Cui prodest “Fiducia supplicans”? Un’ipotesi

di Paolo Gulisano

Il documento Fiducia supplicans rappresenta l’intervento vaticano più discusso degli ultimi sessant’anni. Bisogna risalire all’enciclica Humanae vitae del 1968 per riscontrare un tale clamore e un dibattito acceso. Ma mentre allora fu l’intervento del papa Paolo VI a suscitare la rabbiosa protesta dei teologi e dei vescovi progressisti, con conseguente disobbedienza pratica nei confronti delle indicazioni del Magistero, oggi è la dichiarazione del Dicastero per la dottrina della fede a suscitare una vasta reazione di interi episcopati a difesa dell’insegnamento di sempre della Chiesa. Una situazione che probabilmente è risultata inaspettata dagli stessi vertici vaticani. Forse, le “lezioni” inferte ai vescovi troppo difensori della fede, come Burke o Strickland, avevano fatto pensare che tutti avessero imparato a stare al loro posto, e a obbedire ciecamente alle direttive provenienti da Santa Marta. Così non è stato, e il cardinale Fernández è dovuto intervenire con una nota “correttiva”. Il tenore e il contenuto di tale intervento, non privo di elementi ridicoli già messi in evidenza in diversi articoli di commento, a mio avviso tuttavia rendono più chiare le finalità della dichiarazione.

Cui prodest la Fiducia supplicans? A chi giova? A chi è in realtà destinata? Deve avere necessariamente un destinatario, un target, proprio perché è definita “pastorale”, non liturgica. Dietro la definizione pastorale ci può essere di tutto e di più, come siamo abituati da anni a vedere, ma in ogni caso un intervento pastorale presuppone un determinato destinatario. Esiste la pastorale dei sanitari, dei giovani, dei migranti, e così via. Qual è il destinatario, e il beneficiario di Fiducia supplicans? Apparentemente, come dice lo stesso Fernández, i destinatari sono “le coppie in situazioni irregolari e le coppie dello stesso sesso”, che potranno ricevere una benedizione, non tanto su loro stessi, perché ogni battezzato può comunque ricevere una benedizione da un consacrato, ma sulla loro unione.

Tuttavia, c’è da chiedersi: l’attuale situazione del popolo di Dio giustificava tale dichiarazione?

Per quanto riguarda le coppie eterosessuali in situazione “irregolare”, cioè divorziate e risposte, si direbbe di no. Intanto perché ormai un numero elevatissimo di divorzi civili di credenti è accompagnato in breve tempo dall’annullamento religioso. Le curie vescovili non negano quasi più un annullamento, per cui gli “irregolari” eterosessuali interessati a una benedizione, anzi a un vero sacramento, sono già a posto. Per chi non si è risposato sacramentalmente, ma solo civilmente, c’è già stata la possibilità di un rituale ufficiale, col sindaco con fascia tricolore, ricevimento e pranzo di nozze. A loro può dunque interessare una benedizione fugace e semiclandestina di quindici secondi?

Questo naturalmente vale anche per le coppie omosessuali. Anche per loro ormai esistono possibilità di celebrare le unioni, anche qui con festeggiamenti, banchetti, circondati da amici. Si accontenterebbero di un rituale celebrato in fretta, per pochi intimi? Certo, si potrebbe ipotizzare che le coppie irregolari, omo e etero, di fede cattolica, potrebbero far seguire questa piccola benedizione (un segno della croce, un Gloria e via) alla fastosa cerimonia civile. Ma davvero esiste questa esigenza e questa richiesta? Non crediamo proprio.

Allora a chi è rivolta la Fiducia supplicans? A chi – abituato a rapporti clandestini, furtivi – potrebbe andare bene questo tipo di benedizione che “legittimerebbe” ai loro occhi e – si illudono – a quelli di Dio questo tipo di rapporto? Non è difficile capirlo, anche alla luce della terminologia smaccatamente clericale del cardinale Fernández: costoro sono i preti.

La dichiarazione è stata pensata per il clero, i religiosi, le religiose di tendenza omosessuale, che troverebbero così la giustificazione, di fronte a se stessi e al popolo di Dio a loro affidato, i parrocchiani, del loro sentimento, un sentimento che avrebbe ricevuto il benestare di un confratello, in nome della misericordia e dell’accoglienza. Andrebbero bene anche quei patetici dieci, quindici secondi, in cui venire sigillati col segno della Croce. A questo punto, il chierico o la suora omosessuale sarebbe a posto, si sentirebbe a posto psicologicamente, anche canonicamente, e si sentirebbe come qualunque altra persona unita in qualche modo al proprio partner. Se così fosse, sarebbe una gratificazione davvero misera, e anche effimera. Potrebbe servire da un punto di vista psicologico a sedare eventuali sensi di colpa, a dare illusioni di regolarità. Un surrogato, da un punto di vista religioso, della gioia che l’anima sacerdotale – e non solo quella – deve cercare.

Se questo fosse davvero l’obiettivo del documento vaticano, sarebbe non tanto un attacco alla famiglia naturale, come hanno segnalato molti osservatori, ma uno dei più terribili attacchi mai lanciati contro il sacerdozio.

 

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