Dagli “Appunti per un distacco” a un dibattito di vera fraternità

di Fabio Battiston

L’8 novembre scorso Aldo Maria Valli ha pubblicato [qui] un mio contributo dal titolo Appunti per il distacco definitivo; era il mio ennesimo tentativo di capire cosa fare, come comportarsi e come agire di fronte al prorompente e sempre più pervasivo tsunami che sta distruggendo, o tentando di farlo, la Chiesa cattolica temporale. In quelle righe appariva sempre più chiaramente la mia necessità di un redde rationem che ponesse finalmente fine a un dissidio interiore e che potesse dire basta ad una serie di contraddizioni evidenti tra la realtà di una Chiesa temporale in disfacimento ed un’appartenenza ad essa sempre meno sentita.

Da quel giorno, per tramite di Valli, mi sono giunte numerose testimonianze di tante persone che, seppur in gran parte accomunate dalla medesima angoscia per la situazione che stiamo vivendo, hanno voluto affermare con robuste argomentazioni sia la condivisione delle mie riflessioni sia – e sono stati i più – la necessità, direi l’urgente impellenza, di non abbandonare la barca di Pietro. Un abbandono che pare a molti, proprio nella grande sfida con il Male che il Signore ci sta ponendo innanzi, l’ultima cosa di cui la Chiesa ha bisogno. Ne è nato quindi un dibattito “parallelo”, al di fuori delle colonne di Duc in altum, nel quale credo vi sia stato un reciproco arricchimento nel rispetto di posizioni diversificate. Un beneficio utile per tutti noi. Proprio per questo Valli mi ha chiesto di scrivere alcune note che potessero offrire alla platea di Duc in altum una sintesi di quanto emerso in questi confronti. Per motivi di spazio citerò più ampiamente solo alcune delle persone che hanno avuto la bontà e la carità di offrire i loro contributi, ma il mio abbraccio va a tutti coloro che hanno risposto non certo al sottoscritto ma ad una problematica che è evidentemente sentita da molti di noi.

Voglio iniziare dalla testimonianza che maggiormente mi ha toccato: quella di sorella Paola Maria, monaca eremitica. Poche, profondissime parole provenienti da una fede per raggiungere quale, se me ne sarà concesso il tempo, ho ancora un lungo cammino da fare. Ecco ciò che essa ci offre:

… sono sempre stata certa che il Signore continua ad essere presente nella sua Chiesa, anche attraverso di noi che ci manteniamo saldi sulla Roccia del Cristo. Altri tempi passati erano da “riprovare o sconfessare”, tuttavia lo Spirito Santo ha avuto modo di andare oltre e creare un Bene maggiore, come solo Lui sa fare, anche grazie ai fedeli o sacerdoti o religiosi semplici che in Cristo nel silenzio e nascondimento fecondavano la storia. E oggi ha bisogno anche di noi. Solo dal di dentro, come san Francesco di Assisi ai suoi tempi, si può rinnovare la Chiesa. Restiamo in essa, magari in un cantuccio ad attendere e operare con Maria. È ammalata, parte della chiesa, ma non abbandoniamola nella malattia, e non amputiamoci. Riuniamo le forze immunitarie della preghiera e del sacrificio. Restiamo in Cristo e Lui rinnoverà la sua Sposa con la Verità. Chi persevererà fino alla fine sarà salvo.

Vorrei essere nel suo cuore e nella sua mente, sorella Paola Maria, per riuscire a provare non i sentimenti, ma la forza della fede che sta dietro alle sue semplici ma potenti considerazioni. Io, purtroppo, sono ancora molto, troppo distante da quella meditata serenità che traspare dalle sue righe. Come talvolta si usa dire, guardo ancora al mio ombelico piuttosto che lassù in alto. E quel guardare in basso che scatena in me la voglia di fuggire, non per viltà, ma per un irrefrenabile desiderio di “fare qualcosa” che, anche in piccola misura, possa cambiare su questa terra le sorti di una Barca che affonda ogni giorno di più. La sua invocazione al Signore che ci dia pace, dovrebbe essere la stessa che, ogni giorno, dovrei rivolgere a Dio. Purtroppo, reverenda madre, il peso che sento per distogliere lo sguardo dall’ombelico e volgermi fiducioso al Cielo è ancora fortissimo.

