Tornare al cammino spirituale. Proposito per il nuovo anno sotto la guida di una grande mistica

di don Marco Begato

Tra i tesori ricchissimi della spiritualità di santa Gertrude di Helfta troviamo, al capitolo VII del IV Libro delle Rivelazioni, una promessa di Nostro Signore che merita di essere conosciuta per la sua grandezza e attualità.

Siamo nella seconda domenica dopo l’Epifania, giorno in cui a Roma i fedeli si disponevano a venerare “l’amabilissimo Volto del Signore”, e pure santa Gertrude si prepara nel proprio monastero a tale preghiera. Narra il Libro: “Andò a prostrarsi ai piedi del Signore Gesù per deporvi la sua miseria e implorare il perdono delle sue colpe”. Per tutta risposta il Signore la assolve direttamente dai peccati, “ti concedo il perdono e la remissione di tutti i tuoi peccati”, e aggiunge: “In ammenda delle tue colpe compirai la soddisfazione che ti ingiungo: ogni giorno dell’anno, per un anno intero, tu praticherai un’opera buona qualunque, unendoti a quella pietà che mi ha indotto a rimetterti tutti i peccati”.

Entriamo qui in un sottile movimento spirituale, del quale si intravedono tra le righe le regole precise e feconde. Da un lato l’anima pia – l’anima di una grandissima santa, ricordiamolo – che di passo in passo si umilia sempre più, si prostra sempre più al proprio Dio, si dimentica di se stessa, di tutto si accusa e si preoccupa solo di piacere a Dio e di beneficare i propri amici. Dall’altro la voce di Dio che, in un crescendo inarrestabile, davanti alle accuse e all’umiltà della sua sposa mistica, aumenta ogni volta la posta della ricompensa. Ma seguiamo ora lo sviluppo del dialogo.

Gertrude è preoccupata davanti al peso di una simile penitenza: “E che farò, Signore, se ometto di compiere questa opera buona?”. Ma il Signore la rincuora e mostra quanto sia semplice piacergli e soddisfarlo: “E perché dovresti trascurare di compiere una cosa così facile? La mia misericordia accetterà anche un solo passo fatto con questa intenzione, una paglia raccolta da terra, una parola, un segno di amicizia, anche un Requiem aeternam per i defunti, o qualsiasi altra preghiera recitata per i peccatori”.

Notiamo che il senso della penitenza imposta non sta nel fare atti di carità, ma nell’unirsi alla pietà del Risorto. Tant’è che la richiesta è di praticare “un’opera qualunque”, purché appunto unita alla sua pietà. Non sono le opere che salvano, è la profonda unione col Redentore, ma tale unione si deve esprimere ogni giorno in un gesto concreto, sia pur piccolissimo.

A questo punto Gertrude non pone più ostacoli per sé, ma nemmeno sosta a cullarsi in questa promessa, bensì subito sposta l’attenzione sul benessere dei propri fratelli: “Cominciò a pregare per i suoi più intimi amici affinché potessero anche essi ricevere dalla divina misericordia questa consolazione”. E nuovamente con grande prontezza il Signore esaudisce la richiesta della sua amata: “Chiunque vorrà compiere con te la penitenza che ti ho imposta, riceverà come te la remissione dei suoi peccati in virtù della mia benedizione”, e rilancia: “Con quale amorosa benevolenza riceverei colui che dopo un anno si presentasse a me per offrirmi tanti atti di carità da superare il numero di colpe commesse”.

Qui si apre un nuovo scenario: non più un gesto al giorno in unione con la pietà del Redentore, ma tanti gesti indirizzati a colmare e superare il numero dei nostri peccati. Alle radici della mistica medievale non troviamo dunque un formalismo dei sacramenti, ma un insegnamento che li invera e li ricolma dall’interno. Qual è il merito della Confessione? È il merito di Cristo che redime e che si riversa sull’anima umilmente prostrata dinanzi alla Divina Misericordia. Qual è il riscatto dai propri peccati? È moltiplicare nel proprio quotidiano gli atti da unire alla pietà divina.

