Elezioni europee / La scelta della nostra resistenza

di Fabio Battiston

La tornata elettorale europea in programma dal 6 al 9 giugno prossimi sollecita, almeno per i cittadini più attenti all’attuale scenario politico continentale, una serie di riflessioni e analisi per decidere quale scelta adottare nel segreto dell’urna. Da questo punto di vista le opzioni sono diverse e tutte, ovviamente, meritevoli di rispetto. Si va da un voto chiaro, senza se e senza ma, guidato da motivazioni ideologiche o da un forte convincimento sulla valenza strategica di queste elezioni, fino alla decisione per una preferenza “di abitudine”. Proprio in questi giorni, ad esempio, Massimo Cacciari ha definito il proprio voto al Pd in queste elezioni una scelta per inerzia: “Ho sempre votato da quella parte, che cosa dovrei fare?”. C’è anche la scelta dell’annullamento della scheda o dell’astensione, decisioni certamente rispettabili purché figlie di un’analisi seria e approfondita in assenza della quale esse cessano di avere valenza politica sconfinando in puro disinteresse o qualunquismo.

Quale che sia la scelta adottata, penso che non possa prescindere dal chiarire a se stessi alcuni aspetti fondamentali. Si tratta di rispondere a domande non solo in qualità di cittadini elettori ma soprattutto come persone, direi quasi come coscienze e, non da ultimo, anche come credenti. Che cosa è per ciascuno di noi quest’insieme di organismi definiti dalle asettiche sigle di Pe e Ue? Quanto ci sentiamo o vogliamo sentirci all’interno di questa realtà sovranazionale rispetto al nostro essere parte di una storia, tradizione, cultura e fede spesso così distanti dai modelli “europei” che la politica continentale ci propone? Quanto siamo vicini o lontani, amici o nemici, cittadini o sudditi, liberi o schiavi rispetto a queste strutture politico-burocratico-finanziare, al loro supporto “etico-filosofico” e alle decisioni adottate che hanno un sempre maggiore impatto nella nostra quotidianità? E infine, riteniamo questi organismi realmente adatti, necessari e utili per favorire lo sviluppo armonico dell’individuo e della società? Sono forse i migliori sistemi possibili per garantirci un futuro di prosperità, di pace e di concordia reciproci? Quanto possono essere migliorati, riformati, resi più rispettosi delle identità nazionali e locali… oppure…?

Il contributo che offro alla riflessione dei fratelli di Duc in altum nasce dall’aver dato una risposta a queste domande; essa può essere rappresentata proprio da quell’”oppure”. Una risposta costruita non certo nell’immediatezza dell’appuntamento elettorale bensì in anni e anni nei quali – troppo spesso come suddito, raramente come libero e rispettato cittadino – ho sperimentato cosa significhi ritrovarsi, passo dopo passo ma inesorabilmente, in un contesto sociale, politico, economico ed etico non solo a me del tutto estraneo ma oltremodo pericoloso e minaccioso non tanto per il mio futuro (ho quasi sessantotto anni) quanto per quello dei miei figli e nipoti. Ma facciamo un po’ d’ordine.

A partire dal funesto trattato di Maastricht del febbraio 1992, la realtà socio-politica ed economica di ciò che fu la Cee (Comunità economica europea) andò progressivamente trasformandosi in un mostruoso blob autoritario che non aveva più nulla dei principi che i padri fondatori di quella prima comunità vollero dare alla nascente Europa post-bellica (Trattato di Roma del 1957). Forse è utile ricordare quei nomi: Konrad Adenauer, Alcide De Gasperi, Jean Monnet e Robert Schuman. Essi avevano tutti – oltre a una coerente visione socio-politica per il futuro d’Europa – una sola grande cosa in comune: erano cattolici. Di più, sono stati nella storia del XX secolo tra i più significativi rappresentanti di quel mondo politico, laico e civile, basato sui grandi valori spirituali della cristianità. D’altra parte, cos’altro poteva realmente accomunare quattro personaggi provenienti da storie, esperienze e culture così diverse? La lingua forse? Una storia condivisa? Un modello politico-sociale omogeneo? Un lungo periodo di stabili e pacifici rapporti? Certamente no! Erano invece le loro comuni radici cristiane, le stesse che la famigerata Unione europea e la squallida aula sorda e grigia del suo Parlamento hanno impedito di inserire costituzionalmente come elemento fondante della Comunità. Le radici cristiane, dunque. Una realtà che fece scrivere al teologo e filosofo don Romano Guardini pagine d’intensa speranza per un futuro che egli, italiano naturalizzato tedesco, prefigurava in modi totalmente diversi da quanto abbiamo oggi davanti agli occhi. Vergogna!

