa d’inverno delle luci e della solidarietà e che le industrie di pet food sfornano i canettoni e i candori.

“Che mamma cattiva, amore!” esclamò la commessa all’indirizzo del mio lupo nero che sbavava verso una rotula di bue, al mio rifiuto di acquistarne uno. In quel momento, Dacca era subito fuori dalla porta.

 

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