Se il papa abbraccia il dogma della Rivoluzione francese

di Héctor Aguer*

Giorni fa il papa ha convocato in Vaticano trenta premi Nobel “per riflettere sulla fraternità”. Un incontro mondiale il cui motto è stato Be Human. L’obiettivo, “elaborare un nuovo patto mondiale sulla fraternità e un nuovo codice dell’essere umano, oltre ad annunciare un grande evento sulla fraternità durante l’Anno Santo, che si celebrerà nel 2025”. La lista degli invitati comprendeva, tra gli altri, la leader indigena guatemalteca Rigoberta Menchú, il direttore della Nasa Bill Nelson, il sindaco di New York Eric Leroy Adams e l’attivista per l’infanzia mozambicana Graca Machel, vedova di Nelson Mandela.  In sede di presentazione la Santa Sede ha spiegato: “Cercheranno di elaborare proposte concrete per iniziare a cambiare la storia, per stimolare le riforme che mancano, per capire dove il principio di fraternità è già presente nella vita sociale e per discernere i parametri necessari per misurarlo”.

La Santa Sede – per l’invidia della massoneria universale – ha dunque adottato l’ideologia della Rivoluzione francese: Liberté, egalité, fraternité. Mi chiedo: quando è stato archiviato il comando di Gesù a Pietro e agli Undici di fare di tutti i popoli i suoi discepoli, cioè cristiani? Purtroppo è proprio il successore di Pietro che sta portando la Chiesa di Roma su questa strada sbagliata.

C’è un modo di reagire secondo la tradizione. Nella Lettera ai Galati Paolo dice (2,11): quando Cefa arrivò a Gerusalemme “mi opposi in faccia a lui” (kata prosōpon autō antestēn) per la sua ipocrisia.

La tradizione ha conferito al pontefice romano la massima autorità, ma i cardinali, con tutto il rispetto, possono renderlo consapevole del pericolo. In questo caso, il pericolo che Roma adotti il dogma della Rivoluzione.

All’incontro sulla fraternità papa Francesco, ricevendo in udienza i partecipanti, ha detto: “In un pianeta in fiamme, vi siete riuniti con l’intenzione di riaffermare il vostro no alla guerra e il vostro sì alla pace, testimoniando l’umanità che ci unisce”. L’incontro ha riunito personalità del mondo della scienza, della politica, dell’arte e dello sport, che hanno riflettuto sulla fratellanza umana e su come “costruire un mondo di pace” in futuro. Nel suo discorso, il papa ha citato Martin Luther King: “Abbiamo imparato a volare come gli uccelli, a nuotare come i pesci, ma non abbiamo ancora imparato la semplice arte di vivere insieme come fratelli”. Ha anche insistito sul fatto che la parola chiave per vivere insieme è “compassione”. L’intenzione dell’incontro era quella di “generare un movimento di fraternità”. “È necessario riconoscersi di nuovo nella nostra comune umanità e mettere la fraternità al centro della vita dei popoli”.

Il grande assente è stato Gesù Cristo. Per giudicare cosa significhi questa assenza, basta ricordare l’opera di san Paolo, in particolare le sue Lettere agli Efesini e ai Colossesi. Cristo è tutto per la Chiesa. Mi vengono in mente anche due significative espressioni di Paolo VI: “Ci aspettavamo una primavera fiorita, ma è arrivato un rigido inverno” e “sembra che attraverso qualche fessura il fumo di Satana sia entrato nella Chiesa di Dio”.

Esiste una vera fraternità tra i cristiani: l’Apostolo nelle sue Lettere usa spesso il termine “fratelli” (adelphói) per riferirsi ai suoi destinatari; è un mistero di grazia fondato sull’unico battesimo, che confessiamo nel Credo, ed esige la carità (agápē) nel comportamento reciproco. L’evangelizzazione è il processo che estende la Chiesa come fraternità. Si può dire che sia espressa nel Padre nostro: chiamiamo Dio il Padre di nostro Signore Gesù Cristo, nostro Padre, con un plurale che esclude l’individualismo. Da un punto di vista cristiano, possiamo analogicamente considerare tutti gli uomini come fratelli, in quanto creature di Dio, l’unico creatore di tutti, il Padre delle anime.

Pietro è il capo del processo di evangelizzazione condotto dalla Chiesa nascente. A lui si unisce Saulo, che diventa Paolo, e l’Apostolo delle genti ci ricorda che non c’è altro Vangelo che quello affidato agli Undici, ma succede che alcuni distorcono il Vangelo di Cristo.

La persona di Pietro trova la sua continuità nei suoi successori, i papi di Roma. Ricordo le parole di san Bernardo a papa Eugenio III, che era stato suo discepolo: “Che cosa avevano in mente i tuoi predecessori per interrompere l’evangelizzazione mentre l’incredulità si diffonde ancora, perché la parola che corre veloce è stata fermata? Ricordate che non lo dovete solo ai cristiani, ma anche agli infedeli, agli ebrei, ai greci e ai pagani”.

Il dogma della Rivoluzione francese, libertà, uguaglianza, fraternità, è un altro vangelo che diffonde l’incredulità così come la dimenticanza di Gesù Cristo e della Parola del Padre. Il successore di Pietro e tutta la Chiesa non possono adottarlo o fare un patto con questo dogma in una falsa pace. La Parola che corre veloce non deve fermarsi.

La missione della Chiesa, come continuità dell’opera redentrice di Cristo, è rivolta alla consacrazione del mondo. Questo concetto abbraccia una duplice realtà: da una parte il mondo buono, opera della creazione di Dio, e dall’altra quella sorta di “seconda natura”, come diceva Blaise Pascal: il mondo del peccato, della vanità e della menzogna, l’alienazione dell’uomo, l’ambito in cui si svolge l’azione del nemico. Questo mondo deve essere strappato al male e condotto a Dio dal Verbo, che è Cristo. Questa è anche la missione del successore di Pietro e di tutta la comunità dei fedeli. Il suo prezzo è la Croce di Cristo e la disponibilità dei discepoli al martirio.

*arcivescovo emerito di La Plata

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