Il contributo di padre Giovanni Cavalcoli è quello che, unico tra i tanti, non sono riuscito a condividere. Ecco alcuni estratti delle sue riflessioni:

Battiston esagera la portata delle difficoltà che ci procura questo Papa e non tiene conto di tanti suoi atti che lasceranno un buon ricordo nella storia, come la sua grande sensibilità, attenzione e compassione per le per le immense moltitudini che soffrono per la fame, le malattie, la disoccupazione, le guerre, la solitudine, le violenze subìte di ogni genere, le calamità naturali, i governi dispotici.  

Egli sarà ricordato inoltre per grandi atti che fino a lui nessun Papa aveva mai compiuto, come l ‘accordo di Abu Dhabi, la condanna dello gnosticismo, la catechesi sul diavolo, la cura del creato, il tema della fratellanza, oltre a riprendere atti compiuti già da altri Papi, come la prosecuzione della riforma conciliare e del dialogo a tutto campo, la devozione allo Spirito Santo, la condanna dell’idealismo, la tematica della giustizia sociale, il rifiuto tanto della mondanità quanto dell’indietrismo, l’evangelizzazione al posto di  un ingannevole proselitismo, la pastoralità al posto del clericalismo, la sinodalità al posto dei conflitti interni.

Questa la mia risposta: “Non posso negare di essere rimasto basito leggendo come lei consideri una serie di fatti, decisioni ed accadimenti di questo decennio bergogliano, come grandi atti per i quali potrà conservarsi un buon ricordo del suo pontificato. La Dichiarazione di Abu Dhabi, la fratellanza universale, il dialogo/ascolto a tutto campo, l’attacco alla tradizione spacciata per indietrismo, la giustizia sociale in chiave catto-progressista, l’esaltazione di un mostruoso modello di sinodalità e, non ultima, ciò che lei definisce la “cura del creato” che altri non è se non la devozione pagana dell’ambiente che ha preso il posto dell’adorazione del Creatore. Sono proprio queste alcune delle più importanti questioni che mi stanno spingendo fuori da questa Chiesa temporale. Altro che buon ricordo!”

Tuttavia Padre Cavalcoli ha usato alcune espressioni che mi hanno fatto e mi stanno facendo riflettere:

Ma occorre aver ben chiari i limiti che non dobbiamo travalicare se vogliamo esseri veri e buoni cattolici, poiché, come lei dovrebbe saper bene, è proprio su questo punto che si distingue il cattolico dal cristiano non-cattolico, cattolico, che poi non è altro che il cristiano nel senso pieno del concetto.

Quanto c’è in me di cristiano non cattolico che mi spinge a travalicare alcuni limiti, come quello della possibilità di abbandonare questa Chiesa? Quanto la mia costante “vicinanza” con il Dio veterotestamentario o con l’ortodossia producono nel mio essere cattolico una visione più orientata alla contrapposizione ed allo scontro, piuttosto che alla carità? È certamente un aspetto da esplorare con serietà e sincerità.

Un altro importante contributo mi è pervenuto da Bernardo del Rio. Eccone alcuni passi:

Attualmente la Chiesa Militante è occupata da un Antipapa apostata e da un buon numero di cardinali e vescovi della stessa risma.

Bene spiega il cardinale Biffi perché sono apostati: “Ma se il cristiano, per amore di apertura al mondo o di buon vicinato con tutti, quasi senza avvedersene, stempera sostanzialmente il Fatto salvifico nella esaltazione e nel conseguimento di questi traguardi secondari, allora egli si preclude la connessione personale col Figlio di Dio crocifisso e risorto, e consuma a poco a poco il peccato di apostasia, alla fine si ritrova dalla parte dell’Anticristo”. 

