di Romano Curiale
Caro Valli,
ho diradato le mie lettere a Duc in altum causa il disgusto per gli echi delle maleolenti vicende ecclesiali, ecclesiastiche soprattutto, che puntualmente giungono al mio scrittoio romano.
Ma la vicenda di cui le parlo ora mi ha scosso dal mio volontario e desiderato letargo: ancora una volta parliamo di consacrate che hanno dato la vita a Cristo e alla Chiesa e che, ormai anziane, vengono trattate come imbarazzanti ostacoli sulla strada dell’alienazione e svendita dei beni dei loro istituti.
Stessa spiaggia, stesso mare: siamo nuovamente a Genova, arcidiocesi un tempo florida di vita religiosa e oggi ridotta ben oltre il lumicino, praticamente all’oscurità totale, dove, fra l’altro, sarà pianto e stridore di denti.
Le Figlie della Volontà di Dio sono un istituto fondato dalla genovese Elisa Mezzana per continuare l’opera di don Giuseppe Fassicomo, morto nel 1902. La Mezzana, che il popolo chiamava Madre dei derelitti, collaboratrice del santo sacerdote, una volta ottenuto nel 1906 l’incoraggiamento e il sostegno di san Pio X, fondò a Genova, appunto, le Figlie della Volontà di Dio. Esse si dedicavano alla formazione morale dei giovani e offrivano preghiere e fatiche per la santificazione dei sacerdoti.
Queste suore avevano quattro case a Genova (Madonnetta, Sturla, San Biagio e Murta) e una in Brasile, il che fa anche un discreto patrimonio immobiliare.
Come molti istituti di diritto diocesano, anche questo ha subito una lenta eutanasia nel corso degli ultimi anni, eutanasia che ora starebbe per raggiungere l’obiettivo finale. Dico starebbe, perché ci sono ancora due suore a Sturla, una delle quali è decisa a difendere a ogni costo l’opera della sua fondatrice.
Eh già, perché il corpo della fondatrice riposa (diciamo così) in una delle case genovesi, ma questo non ha impedito ai liquidatori di svuotarla senza rispetto.
Suor Anna, ottantaquattro anni, agguerrita, combatte ancora con vigore, nonostante solerti funzionari incaricati dalla Curia e l’arcivescovo stesso non abbiano avuto alcuno scrupolo ad alzare la voce con lei, per farle mollare la presa. Suor Anna combatte non per i beni materiali, per la casa o il patrimonio: non è questo che le fa venire le lacrime agli occhi. Sa che su questa terra la tignola e la ruggine fanno strame di ogni cosa, alla faccia degli accumulatori. Il suo sguardo è al cielo. Ma ciò che non può accettare è la protervia di chi non fa mistero di considerarla solo un ostacolo, una cosa vecchia, antiquata. Lei non tace e loro alzano la voce. Vogliono indurla (ripeto: parliamo di una suora di ottantaquattro anni) a ospitare in casa un uomo, quasi non ci fosse altra soluzione. Che importa che sia una consacrata?
Dicono che possono fare tutto, ma chiedono la sua firma su dei documenti. Allora non è vero che possono tutto. Perché questi misteri, si domanda suor Anna? Perché chi dovrebbe esserle padre (per età quasi figlio), invece di circondarla d’affetto e gratitudine per l’opera caritativa svolta, invece di essere addolorato insieme a lei per l’ennesimo istituto religioso moribondo, la fa circondare da una canea di avvocati e mediatori che fanno la voce grossa?
Caro Valli, la mia anima freme di sdegno nel vedere anziane religiose, donne che hanno dato tutto alla Chiesa, trattate come impicci da liquidare. Lo so che di questi ce ne sono tanti e non fanno più notizia. Non fanno più notizia tra gli uomini, ma il loro lamento arriva dritto all’orecchio dell’Altissimo.
Forza, suor Anna. Non s’arrenda. Avrà il centuplo. Ne sono certo.