Ma torniamo al dopo Maastricht. La storia di questi ultimi trentadue anni e i fatti che li hanno contraddistinti sono ben noti a tutti. Eccone una breve sintesi: un progressivo e in molti casi immotivato allargamento dell’Unione; la nascita di una moneta senza Stato (l’euro) a esclusivo beneficio dell’asse franco-tedesco, vero e unico padrone-gestore di questa stolta unione. L’euro, con i nuovi scenari ad esso associati, ha portato all’instaurarsi di meccanismi ricattatori nei confronti di nazioni aderenti che fossero in odore di “ribellione economica”. È a tutti noto come il famigerato spread abbia contribuito non poco a esautorare assetti governativi democraticamente eletti. Gli esempi della Grecia (2010) e dell’Italia nel 2011 sono chiarissimi: veri e propri colpi di Stato targati Bruxelles. In altre occasioni, sempre col ricatto dell’arma finanziaria, sono stati intimidite e minacciate nazioni insofferenti ai diktat continentali in materia di aborto, Lgbtq e immigrazione (Polonia e Ungheria).

Il versante monetario è stato poi affiancato, in un crescendo rossiniano, dall’instaurarsi impetuoso di due scenari. Il primo, l’esplosione della cosiddetta Europa dei diritti, a esclusivo beneficio di minoranze pretestuose messe in condizione di tradurre le loro assurde rivendicazioni in proposte legislative sovranazionali e locali. Questo fenomeno ha prodotto, in cascata, nuovi e micidiali “valori” per l’individuo, la famiglia e la società, tutti nell’ottica di una distruzione sistematica della tradizione e della cultura di molti paesi, specie quelli più legati alla fede cattolica. Questa politica è culminata con l’imposizione di veri e propri diktat etico-culturali sfociati nelle realtà targate Lgbtq, transgender, aborto, eutanasia ed eugenetica. Fenomeni protetti legislativamente, promossi da una sottocultura a senso unico e da un’informazione globale compiacente, difesi da una magistratura pronta all’inquisizione per chiunque osi manifestare opinioni diverse da quelle imposte dal politically and ethically correct europeo. Il secondo fronte è stato ed è oggi più che mai rappresentato dalle allucinanti politiche europee in materia di clima e ambiente. È la terrificante green economy che sta già portando milioni di famiglie sulla soglia del disastro economico con una serie di folli ukase, degni delle peggiori satrapie che il mondo ricordi. Decisioni che orienteranno da ora ai prossimi anni migliaia di miliardi di dollari, sperperati sulla base di una ideologica, talebana e non sufficientemente provata responsabilità antropica nel cambiamento climatico in atto (checché ne dicano gli stregoni dello scientismo ambientalista). Cifre astronomiche che, oltre a creare masse di nuovi poveri, arricchiranno i già cospicui forzieri delle oligarchie burocratico-industriali vicine al regime bruxellese e contribuiranno a modificare, secondo i dettami della nuova etica ecosostenibile, stili di vita, comportamenti ed atteggiamenti dei sudditi del vecchio continente. Questa galleria degli orrori non può terminare senza un accenno al massacro operato dall’Unione europea (con la complicità di molti governi nazionali) durante la “pandemia” Covid. Le mani di Ursula von Der Leyen sono ancora sudate per l’emozione di aver sottoscritto quei gentili e remunerativi contratti plurimiliardari con Pfizer sui quali l’Ue ha deciso che nessuno dovrà mai sapere niente di niente.

