Cattivi maestri e compagni di strada

di Fabio Battiston

Il 2 aprile scorso il sito dell’Osservatorio internazionale cardinale Van Thuân ha pubblicato un interessante articolo del professor Stefano Fontana dal titolo Fusaro, il turbo marxista che incanta i cattolici [qui].

Il contributo analizza, con dovizia di argomentazioni, una tematica che in questi ultimi anni si è più volte riproposta all’attenzione dei più attenti osservatori sulle dinamiche in atto all’interno della Chiesa, connesse allo tsunami provocato dall’attuale papa ed ai suoi molteplici “effetti collaterali”.  Il discorso riguarda, in particolare, il rapporto tra lo scenario laico-clericale del cosiddetto conservatorismo cattolico e le posizioni di alcuni esponenti – intellettuali, politici, giornalisti, docenti eccetera – appartenenti ad aree più o meno estranee alla Chiesa. Essi sono spesso portatori di istanze e prese di posizione che di frequente incontrano il favore, se non addirittura l’entusiasmo, di molti credenti tradizionali.

Nella fattispecie, l’articolo del professor Fontana analizza la figura e le dichiarazioni del filosofo Diego Fusaro, un personaggio che da tempo è presente in molti dibattiti su alcuni temi forti come, ad esempio, il pensiero unico, la cancel culture, l’LGBT, l’ambientalismo e anche problematiche etiche concernenti il rapporto tra uomo, scienza e tecnologia. Su gran parte di questi scenari, ed è qui che Fontana focalizza la sua analisi, le posizioni espresse da Fusaro appaiono molto in linea – se non, in certi casi, perfettamente coincidenti – con quelle di una parte del mondo cattolico che cerca di opporsi a quel Deep State la cui incontrollabile espansione è promossa anche dall’attuale chiesa cattolica temporale. Da qui l’entusiasmo, “l’incanto” di non pochi cattolici di fronte alle considerazioni di questo intellettuale. L’obiettivo e l’ammonimento di Fontana sono chiarissimi e così sintetizzabili: attenzione cari fedeli! Ciò che voi vedete come oro, nelle posizioni di Fusaro, è in realtà piombo fuso poiché generato ed alimentato da un sostrato filosofico, ideologico e politico (da cui sono storicamente derivate le concezioni positiviste, moderniste e social-marxiste) che è il medesimo dal quale stanno traendo linfa tutti quei fenomeni sociali, economici, etici e sincretistici che noi cattolici stiamo cercando di contrastare.

Fontana, com’è nel suo stile, approfondisce in modo chiaro e convincente l’argomentazione di fondo. Egli dimostra con logica stringente quanto le correlazioni tra le posizioni di Fusaro e le istanze del conservatorismo cattolico siano in realtà apparenti – o quanto meno solo temporaneamente sovrapponibili – per poi divaricarsi in modo inesorabile se analizzate sulla base dei rispettivi fondamenti etico-filosofici ma, soprattutto, nell’insopprimibile dicotomia tra immanenza e trascendenza.

Le conclusioni cui giunge il filosofo veronese sono quindi certamente condivisibili anche se, non sempre, coloro che dall’esterno del mondo cattolico manifestano pensieri a noi vicini debbano sempre considerarsi “falsi profeti”. D’altra parte Diego Fusaro non è certo la sola figura che in questi anni si è distinto con incisive performance politicamente e socialmente scorrette. L’esempio del generale Vannacci col suo libro Il mondo al contrario è molto recente e, anche in quel caso, emersero cautele. Commenti tendenti a smorzare gli entusiasmi di molti lettori cattolici per il solo fatto che il retroterra ideale e socio-politico dell’autore ben poco avesse a che fare con i fondamenti del cattolicesimo tradizionale. La lista potrebbe continuare con le esternazioni più volte manifestate da personaggi come il presidente onorario del Partito comunista Marco Rizzo (oggi coordinatore di Democrazia sovrana e popolare) e l’ex radicale Daniele Capezzone (oggi direttore editoriale di Libero). Ma è soprattutto sul tema “assoluto” dell’aborto che abbiamo dovuto prendere atto di come, talvolta, la cultura politicamente ed eticamente laica abbia dato severe lezioni di coraggio parlando e agendo apertamente contro questo crimine. Atteggiamenti molto più e meglio incisivi rispetto a uno stanco, pavido e accomodante mondo cattolico. Voglio ricordare, a riguardo, due rilevantissimi esempi.

Il primo riguarda l’articolo scritto da Pierpaolo Pasolini e pubblicato sul Corriere della sera il 19 gennaio 1975. In esso, intitolato Sono contro l’aborto, egli tra l’altro scrive: “Sono però contrario alla legalizzazione dell’aborto poiché la considero, come molti, una legalizzazione dell’omicidio. Nei sogni, e nel comportamento quotidiano – cosa comune a tutti gli uomini – io vivo la mia vita prenatale, la mia felice immersione nelle acque materne: so che là io ero esistente… Che la vita sia sacra è ovvio; è un principio più forte di qualunque principio di democrazia, ed è inutile ripeterlo”. Quest’articolo generò poi un duro dibattito nel quale, in un ulteriore scritto pubblicato sempre sul Corrriere il 30 gennaio dello stesso anno, Pasolini rispondeva risolutamente alle critiche espresse da Alberto Moravia.

