Un sogno

L’altra notte ho fatto un sogno e, stranamente, lo ricordo in modo nitido.

Mi trovo in una località di mare per seguire la visita di papa Francesco. Sono un giornalista televisivo e mi viene assegnato uno studio molto strano. Le pareti sono tutte di vetro e all’interno non c’è niente: non un computer, non un telefono. Io ho un cellulare, ma mi accorgo che ho dimenticato i numeri della redazione e non so come comunicare. L’angoscia sale, ma non posso scompormi perché dalle ampie finestre tutti mi vedono. Mi rendo anche conto che sono in ritardo per il collegamento, ma non so dove sia la postazione e nessuno mi dà indicazioni.

Fin qui, nulla di strano. Dopo una vita trascorsa a fare il giornalista in tv, i miei sogni ruotano spesso attorno a questo senso di ansia e impotenza. Emerge l’orrore, che per anni è rimasto nel subconscio, per la possibilità di “bucare” la notizia e non riuscire a svolgere il mio compito.

Ma torniamo al sogno. Non sapendo che fare, esco dallo strano ufficio e vago per la cittadina di mare. Il papa sta da qualche parte. L’eco di applausi e acclamazioni mi arriva da un luogo imprecisato. Mentre cerco una strada per raggiungere il cuore dell’avvenimento, mi accorgo che il mare si sta ritirando e, subito dopo, un’onda mostruosa sta sorgendo all’orizzonte. È chiaramente uno tsunami, ma nessuno sembra farci caso.

Nessuno, tranne uno sparuto gruppo di persone che, come me, prima restano a bocca aperta, bloccate dal raccapriccio, poi incominciano a correre verso l’interno.

Mentre l’onda, di dimensioni colossali e spaventose, si avvicina alla costa, e mentre io, con pochi altri, corro disperatamente per evitare di essere raggiunto, mi ritrovo nell’atrio di una basilica dove è esposto un quadro davanti al quale si assiepano alcuni osservatori i quali, del tutto incuranti del pericolo, chiacchierano tranquillamente tra loro. Capisco che si tratta di autorità in attesa del papa e che l’illustre ospite tra poco dovrà trovarsi proprio lì, per ammirare il quadro.

Sono sbalordito. L’onda, sempre più alta, sta velocemente arrivando alla basilica e certamente travolgerà tutto e tutti, ma queste persone non vedono e non sentono. Sembrano anzi piuttosto compiaciute di trovarsi lì. Io cerco di avvertirle, ma mi ignorano. Intanto noto che il quadro riproduce una sfera di alabastro, traslucida, e mi chiedo: ma perché non c’è un crocifisso?

Tra i presenti c’è anche un mio carissimo amico e mi stupisco. So che lui la pensa come me ed è critico verso un papa che sembra amare più il pensiero del mondo che la tradizione della Chiesa, eppure anche questo amico se ne sta lì tranquillo, ignaro dello tsunami. Cerco di avvertirlo, ma neppure lui mi ascolta, e io riprendo la mia fuga precipitosa.

Corro lungo la navata della basilica e, voltandomi, vedo che l’acqua è entrata nella chiesa e sta travolgendo persone e cose. La navata è lunghissima, apparentemente interminabile, ed io correndo riesco a evitare di farmi raggiungere dall’acqua. Fino a quando, miracolosamente, l’onda esaurisce la sua forza e si ferma a pochi centimetri dai miei piedi.

Mi trovo davanti al tabernacolo e con me ci sono i pochissimi che hanno avuto la prontezza si fuggire. Stranamente, nonostante la corsa, non mi sento stanco.

Una delle persone vicine dice: “Un disastro, una vera apocalisse”.

Chiedo: “E il papa?”.

“Oh, è scappato in elicottero”.

Non so come la notizia sia arrivata a questo manipolo di fuggitivi. Sta di fatto che, non ricordando i numeri della redazione, me ne sto lì come un babbeo, incapace di svolgere il mio lavoro di inviato. E sì che ce ne sarebbero di cose da raccontare.

Comunque, le ho raccontate a voi.

A.M.V.

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