Qualche anima candida si domanderà: ma come è stato possibile tutto questo? Quali forze politiche hanno contribuito e attivamente lavorato per realizzare tali mostruosità? Nessun mistero a riguardo. Il Parlamento europeo e l’Unione sono da decenni dominati dalla medesima alleanza che, con piccole variazioni e aggiustamenti, può a buon titolo considerarsi artefice dei capolavori sinora descritti. Stiamo parlando dell’asse tra il Partito popolare europeo (Ppe), cioè del gruppo che è anche espressione della cultura cattolica (sic!), il Partito socialista europeo (Pse) insieme alla galassia comprendente sinistra e verdi; completano il quadro i liberal-democratici di prevalente ispirazione ateo-protestante nord europea e alcuni gruppuscoli minori. La cosa più dolorosa per i credenti (o almeno per una parte ormai minoritaria di essi) è prendere atto della decisiva presenza dei Popolari in una coalizione che si è particolarmente distinta per il massacro sistematico della tradizione cattolica in Europa e per il trionfo di una panoplia di disvalori che sono l’esatta antitesi di quelli evangelici. Tuttavia ancora in queste settimane, analizzando la stragrande maggioranza delle fonti informative vicine alla Chiesa cattolica, è tutto un panegirico apologetico verso questa Unione europea, la sua importanza e i suoi “valori”. Questo è oggi il messaggio condiviso dalla quasi totalità del clero europeo (leggi Conferenze episcopali continentali) e da gran parte del laicato. È incredibile, ma è così.

Siamo giunti, a questo punto, a una prima conclusione rispetto al tipo di decisione da prendere per le prossime elezioni. Quella che ci ha accompagnato (oppresso) sino a oggi è una realtà politica che deve essere non solo profondamente trasformata, ma addirittura rivoltata dalle fondamenta. Oppure…

Facciamo ora un ulteriore passo avanti e veniamo alla stretta attualità. Di nuovo è necessario porsi alcune domande: se crediamo che questa Unione europea, e in particolare il suo Parlamento (è per quello che si vota, non per altro), possa realmente essere una risorsa per il benessere e la crescita della società in cui viviamo, vi è una concreta possibilità o probabilità di poter agire con la leva elettorale per un drastico cambiamento di rotta? Un’eventuale risposta positiva dipende dalla verifica di alcune condizioni parimenti decisive: esiste un’alternativa politica in grado di trasformare quest’organizzazione sovranazionale da una struttura autoritaria ai limiti del totalitario, qual essa è oggi, in un’entità politica al servizio delle nazioni europee e, soprattutto, rispettosa delle realtà culturali, economiche, sociali e valoriali di ciascun paese aderente? Ma se tale alternativa esiste, è ancor più urgente domandarsi: l’unione e il Parlamento europeo, per come sono oggi e per il potere globale che hanno acquisito e consolidato nei decenni, sono entità realmente migliorabili e/o riformabili? E se così non fosse, quale potrebbe essere la via d’uscita? Proverò ora a considerare questi aspetti, per poi arrivare a una possibile conclusione.

