Sul giornalismo cattolico

di Aurelio Porfiri

Sono un osservatore del giornalismo cattolico ma non mi ritengo un giornalista. Più che altro sono uno scrittore che si affida al suo bagaglio di musicista e ricercatore per scrivere anche articoli di tipo più divulgativo.

Ho comunque grande stima del giornalismo cattolico inteso nel giusto senso.

Quelli che corrono appresso a ogni svolazzare di tonaca (me ne rendo conto, l’esempio è ormai difficile da proporre) non mi sembrano rappresentanti eminenti del giornalismo cattolico. Il giornalista cattolico è tale se sa conservare la propria dignità, e anche una certa necessaria indipendenza, a fronte delle pressioni provenienti dall’alto, perché amicus plato sed magis amica veritas.

L’esempio per me più rappresentativo di giornalista cattolico è Vittorio Messori, che non ha mai rinunciato all’indipendenza di giudizio, anche nelle questioni ecclesiali, e ne ha pagato le conseguenze. Il giornalista che ha come unico scopo quello di difendere l’istituzione, anche quando essa sbaglia, non fa il giornalista, ma il servitore e neanche tanto cattolico, perché se la Chiesa è santa, essa è anche peccatrice nei suoi membri. E non è mai giusto difendere il peccato.

Prendiamo il caso tanto pubblicizzato degli abusi sessuali. Mi è capitato in questi giorni di ascoltare un podcast chiamato La confessione, che parla di abusi sessuali perpetrati nella diocesi di Enna, in Sicilia. Il podcast in più puntate è stato curato dai giornalisti Stefano Feltri, Federica Tourn e Giorgio Meletti. Ascoltare le vicende che venivano raccontate disturbava molto, ma disturbava anche constatare come i giornalisti in questione avessero un’idea alquanto approssimativa della Chiesa cattolica e del suo funzionamento, affastellando accuse che spesso erano solo frutto di ignoranza.

Un giornalista di formazione cattolica avrebbe potuto inquadrare il problema in modo molto più puntuale e fornire un resoconto ben più efficace. Ma troppo spesso il giornalismo cattolico evita di occuparsi delle vicende spiacevoli, un po’ per la paura di infastidire qualcuno, un po’ per convenienza.

Il giornalista cattolico dovrebbe avere sempre il coraggio della verità, ancor più se scomoda, perché l’ultimo referente a cui deve rendere conto è Dio, non questo o quel vescovo o cardinale o papa. Sì, il giornalismo cattolico nella sua essenza è servizio alla verità. Se non lo è, rimane solo il gossip ecclesiastico.

 

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