Rincara la dose monsignor Viganò in un recente intervento“Inimicus Ecclesiæ, ho detto nel mio intervento sul vizio di consenso. Un nemico che agisce con coerenza e premeditazione nel compiere l’esatto opposto di ciò che ci si attende dal Vicario di Cristo e dal Successore del Principe degli Apostoli. Oggi ci troviamo dinanzi al paradosso di un autoproclamato “padrone” della Chiesa – perché come tale agisce Bergoglio – che caccia dal banchetto chi ha la veste nuziale e vi ammette indiscriminatamente tutti gli altri. Ma se la ‘chiesa’ di Bergoglio non vuole i Cattolici, come può dirsi “cattolica”? Se chi esercita la propria autorità di “papa” lo fa contro l’autorità di Cristo, come può essere considerato Suo vicario?”

Non siamo noi, peccatori ma fedeli di Gesù che confidiamo nella Sua Misericordia ma che temiamo anche la Sua Giustizia, che dobbiamo andarcene.

Non voglio dare consigli ma ti dico cosa faccio io per quel che vale: da soldato di Cristo, armato, come consigliava san Pio da Pietrelcina, della Corona del Rosario, partecipando alla Santa Messa di sempre, cercando buoni sacerdoti, che si trovano ancora, per la confessione frequente, vado avanti nella battaglia con la certezza di aver già vinto la guerra.

Chiudo questa piccola carrellata con il signor Giuseppe Carli. Inserisco la sua breve ma efficace riflessione cui segue la mia risposta:

Letto su Duc in altum il suo intervento sulla sua personale crisi di fede, vorrei fraternamente pregarla di non fare sciocchezze e di lasciar perdere ogni pensiero di abbandonare la Chiesa! 

Se si tiene stretto alla fede cattolica tutto andrà bene. Se abbandonerà la Chiesa tutto sarà perduto.

Rifletta con umiltà invece sul fatto che, anche per effetto della confusione generale successiva al Vaticano II, possa essere carente, e quindi sorgente di equivoci e incomprensioni interiori, la sua conoscenza del senso cattolico di alcuni dogmi della fede (ad esempio quelli relativi alla natura della Chiesa stessa).

Se esprimendo il suo timore di abbandonare (prima o poi) la Chiesa lei volesse dire che si sente sempre più trascinato dal dovere di non riconoscere Bergoglio e i vescovi in comunione con lui come la vera autorità della Chiesa, sappia che adempiendo a quel dovere non abbandonerebbe affatto la Chiesa (al contrario, onorerebbe la sua fede), perché queste persone non hanno alcuna autorità. E non si abbandona la Chiesa se, avendo la fede, non si abbandona l’autorità della Chiesa.

Coraggio, quindi! 

La Chiesa è nelle mani di Colui a cui basta dire al mare di calmarsi perché il mare si faccia calmo. Non dimentichi di tenerne conto. Il rinnegamento del sacrificio della santa messa non poteva che mettere i buoni in stato di sacrificio.

Gentilissimo signor Giuseppe, quello che lei afferma è vero non c’è ombra di dubbio. Tuttavia ciò che io ho espresso nel mio contributo (ed in numerose altre occasioni, sempre per iscritto) nasce solo parzialmente dalla consapevolezza di un Papa – e dei Vescovi in comunione con lui – ormai deragliati da Tradizione, Scritture e Depositum fidei. Il problema, per fare un paragone ciclistico, è che dietro questi “battistrada” c’è un gruppone inseguitore composto ormai da una moltitudine di cattolici (sacerdoti e laici), organizzazioni ed associazioni, volontari, comunicazione e mass media confessionali che sono portatori – in Italia e nel mondo – del nuovo verbo che esce dalle malefiche bocche di chi guida la corsa. Non è di un pontefice “fuori di testa” o di una Curia ribelle di cui si discute, qui c’è una gran parte del mondo cattolico in forsennato movimento verso la catastrofe. Che poi questo tsunami si chiami apostasia, neopaganesimo, sincretismo, religione universale o che accidenti altro, poco importa.