Analizziamo, in primo luogo, l’importanza della leva elettorale e, per conseguenza, l’esistenza di una vera alternativa politica. Essa potrebbe essere logicamente rappresentata solo da un ribaltamento numerico degli equilibri finora definiti in seno al Parlamento europeo. In sostanza, un cambio di coalizione sostanziale e non solo formale. Si dovrebbe passare dalla cosiddetta maggioranza Ursula (centro-sinistra più sinistra e verdi ecologisti) a un centro-destra nel quale il Ppe, stravolgendo decenni di alleanze consolidate, decida di fare un percorso comune con i conservatori. Ipotesi possibile ma piuttosto improbabile. Questo cambio di coalizione dovrà infatti forzatamente presupporre una saldatura del Ppe non solo con i conservatori – di cui fa parte FdI – ma anche con il gruppo di Identità e Democrazia (considerata la vera e propria destra del Parlamento europeo) nella quale albergano, oltre alla Lega di Salvini, il Rassemblement National di Marine Le Pen e l’AfD tedesco (Alternative für Deutschland). Ben conoscendo l’indole catto-socialista di molti popolari europei, non pare questa una strada percorribile. Tuttavia, anche ammettendo che in virtù dei risultati elettorali questa maggioranza possa concretizzarsi, resta da vedere se, e in che misura, essa sia effettivamente in grado di trasformare il Parlamento, e indirettamente l’Unione, in qualcosa di realmente diverso rispetto a ciò che sono stati sinora. Insomma, quest’Europa può essere radicalmente trasformata? Secondo me no, assolutamente no! Limitiamoci alla realtà italiana. Chi dovrebbe essere l’artefice di questo cambiamento epocale? Draghina Melonsky? Non scherziamo, per favore. Ciò che due anni fa erano i suoi appelli al sovranismo patriottico si sono astutamente trasformati in una strategia politica che, oggi, la rendono papabile per acquisire un ruolo di leadership anche a livello europeo. Forse potrà anche riuscirci, ma per fare cosa? In questi ultimi mesi la nostra premier non ha detto una parola contro il cosiddetto Green deal e le politiche sulla transizione ecologica, limitandosi a richiedere una maggiore attenzione alle diverse esigenze e vincoli finanziari nazionali. Ha messo forse in discussione i diritti Lgbtq, i matrimoni lesbo-omosessuali e le relative adozioni? Giammai. Ha detto qualcosa di importante per porre un argine alla mostruosa avanzata tecno-scientista che con l’avanzata dell’intelligenza artificiale si appresta a rendere ridicolmente infantili le ipotesi di Orwell? La sua risposta è stata l’orgogliosa presentazione, alla recente Conferenza programmatica di FdI a Pescara, della prima influencer virtuale della politica italiana, certificata Meta: tal Francesca Giubelli in quota al partito della Giorgia nazionale. E ancora: Meloni è oggi la portabandiera del più sfacciato euro-americanismo che fa della saldatura tra l’Europa dei disvalori e gli Usa della cancel culture e dell’estremismo liberal l’asse fondamentale di una politica imperialista, aggressiva e provocatoria, verso l’Est Europa; il tutto con il contributo fondamentale dell’apparato militare Nato. Il rapidissimo sodalizio con la signora Ursula e la presidentessa del Parlamento europeo – la maltese Roberta Metsola – ha fatto trasecolare più di un navigato osservatore dei fatti europei. Evidentemente le lezioni apprese da Monti e Draghi sembrano aver sortito l’effetto sperato. A ciò si aggiunga il sostegno meloniano – senza se e senza ma – alla causa del comico ucraino, un appoggio che l’ha resa subito attraente per l’amministrazione Biden e gli estremisti dem statunitensi. D’altra parte, per misurare l’inconsistenza del nostro capo di governo come possibile guida di un movimento di reale cambiamento europeo, è sufficiente prendere atto dei giudizi espressi su di lei dalla grande informazione statunitense ed europea, portavoce del Deep State. Dal Wall Street Journal al Washington Post, dal New York Times a Le Monde fino a Time, per non parlare dei grand commis politico-finanziari europei, i commenti sono pressoché unanimi. In questi circoli è tutto un panegirico della Giorgia nazionale, il che la dice lunga su quanto l’attuale establishment internazionale giudichi “pericolosa” un eventuale ascesa della signora Giorgia e del suo partito a livello continentale. Lei è ormai considerata perfettamente allineata e funzionale alle strategie euro-americane. Il blob comunitario ha quindi assorbito anche Giorgia, un tempo giovanissima iscritta al Fronte della gioventù. Altri tempi.

