Chiesa e ong “Mediterranea”: vicenda triste ed emblematica

Caro Valli,

che tristezza lo spettacolo offerto dalle inchieste di Panorama e La Verità sulle indagini che coinvolgono la ong Mediterranea.

Non mi riferisco al contenuto delle intercettazioni: ritengo in genere indegna di un paese civile la pubblicazione di conversazioni private, che spesso non hanno neppure rilievo penale, volta a soddisfare la morbosa curiosità dell’opinione pubblica che non vede l’ora di spiare il vicino dal buco della serratura.

Mi riferisco, invece, alle iniziative assunte da alti vertici della Chiesa che si sono improvvisati pseudo armatori allo sbaraglio foraggiando discutibili personaggi noti alle cronache per appartenere alla galassia antagonista e che hanno fatto dell’immigrazione un business.

Iniziative recentemente difese da Avvenire, che rivendica la vicinanza della Chiesa “a chi scappa da sete e fame e per disperazione arriva a mettere a rischio la sua stessa vita o quella dei figli che porta con sé. Sostiene chi cerca di salvare quelle vite in mare”.

È certo non solo diritto ma preciso dovere della Chiesa stare vicino ai più deboli, non dimenticando, tuttavia, che il principale compito resta sempre quello di evangelizzare (per la salvezza delle anime), che la carità va esercitata nella Verità (che sembrerebbe dimenticata dal nuovo magistero) e che la prudenza impone di non dare scandalo.

Nessuna delle richiamate condizioni sembra soddisfatta da quei prelati che con spericolate manovre scendono a patti con chi non si fa scrupolo di navigare ai margini della legalità e di strumentalizzare l’appoggio della Chiesa per finalità personali.

Si illudono di poter manovrare i loro interlocutori ma sono talmente ingenui (nella più benevola delle ipotesi) da non capire che sono loro a essere costantemente manipolati da quegli stessi interlocutori. Un po’ come le interviste che papa Francesco rilasciava a Scalfari, che consentivano al giornalista di scrivere quello che voleva, interpretando a suo piacimento (si spera) le parole del pontefice. La conseguenza di quelle interviste non era certo l’avvicinamento dei non credenti alla fede cattolica: costringevano solo la sala stampa vaticana a imbarazzanti prese di posizione e soprattutto facevano insorgere nei fedeli quella che si potrebbe definire la “sindrome di Nanni Moretti”, e cioè l’insofferenza quando leggevano affermazioni sconclusionate e la richiesta insistente al papa (e oggi anche agli altri vertici della Chiesa) di dire (e fare) qualcosa di cattolico.

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