Con quale atteggiamento ci si deve porre di fronte a questo scenario? Quale forma di “combattimento” deve essere perseguita? La fede, la preghiera, certamente! Ma si può (e si deve, dico io) lottare anche in qualche altra forma per non dover assistere alla Messa nelle catacombe o non essere costretti ad invitare di nascosto un sacerdote ribelle a celebrare in casa nostra? Come possiamo continuare a definirci cattolici quando, con tale termine, viene ormai definita una categoria umana le cui caratteristiche, modi di essere e di pensare sono l’opposto di ciò che noi intendiamo rappresentare? E non parlo di diversità/divergenze che potrebbero contraddistinguere dogmaticamente, che so, Chiesa cattolica e ortodossa. No! Qui c’è molto, troppo di più. Oserei dire che siamo di fronte ad uno iato di tipo addirittura antropologico. Siamo due categorie umane che, in termini geometrici, sono come due rette parallele che si incontrano…all’infinito, in luogo chiamato “punto improprio”, un qualcosa che non esiste.

Questo è ciò che penso e che mi sta spingendo in un territorio che anche io ho un po’ il terrore di esplorare.

Questi e tanti altri i pensieri, le riflessioni ed i contributi che i lettori di Duc in altum hanno inviato e che è impossibile trattare in questo spazio. Voglio però ancora brevemente ricordare:

  • la struggente testimonianza di Igor;
  • il forte richiamo del professor Enrico Maria Radaelli in difesa della liturgia come fondamentale argine al declino imperante della Chiesa temporale;
  • Claudio Traino e il suo approfondito contributo nel quale, tra l’altro, sottolinea con forza che è dall’interno della Chiesa che è necessario portare avanti quella battaglia culturale che appare, mai come in questo momento, assolutamente necessaria e che è anche tramite la nostra battaglia quotidiana che dobbiamo cercare di far capire, con intelligenza, che una Chiesa senza metafisica, tutta schiacciata sull’immanente senza preoccuparsi del trascendente non ha ragione d’essere.
  • Graziano Luchetti il quale, come me, recita ancora il Pater noster nella formula di sempre. Resistere significa anche questo;
  • Mauro Mazzoldi, dichiarato non idoneo nella sua parrocchia come catechista a causa della sua partecipazione al vetus ordo. Nel tuo significativo messaggio affermi: “Ho chiaramente percepito che sono loro fuori dalla Chiesa non noi. Potranno inventarsi le stravaganze più insulse ma sono altro da cattolici. Non vogliono saperlo, sono tiepidi quindi vomitati dalla bocca del Signore”. Anch’io la penso così; purtroppo sono loro gli occupanti, loro i padroni. Combatterli dal di dentro potrà anche essere possibile ma sarà durissima;
  • l’ex cattocomunista Mario Scarpino e i suoi “controappunti” per il no al distacco definitivo dalla santa Chiesa cattolica. La sua “ricetta” appare semplice nella sua chiarezza cristallina; vi sono piccoli lumi nella Nostra Santa Madre Chiesa per cui a mio modesto avviso non ci è concesso distaccarci, non possiamo. E poi abbiamo il Sacro Cuore di Gesù, il Cuore Eucaristico, la Vergine Maria, il Santo Rosario, la Parola di Dio. Siano la nostra fortezza soprattutto in tempi inevitabili di persecuzione. Quel suo “non possiamo” mi ha fatto venire in mente il “non possumus” dagli Atti degli Apostoli ed il “Non debemus, non possumus, non volumus” di Papa Pio VII alla soldataglia napoleonica. In entrambi i casi un NO netto ai nemici di Dio e della sua Parola. Oggi un no altrettanto deciso, ma a che cosa? Al distacco o all’appartenenza?
  • Remo Fantozzi al quale confermo, seppur solo da parte di padre, le mie origini venete. È anche alla grande tradizione cattolica di questa terra che devo gran parte della mia educazione alla fede;
  • Giovanni Marzocca con il suo richiamo a santa Caterina da Siena quand’essa afferma che “anche se il papa fosse un demonio incarnato, bisogna comunque rispettarlo e perfino amarlo, pregando per lui” (e quando mai ci riuscirò?).
  • Gianfranco Artale che nel suo accorato appello a non lasciare la Chiesa ci offre due interessanti spunti: non c’è motivo di lasciare la Chiesa perché fortunatamente l’hanno già lasciata Bergoglio e i suoi sgherri. Pensandoci bene, nelle tue correttissime domande retoriche, è infatti sbagliata l’iniziale: è la chiesa, e non la Chiesa a fare quel che lamenti!
  • La redazione di Difendiamo la Verità e il suo approfondito ed interessante contributo.