E veniamo alla Lega di Salvini. Rispetto a FdI, essa appare ancor più incapace di essere protagonista e guida di un deciso cambiamento europeo. La posizione del leader, già indebolita all’interno del suo stesso movimento, non consentirà al gruppo grandi margini di manovra; quanto alle alleanze, la signora Marine Le Pen ha già fatto capire al caro Matteo di che pasta è fatta, votando con il Rassemblement National a favore dell’inserimento del diritto all’aborto nella costituzione francese e modificando di 180 gradi la sua posizione sul conflitto russo-ucraino, ora totalmente in linea con i dettami euroamericani. Resterebbe da parlare di Forza Italia ma… meglio stendere un velo pietoso. Per anni, in Europa, i suoi aderenti nell’ambito del Ppe hanno sostenuto le folli politiche del centro-sinistra su diritti, economia, ambiente e altre amenità. Sentir parlare oggi Tajani dell’Europa è quasi commovente; pare la sua mamma. Vengono in mente i gloriosi giorni del Covid, quando il nostro sfoderava senza vergogna una mascherina blu con le dodici stelline gialle; il vessillo dietro a cui si celavano i più crudeli massacratori sanitari che la storia ricordi.

Ma al di là di quest’analisi forzatamente generale resta una questione fondamentale e dirimente. È di tutta evidenza come a nessuno dei potenziali candidati alla guida di una ipotetica “rivoluzione europea” (siano essi leader o partiti) passi per l’anticamera del cervello l’idea che sia possibile mettere in discussione l’attuale assetto politico continentale. Tutti danno per scontato che le nazioni europee dovranno continuare a vivere sotto il tetto di Bruxelles e Strasburgo. Ogni alternativa è considerata non solo assurda ma semplicemente inesistente. Nessuno, e men che mai la cosiddetta Destra, ipotizza che si possa un giorno percorrere un’altra strada, concepire un’altra politica, altre modalità e criteri per stabilire diverse alleanze strategiche, economiche o sociali. I più ardimentosi si spingono ad affermare che questa Unione ha bisogno tuttalpiù di qualche riforma, di alcuni aggiustamenti-adattamenti e forse di offrire ai Paesi membri uno iota in più di autonomia nazionale. Nessuno afferma né dirà mai: vogliamo la fine di questa Europa; è necessario tornare a essere protagonisti e responsabili, come popolo e nazione, del nostro futuro; vogliamo essere liberi di poter stabilire di volta in volta le sinergie e le alleanze più giuste per il benessere del nostro popolo; un’altra politica internazionale è possibile. Nulla di tutto ciò! È questo il vero dramma che rende l’Istituzione europea, in tutte le sue componenti e al di là del trentennale potere da essa consolidato, sostanzialmente irriformabile e immutabile. Non c’è alcuna forza, politicamente rilevante, che voglia provocarne la fine o, almeno, tentare di farlo. La nostra sovranità dovrà quindi continuare a diminuire, sino a sparire completamente. La nostra identità culturale, etnica, sociale e religiosa è condannata a essere inesorabilmente assorbita nell’indistinzione di un fangoso melting pot europeo. Un magma disgustoso fatto di multiculturalismo forzato, religione universale, diritti soggettivi, tecno-scientismo indiscutibile e dogmi laici su temi ambientali, sanitari e sessuali. Insomma, un inferno. Parleremo, mangeremo, respireremo, vestiremo, compreremo, ci ameremo, pregheremo e… moriremo secondo i diktat di Bruxelles, dei suoi oligarchi e di una Chiesa cattolica temporale ormai votata al più squallido servilismo, così come comanda l’anticristo.

La conclusione, per quanto mi riguarda, è dunque una sola. È perfettamente inutile andare a votare. Di più, questa tornata elettorale è una farsa, una finzione carnascialesca, una sorta di Panem et circenses del XXI secolo per offrire ai sudditi una ridicola parvenza di partecipazione. Un appuntamento reso ancor più ignobile per il fatto stesso che siamo chiamati a scegliere la composizione di un organo che non ha alcun potere reale. Sono altri i gauleiter, quelli della Commissione europea, che prendono le decisioni che poi subiamo sulla nostra pelle. E questi mascalzoni, con buona pace delle apparenze, si eleggono da soli.

