Sul fronte dell’aborto, da Francia e Alabama due segnali opposti

di Vincenzo Rizza

Caro Valli,

la Francia da questa settimana vanta il triste primato di prima nazione ad aver previsto nella propria costituzione la libertà di abortire.

Si tratta dei prevedibili effetti della nota (e pilatesca) sentenza Dobbs del 2022, che essendosi limitata a prendere atto che la costituzione federale americana non prevede espressamente il diritto all’aborto, e pertanto ciascuno Stato è libero di regolamentarlo o proibirlo, ha scatenato la corsa (non solo negli Stati Uniti ma in tutto il mondo) dei giuspositivisti (cioè di coloro che  ritengono lecito tutto ciò che il legislatore considera tale) a inserire in costituzione il diritto per la donna di abortire.

La Francia è arrivata prima ma presto sarà raggiunta da altre nazioni che non vedono l’ora di distinguersi tra gli alfieri del politicamente corretto e del riconoscimento dei nuovi diritti che avanzano.

“La legge determina le condizioni nelle quali si esercita la libertà della donna, che le è garantita, di ricorrere all’interruzione volontaria della gravidanza”. Questa è la nuova formulazione introdotta nella costituzione francese. Per alcuni nulla è cambiato, tenuto conto che quella libertà è già riconosciuta dalla legge francese, che consente l’interruzione di gravidanza fino alla quattordicesima settimana. In realtà molto è cambiato tenuto conto che la formalizzazione costituzionale della libertà della donna di abortire non solo non consente più alla legge ordinaria (che richiede meno formalità per la sua approvazione rispetto a una legge costituzionale) di negare quella libertà ma sembra conferire alla stessa legge ordinaria la valenza di una sostanziale cambiale in bianco per estendere a dismisura il diritto all’aborto, in ipotesi, anche al nono mese di gravidanza.

La Conferenza episcopale francese ha protestato ribadendo che “l’aborto, che rimane un attentato alla vita fin dall’inizio, non può essere visto esclusivamente nella prospettiva dei diritti delle donne”. Anche la Pontificia accademia per la vita [qui] ha sostenuto la posizione dei vescovi francesi con un comunicato in cui si afferma che “proprio nell’epoca dei diritti umani universali, non può esserci un diritto a sopprimere una vita umana”. La timidezza del comunicato, in cui non si parla mai espressamente di aborto (salvo nella parte in cui si richiama la dichiarazione della Conferenza episcopale francese) e non si chiarisce che la vita inizia con il concepimento, non stupisce. Accontentiamoci, comunque, della presa di posizione per nulla scontata se solo si considera che il presidente della Pontifica accademia della vita poco tempo fa, in un’improvvida intervista, fu capace di definire la legge italiana sull’aborto un “pilastro” della nostra vita sociale. In questi tempi di magra, in cui è francamente sempre più difficile trovare qualcosa di cattolico nelle dichiarazioni dei più alti vertici ecclesiastici, ogni concessione al tradizionale insegnamento della Chiesa è benvenuto.

Nel desolante panorama in cui viviamo, merita di essere apprezzata la recente sentenza emessa dalla Suprema Corte dell’Alabama [qui] che ha stabilito che gli embrioni umani conservati nelle cliniche criogeniche sono “bambini extrauterini” (cioè bambini non ancora nati che si trovano al di fuori dell’utero biologico) e sono quindi protetti dalla legge statale sull’“omicidio colposo”. In particolare “la Legge sull’omicidio colposo di un minore si applica a tutti i bambini non nati, indipendentemente dalla loro ubicazione” (“the Wrongful Death of a Minor Act applies to all unborn children, regardless of their location”).

Il caso riguardava il risarcimento del danno civile per la distruzione di embrioni conservati in vitro: se si fosse applicata la legge sull’omicidio colposo ai danneggiati sarebbe spettato anche il risarcimento dei cosiddetti danni punitivi. In particolare un paziente avrebbe rimosso degli embrioni conservati criogenicamente e a causa della temperatura sottozero alla quale gli embrioni erano stati conservati li avrebbe fatti cadere sul pavimento, uccidendoli.

Tutte le parti coinvolte concordavano sul fatto che un bambino non ancora nato:

è un essere umano geneticamente unico la cui vita inizia con la fecondazione e termina con la morte;

di solito si qualifica come una “vita umana” nel testo delle leggi sull’omicidio colposo dell’Alabama.

Le parti non erano d’accordo sul fatto se esistesse o meno un’eccezione non scritta a tale regola per i bambini non ancora nati che non sono fisicamente nell’utero materno quando vengono uccisi.

La Corte ha ritenuto che:

il significato comune di bambino (child) include i bambini che non sono ancora nati;

non si riscontra nella legge alcuna definizione che consenta di escludere dalla sua applicabilità i bambini non nati che non sono fisicamente nell’utero biologico.

Finalmente una decisone che pone le basi per considerare l’embrione non come un mero ammasso di cellule ma come vita che inizia nel momento stesso del concepimento. Vita che va tutelata in ogni momento, anche contro il “diritto” della madre di interrompere la gravidanza.

 

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