Questo è quanto. L’agorà di Duc in altum ha mostrato, se ancora ce ne fosse bisogno, di essere una comunità viva, partecipe ed accompagnata da quello spirito di fraternità e carità in grado di guidare le relazioni e gli scambi tra tutti gli interlocutori. Uno spirito così splendidamente rappresentato dalle parole di sorella Paola Maria. In fondo credo sia proprio questo il senso ultimo di questo dibattito. Le ansie, le incertezze e le confusioni che questo frangente della vita della Chiesa contribuisce in modo decisivo a creare, si trasformano in un’opportunità per cercare di ritrovare il senso di appartenenza alla barca di Pietro. Leggendo le diverse testimonianze e riflessioni che sono giunte, vi è una prevalente condivisione nel restare saldamente presenti nella Chiesa pur nelle diversità sul “come” esserne parte e con quali strumenti relazionarsi con essa, specie in un contesto come l’attuale. Sorella Paola Maria ci dice che la sua scelta di eremitaggio è stata molto influenzata dagli inquietanti interrogativi che la Chiesa di oggi sollecita. È un modo per estraniarsi e restare nello stesso tempo? All’opposto vi è la presenza nella Chiesa del professor Radaelli, fieramente schierato in un contesto resistenziale in cui non c’è posto per l’abbandono ma solo per combattere una battaglia da vincere.

In questo contesto, lo scorso 14 novembre, su Duc in altum è stata pubblicata un’intervista al vescovo statunitense Joseph Edward Strickland, tra le ultime vittime del carnefice di Santa Marta. Analizzando la sua vicenda (ben nota ai lettori del blog e praticamente sconosciuta agli adoratori del gaucho) ecco, tra l’altro, cosa dichiara il vescovo, ormai emerito, di Tyler:

Invito a non pensare nemmeno di allontanarsi dalla Chiesa. Siamo un corpo solo. Noi siamo il corpo mistico di Cristo. Dobbiamo essere forti, gioiosi e pieni di speranza, pregando più intensamente che mai, affinché chiunque sia turbato, arrabbiato e confuso, in preda a emozioni negative, possa superare tutto con la consapevolezza che Gesù Cristo è verità e calma, e noi siamo pieni di gioia nel conoscerlo e condividerlo.

Quando ho letto queste parole ho pensato che Strickland avesse letto il mio articolo dell’8 novembre e volesse in quel modo rispondermi. Scherzi a parte, questa frase, detta da chi in questo momento è vera vittima degli abusi di un falso profeta, suonano come un richiamo fortissimo a tutti quelli che, come il sottoscritto, sono squassati dall’inquietudine. Chissà, forse questo messaggio ha colto nel segno. E se così fosse, non c’è da dubitare su Chi ha voluto inviarmelo. Speriamo sia così.

 

 

 

 

 

 

 

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