Non resta che rispondere ora alla domanda finale. Quale può essere la via d’uscita? Credo che l’unica speranza sia attendere (e augurarsi) che questa malefica organizzazione esploda, disintegrandosi così come è avvenuto nella storia per molti imperi del male e per tutte le dittature. In fondo, anche quel muro che pareva invulnerabile si è dissolto come neve al sole in una notte. Le cause della caduta potrebbero essere diverse, dovute a fenomeni sia interni sia esterni. Dubito molto che questa Europa possa cadere sotto gli effetti di una sconfitta militare. I leader continentali e i plenipotenziari bruxellesi sono molto abili nel provocare e fare guerre per procura lasciando ad altri popoli l’onere di farsi massacrare. Nel profondo essi sono però estremamente vili. Nessuno, ad esempio, oserà trasformare le minacce a Vladimir Putin in atti concreti. Non vedo infatti Stati europei che, per obbedire a un ordine euroamericano, siano capaci di sopportare anche solo qualche migliaio di caduti nei confronti delle loro opinioni pubbliche. Il leader russo, d’altra parte, non ha altro interesse che impedire alle metastasi etico-sociali occidentali di infettare il suo Paese. Deve solo chiudere la pratica Ucraina.

Forse, ed è a mio avviso più probabile, l’Unione potrà implodere dall’interno ma ciò potrà avvenire solo grazie alla decisiva spinta di tutti noi e alla nascita di forme di resistenza d’altri tempi, passive e attive. Ci sarà bisogno, nell’immediato futuro, di un vero e proprio “movimento delle genti”, in grado di rovesciare il regime di Bruxelles con la forza delle identità locali, della loro storia e cultura e, soprattutto, col desiderio delle giovani generazioni di riappropriarsi del loro futuro. Un movimento che collochi nuovamente in primo piano i valori e le tradizioni che, esse sì, hanno costruito nei secoli la vera e inestimabile cultura europea. Mi piace pensare, e spero non sia solo un sogno, che questi movimenti possano nascere e svilupparsi non solo e non tanto dalle grandi città, ma specialmente dalle campagne, dai piccoli centri, da quel mondo rurale e contadino che è probabilmente l’ultima riserva di valori di questa nostra Europa. Sicilia, Puglia, Padania, Baviera, Alsazia, Alta Provenza, Vandea, Andalusia e tutte le centinaia di territori del nostro continente uniti per riconquistare il diritto di vivere nella libertà di scegliere autonomamente il proprio destino. Abbiamo avuto un piccolo ma significativo assaggio di tale possibilità con la rivolta dei trattori. È auspicabile che sia solo l’inizio.

In questi giorni sto leggendo un interessante saggio sulla vita del cardinale Clemens August von Galen (Un vescovo contro Hitler di Stefania Falasca). Una vicenda non molto nota [Duc in altum ne ha parlato a più riprese, per esempio qui e qui] e che merita, invece, di essere divulgata e conosciuta per il suo altissimo valore religioso, morale e civile. Von Galen, vescovo di Münster, fu il prelato tedesco che maggiormente si oppose al nazismo per tutto il periodo del Terzo Reich. Un esempio di fede, virtù e intransigenza nel denunciare apertamente le crudeltà della canaglia nazista. Voglio proporre a chiusura del mio contributo una sua breve citazione. Ritengo possa essere un edificante insegnamento per tutti coloro che, come me, soffrono tremendamente l’oppressione europea e sperano, prima o poi, di uscire da quest’incubo. Durante l’omelia della Messa domenicale, celebrata il 20 luglio 1941 nella chiesa di Überwasser, von Galen fece un paragone, quello dell’incudine e del martello, che divenne poi l’emblema della resistenza tedesca al regime.

Queste le sue parole:

Diventare duri! Rimanere fermi! In questo momento noi non siamo martello, ma incudine… Estranei e traditori martellano su di noi… non è necessario che l’incudine restituisca il colpo, e nemmeno lo può fare! Deve soltanto rimanere fermo, duro. Se è sufficientemente resistente, fermo e duro, allora, di solito, l’incudine dura più del martello…”.

Speriamo con tutto il cuore che, anche in questo inizio di XXI secolo, il martello della stramaledetta Europa si sfracelli prima o poi sull’incudine della nostra perseveranza e della nostra resistenza.

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