Nessuno tocchi Caino. Ma chi difende Abele?

di Vincenzo Rizza

Caro Valli,

a proposito di aborto in costituzione, un mio caro amico ha recentemente commentato di riuscire finalmente a capire perché molti ordinamenti statali hanno abolito la pena di morte per i colpevoli di omicidio: “Forse perché la vita di un innocente non ha un valore come quella di un assassino”.

Già nel lontano 1981, al tempo del referendum sull’aborto, voci laiche si erano espresse contro la barbarie dell’aborto. Tra queste Norberto Bobbio (sicuramente non annoverabile tra i bigottoni cattolici, avendo anche rifiutato funerali religiosi) che riteneva “fondamentale” il diritto del concepito di nascere (“una volta avvenuto il concepimento il diritto del concepito può essere soddisfatto solo lasciandolo nascere”) essendo “lo stesso diritto in nome del quale sono contrario alla pena di morte”. Il diritto del nascituro prevale anche sul diritto della donna e della società perché “con l’aborto si dispone di una vita altrui”.

Il laicissimo Bobbio si stupiva, quindi, del fatto che “i laici lascino ai credenti il privilegio e l’onore di affermare che non si deve uccidere”.

Stranamente i sacerdoti del politicamente corretto (tra questi anche molti che si professano cattolici) hanno interpretato il dovere di non uccidere concentrando le loro forze sull’abolizione della pena di morte e insistendo, invece, sul diritto che la donna avrebbe di gestire il proprio corpo senza considerare i diritti del nascituro.

Siamo così ritornati a Caino e Abele, dove Caino (l’assassino) è il soggetto da proteggere e Abele (l’innocente) è del tutto dimenticato.

“Nessuno tocchi Caino” è il refrain che si sente ripetere senza considerare che il primo assassino che la storia ricordi fu severamente punito. Provò anche a dichiararsi innocente, confidando di non essere stato visto da alcuno; purtroppo per lui non solo il suo accusatore aveva il difetto di essere onnisciente, ma in barba al giusto processo oggi costituzionalmente garantito ebbe la sventura di essere giudicato dallo stesso accusatore. Non fu assolto, ma condannato: una condanna a vita forse peggiore della pena di morte (“ora sii maledetto lungi da quel suolo che per opera della tua mano ha bevuto il sangue di tuo fratello. Quando lavorerai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti: ramingo e fuggiasco sarai sulla terra”) se è vero che lo stesso Caino rispose che “troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono” (per la verità la Nova Vulgata testualmente riferisce “maior est poena mea quam ut portem eam”, anche traducibile, ma non voglio sostituirmi all’Investigatore Biblico, con “il mio castigo è troppo grande perché io possa sopportarlo”).

“Nessuno tocchi Caino”, allora. Ma chi difende Abele?

Caino, l’assassino, ha il diritto di essere perdonato. Abele, l’innocente, ha il dovere di farsi uccidere come agnello sacrificale (anche perché, nel caso del feto, non può neppure difendersi) e, al più, ha il diritto di essere compianto.

Unicuique suum: a ciascuno il suo.

 

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