Intervista a Berlicche

– Buongiorno signor Berlicche.

– Buongiorno a lei.

– Come va?

– Molto bene, grazie.

– Ci può dire qualcosa circa la vicenda di Alfie Evans?

– Sono soddisfattissimo!

– Perché?

– Beh, siamo riusciti a far prevalere la nostra visione.

– Quale?

– In due parole direi così: che la morte è meglio della vita, che la speranza è un’illusione, che un essere umano è inutile quando non è in linea con i parametri della massima efficienza, che il dolore non ha senso…

– Però, signor diavolo… oh, mi scusi, volevo dire signor Berlicche…  non può negare che a favore di Alfie c’è stata una mobilitazione…

– Sì, abbiamo visto, ma che ci vuole fare… In questi casi scatta sempre una certa emotività…

– Beh, signor Berlicche, con tutto il rispetto, direi che qui c’è qualcosa di più dell’emotività. C’è un popolo che si è schierato dalla parte di Alfie, del suo diritto alla vita…

– Popolo… Diritto alla vita… Che espressioni noiose! Se ne riempiono la bocca i sentimentali. Noi siamo realisti.

– E quindi?

– E quindi preferiamo parlare di diritto a non soffrire, dolce morte, accompagnamento. Ma l’espressione migliore di tutte è quella usata dai giudici inglesi: best interest.

– In che senso «migliore»?

– Ci pensi, è un’idea davvero intelligente: best interest, miglior interesse. Ecco a che cosa dobbiamo guardare: al miglior interesse del soggetto. Altro che diritto alla vita! E il miglior interesse, ovviamente, può essere qualsiasi cosa. Dipende da chi ha il potere di decidere! Geniale!

– E allora?

– E allora è tutta questione di potere: se siamo noi a decidere qual è il best interest, il gioco è fatto!

– Voi? Ma voi chi?…

– Noi, noi, caro signore. Noi che siamo ovunque. Nei tribunali, nelle scuole, negli uffici, nei giornali, nelle chiese! Ah! Ah! Ah! Le nostre ramificazioni raggiungono ogni settore della società, della politica, della cultura. E così riusciamo a mantenere il controllo su tutto, anche sulla lingua. Il che, mi creda, non è di secondaria importanza.

– Ma come fate?

– Ora lei vuole sapere troppo. Diciamo che abbiamo una certa esperienza, maturata nel tempo.

– Ma che cosa ci guadagnate a togliere la speranza?

– Ah! Ah! Lei mi fa sorridere, caro signore. La sua ingenuità è senza pari.

– E perché? Glielo chiedo di nuovo: che cosa ci guadagnate?

– Tutto ci guadagniamo, tutto! Via la speranza, via la fede, via quella sciocca idea dei miracoli, via la fiducia, via la bontà d’animo (Ah! Ah! Ah!), via la carità, via la fraternità! Ecco che cosa ci guadagniamo.

– Quindi, mi faccia capire, il vostro guadagno è un togliere…

– Ma certo! Togliere, svuotare, strappare, rimuovere. È la nostra specialità.

– Ma torno a chiedere: a che scopo?

– Lo scopo? Ma caro signore, è evidente: per lasciare il vuoto, il nulla. Che cosa c’è di più soddisfacente? Rimuovere quel grumo di passioni, dolori, contraddizioni, patimenti, sentimenti, emozioni, eccitazioni e turbamenti che è l’essere umano. Rimuovere tutto per ottenere il vuoto assoluto. Tranne per una piccola percentuale di sensibilità. Che serve ad avvertire l’angoscia.

– Non riesco a seguirla, signor Diavolo.

– Caro amico, lei non mi segue perché evidentemente è ancora impregnato.

– Di che?

– Ma di questa vecchia, obsoleta, inutile umanità della quale le stavo parlando. Tuttavia, quanto più riuscirà a ripulirsi, a rendersi più freddo, distaccato, indifferente,  tanto più si avvicinerà alle nostre posizioni.

– E tutto questo, mi perdoni, che c’entra con Alfie?

– Ma come che c’entra? C’entra eccome! Sono proprio le vicende come questa di Alfie che alimentano le umane passioni e scatenano quelli che voi chiamate buoni sentimenti e per noi sono soltanto inutili rimasugli di un’umanità vecchia e contorta. Se in un caso come questo noi riusciamo a far prevalere la logica dell’indifferenza e a mostrare che quella che voi chiamate speranza è mera illusione, diamo un contributo determinante alla svolta che è nei nostri piani: svuotare l’anima, strappare il cuore, rimuovere ogni barlume di carità…

– Uhm, credo di aver capito. E tuttavia…

– Tuttavia?