Ma ancora santa Gertrude è titubante. Come poter colmare i propri peccati con altrettanti atti di unione a Cristo, vista la mole sconfinata dei primi?

La monaca chiede al suo Maestro e Sposo: “Come potrebbe ciò essere possibile?”. Ed egli nuovamente placa i timori e lo fa proprio ricordando che il beneficio della vita cristiana non riposa sui nostri poveri sforzi, ma sul suo costante sostegno: “E perché mai dovrebbe essere difficile dal momento che io, Dio, mi compiaccio tanto di questi atti da esser disposto ad aiutare con tutta la mia divina Sapienza colui che volesse applicarsi a compierli?”. All’uomo si chiede la docilità, il desiderio, la disponibilità, la volontà ad agire o meglio a lasciarsi condurre; il resto viene dal Signore che aiuta i suoi figli.

A questo punto il cuore di Gertrude, che si apre con piena fiducia, si limita a chiedere quale bene ne verrà per gli uomini che si disporranno a questa piccola pratica: “E che cosa daresti dunque, o Signore, a colui che col tuo aiuto ci riuscisse?”.

La parola del Signore supera ogni immaginabile attesa: “Non posso risponderti, disse, che con queste parole: ciò che l’occhio non ha veduto, ciò che l’orecchio non ha udito e ciò che non è mai passato per la mente dell’uomo. Oh che felicità gusterebbe colui che prima della sua morte avesse praticato almeno per un anno, o anche solo per un mese, questo esercizio di pietà”.

Per un anno, anzi no: basta un mese. Un mese nella propria vita vissuto con tale trasporto di intenzioni e desideri, per ricevere in cambio un beneficio che sormonta l’immaginazione e il pensiero.

Anche in altri passi delle Rivelazioni vediamo all’opera tale promessa, per esempio quando Gertrude è misticamente portata al fianco aperto di Cristo per essere inondata dal mare di amore che sfocia dal suo cuore.

Sta tutta qui la grandezza della mistica di Gertrude, in questa semplicità di desideri e in questa chiara visione della beatitudine del paradiso, così semplice e bella, da divenire indescrivibile e – forse per questo – da risultare inafferrabile e scoraggiare i nostri animi rudi, ancora superbi e bisognosi di tante distrazioni emotive, anche nella vita spirituale.

La visione si conclude con un’altra immagine: le monache che si comunicano pur non essendosi confessate. “Il Signore parve rivestirle di una veste candidissima, simbolo della sua propria purezza divina”. Non è un invito al sacrilegio, è la manifestazione della mediazione del Cristo, il quale solamente può renderci adatti alla vita sacramentale, ed è il superamento di uno scrupolo per le sorelle in peccato veniale “per l’assenza del confessore”, utile a ricordarci ancor più dove stia il centro della vita spirituale.

Ho condiviso con voi queste pagine perché sento cha abbiamo un bisogno immenso di cammino spirituale. Mentre cresce la moda ecclesiastica di bombardarci con indicazioni di tipo sociale, ecologico, giuridico o di inserirsi in questioni di dibattito culturale, nel senso più superficiale e politicizzato del termine, si sente al contrario la necessità di un cammino dell’anima.

Confido che, ripartendo da tale cammino, potremo trovare la luce necessaria a sopportare le mode funeste dei tempi correnti, potremo riscoprire quali debbano essere i veri desideri e le richieste dell’anima a Dio e alla Chiesa e potremo così aprire lentamente una nuova strada nella storia, lontani da dibattiti di bandiera, da prepotenze di poltrone vellutate, e vicini al cuore della gente e alla promessa di eternità che Cristo ha fatto a tali cuori.

Buon anno! Qualsiasi saranno le cattive notizie che verranno dal mondo civile o ecclesiastico, i nostri spiriti possano ritrovarsi docili all’ombra del Sacro Cuore del nostro unico e invitto Sposo.

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