Il secondo esempio riguarda invece il giornalista Giuliano Ferrara e la sua strenua lotta contro l’aborto che lo portò, alcuni anni fa, a rischiare un vero e proprio linciaggio. I fatti risalgono al 2008, più precisamente alla campagna elettorale per le elezioni politiche. Ferrara, che da tempo si muoveva su posizioni autodefinite di “ateo-devoto” (interessantissimi, a riguardo, i suoi giudizi sul ministero e la figura di Sua Santità Benedetto XVI, Joseph Ratzinger), promosse la lista Aborto? No, grazie, che si presentava da sola all’appuntamento elettorale. Come si può immaginare, il nome stesso dato alla lista era già un piano di battaglia.

Ebbene, quella campagna fu per Ferrara un vero incubo. Ovunque si recasse per i suoi comizi, la sinistra organizzava indecenti gazzarre con il solo scopo di impedirgli di parlare. Per i benpensanti progressisti era, ed è, una bestemmia il solo pensare alla non liceità dell’aborto. A Pesaro, Milano e Palermo le contestazioni furono molto dure, ma fu a Bologna, il 2 aprile, che la canaglia rossa dette il meglio di se stessa. Il palco da dove Ferrara iniziò a parlare fu oggetto di un nutrito lancio di bottiglie e uova marce. Il livello della protesta fu tale da impedire a Ferrara di iniziare il comizio. Per chi fosse interessato ad approfondire, l’invito è di ricercare sul Corriere della sera di quei giorni il resoconto sui fatti di Bologna.

Si potrà discutere all’infinito sulla reale portata di questi esempi, sul rapporto sempre conflittuale tra Pasolini e la Chiesa cattolica, sulle motivazioni che spinsero Ferrara a scegliere quella battaglia o sulla loro sempre dichiarata (anche se diversa e spesso critica) appartenenza al mondo social-progressista. Si tratta dei medesimi atteggiamenti di cautela, critica e sospetto che – anche giustamente – vengono reclamati nell’articolo del professor Fontana. A mio avviso, tuttavia, il punto fondamentale è un altro. Il vero problema è che queste voci, queste posizioni critiche, questi attacchi al pensiero unico – un pensiero politicamente, socialmente e religiosamente corretto – non li sentiamo quasi mai (o meglio, non li sentiamo più) da quel popolo di vescovi, sacerdoti, laici, intellettuali, teologi, giornalisti e scrittori che invece dovrebbero considerarli veri e propri cavalli di battaglia. Per veicolare al mondo un’altra voce, altri modi di pensare e un’altra visione del mondo e della vita. E invece no! Il mondo cattolico oggi, nella sua quasi totalità:

plaude e si riconosce nei “valori comuni” di questa Unione Europea;

invoca e promuove una realtà in cui devono prevalere multiculturalismo e multietnicità; un guano senza identità culturali, nazionali, tradizionali ed etiche; una melma maleodorante in cui trionfi il sincretismo della Nuova Religione Universale;

accoglie nel suo seno – senza mai nulla chiedere in cambio, anzi confermandole nel loro essere – realtà umane e sociali connotate da regole, comportamenti, consuetudini e manifestazioni che o non hanno nulla a che fare con l’insegnamento del Verbo incarnato o, peggio, ne sono la chiarissima negazione;

ha trasformato quello che dovrebbe essere un intelligente ed equilibrato rapporto con la scienza e la tecnologia nella incondizionata adorazione di un feticcio tecno-scientista (Covid docet);

ha stravolto i termini di relazione tra Creatore e creato, avviando una neo-pagana adorazione del secondo ed un progressivo annientamento del primo (ecologia, ambiente e clima).

E sull’aborto?

Voglio contrapporre alle poche lucidissime parole di Pasolini quanto dichiarato nell’agosto 2018 da un signore vestito di bianco che la domenica si affaccia a piazza San Pietro. Ecco qua:

Il problema dell’aborto non è un problema religioso: noi non siamo contro l’aborto per la religione. No. È un problema umano, e va studiato dall’antropologia. Studiare l’aborto incominciando dal fatto religioso è scavalcare il pensiero. Il problema dell’aborto va studiato dall’antropologia. E sempre c’è la questione antropologica sull’eticità di far fuori un essere vivente per risolvere un problema. Ma questa già è la discussione. Soltanto voglio sottolineare questo: io non permetto mai che si incominci a discutere il problema dell’aborto dal fatto religioso. No. È un problema antropologico, è un problema umano. Questo è il mio pensiero.

Insomma, come concludere? Ribadisco che l’analisi del professor Stefano Fontana è senz’altro condivisibile. Al tempo stesso, però, penso che noi tutti si abbia la necessaria lucidità e intelligenza per valutare criticamente dichiarazioni e posizioni provenienti da contesti a noi più o meno profondamente estranei. Ma ben venga chiunque, anche per un breve tratto di strada, dimostri di essere anche un poco dalla nostra parte. Abbiamo gli anticorpi necessari per capire quando, come e perché accompagnarci con lui, distaccarcene o respingerlo senza esitazione. Nell’attesa che si compia il miracolo; cioè di ascoltare qualcosa di cattolico da chi, ormai, ha deciso di non parlare più e voltarsi dall’altra parte.

 

 

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