– Tuttavia questa vostra azione ha contribuito a mettere in luce l’amore di due giovanissimi genitori, Tom e Kate, appena ventenni, che si stanno battendo come leoni per il loro bambino.

– Sì, è vero, dobbiamo ammetterlo…

– E dunque?

– Dunque dobbiamo lavorarci su. Non avevamo previsto questo effetto, diciamo così, collaterale, questi due genitori così determinati, questo papà che vuole fare il papà e questa madre che vuole fare la madre. Inconcepibile…

– Ma come inconcepibile?

– Voglio dire: uno lavora per anni per togliere di mezzo l’idea di paternità e maternità, per appiattire tutto, per fare tabula rasa di un certo attaccamento, e poi eccoti questi due, questi ragazzini, che pensano di fare gli eroi.

– Ma come eroi? Vogliono fare semplicemente i genitori!

– Dia retta a me, quelli si sono fatti strane idee: credono ancora nell’amore, figuriamoci! Non hanno capito. Sono due arretrati, due romantici. Meno male che noi, ops, volevo dire che i giudici inglesi hanno saputo tenerli a bada.

– E adesso?

– Adesso continuiamo a lavorare. Non dobbiamo arretrare di un millimetro. Penso che investiremo ancora molto sul linguaggio, ma qualcosa di buono abbiamo già prodotto.

– Per esempio?

– Per esempio, la nota dei vescovi inglesi su Alfie.

– E cioè?

– Ma caro signore, dal nostro punto di vista quello è un capolavoro. Senta qui: «Affermiamo la nostra convinzione che tutti coloro che hanno preso le decisioni strazianti che riguardano la cura di Alfie Evans agiscono con integrità e per il bene di Alfie, così come loro lo vedono. La professionalità e la cura per bambini seriamente malati dimostrata all’Alder Hey Hospital deve essere riconosciuta e affermata».

– Non la seguo…

– Ma come, non capisce? Quel comunicato è perfetto: parla di decisioni «strazianti» e sostiene l’eutanasia! Parla di «cura» (Ah! Ah! Ah!) e sostiene chi promuove la morte! Ha quel che di falso e subdolo che lo rende perfetto. «Così come loro lo vedono»! Ah! Ah! Ah! Magnifico! Devo ricordarmi di fare i complimenti al nostro, ops, volevo dire al loro ufficio stampa.

– Senta signor Berlicche, ma possibile che lei non nutra un briciolo d’amore per quel bambino, per Alfie? Ma ha visto le foto?…

– Lei sta scherzando, vero?

– No che non scherzo!

– Mi viene in mente un frase che ho letto da qualche parte: « È buffo che i mortali ci rappresentino sempre come esseri che mettono loro in testa questa o quella cosa: in realtà il nostro lavoro migliore consiste nel tenere le cose fuori della loro testa». Come le dicevo: svuotare, rimuovere, fare pulizia. E lei mi chiede se una foto mi può commuovere!?

– Posso chiederle, infine, qual è la sua più grande soddisfazione?

– La più grande ricompensa per le nostre fatiche è quel senso di smarrimento e d’angoscia che l’anima umana avverte quando riusciamo a instillarle l’idea che tutto sia perduto. Impagabile!

– Faccio fatica a seguirla…

– Mettiamola così, caro signore: l’uomo è anima e corpo, mezzo e mezzo. E noi naturalmente lavoriamo perché diventi tutto corpo e niente anima. Ma sappiamo che comunque un po’ d’anima, un certo rimasuglio, resterà. Orbene: noi vogliamo che quel po’ d’anima serva ad avvertire tutto lo smarrimento che nasce dalla mancanza di speranza. Ecco il nostro godimento.

– Vuole lanciare un ultimo messaggio?

– Volentieri: che la creatura umana non si elevi e non sia elevata, ma si abbassi e sia abbassata.

– Va bene, signor Berlicche. Grazie per questo incontro.

– Non c’è di che.

– Ora dov’è diretto?

– Un po’ qua un po’ là, dipende…

– Andra a Liverpool?

– Non posso dirlo, caro signore. Ma, mi creda, lì siamo già molto ben rappresentati.

Aldo Maria Valli

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