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Ed ora avanti con la “legge di Alfie”

Passano i giorni, ci allontaniamo dalla morte di Alfie Evans e il rischio è che dimentichiamo che cosa è successo. Non dobbiamo permetterlo.

Per questo è utile parlare della proposta di Steven Woolfe, avvocato e deputato inglese indipendente che proprio in seguito al dramma di Alfie e dei suoi giovani genitori, Tom e Kate, ha deciso di battersi per l’introduzione di un’Alfie’s Law, una legge di Alfie, che garantisca maggiori diritti per i genitori.

Ciò che è successo ad Alfie, argomenta Woolfe in un editoriale sull’Independent

(https://www.independent.co.uk/voices/alfie-evans-case-steven-woolfe-law-change-needed-opinion-a8326041.html)

può succedere a chiunque: una malattia, un incidente, ed ecco che un ospedale può diventare padrone della vita di una persona, senza che i suoi congiunti possano dire nulla.

Si tratta di una situazione che deve finire. Anche da avvocato, oltre che da parlamentare, Woolfe spiega di essere rimasto costernato dal modo in cui i genitori di Alfie sono stati emarginati, esclusi da ogni possibilità decisionale: «Non possiamo continuare a trattare i genitori alla stregua di passanti, poco più che dei visitatori senza rapporti con il paziente e chiaramente indesiderati quando si tratta delle decisioni prese da medici e tribunali».

Il papà di Alfie, il ventunenne Tom Evans, per tutelare il diritto alla vita del bambino ha dovuto combattere contro l’ospedale, contro i giudici, contro il Servizio sanitario nazionale britannico. Tutto ciò è aberrante. È chiaro, dice Woolfe, che le legge deve cambiare. Occorre arrivare a una normativa in grado di garantire alcune salvaguardie per ristabilire un equilibro tra le parti. Innanzitutto, bisogna mettere a disposizione dei genitori un aiuto per sostenerli lungo l’iter giudiziario. Il che può avvenire mediante un difensore imparziale che abbia la possibilità di agire in loro nome fin dall’inizio.

Occorre poi garantire il diritto a un finanziamento proporzionato. Per i genitori gli appelli davanti ai tribunali non sono solo estremamente stressanti, ma anche molto onerosi. Nel caso di Alfie, sottolinea Woolfe, mentre il National Health Service, il Servizio sanitario nazionale, ha potuto gestire un ampio budget per combattere la richiesta di trattamento alternativo avanzata dai genitori, Tom e Kate Evans sono stati lasciati a loro stessi, e tutto ciò determina una sproporzione che si traduce in una palese ingiustizia.

L’aspetto economico è decisivo. Spesso i genitori, per quanto determinati, non possono permettersi di continuare la lotta. Per tutta la vita vedranno la morte del figlio come una conseguenza della loro mancanza di mezzi: qualcosa di straziante.

La legge di Alfie, infine, darebbe voce a un medico scelto dai genitori, indipendente rispetto al Servizio sanitario nazionale, così da costringere i tribunali a dare un peso equivalente anche a questa voce.

Insomma, è arrivato il tempo di adottare la legge di Alfie. Non vogliamo, dice Woolfe, che altri genitori debbano sopportare ciò che hanno vissuto Tom e Kate. Il governo britannico ha il dovere di agire e deve farlo.

Al momento, tuttavia, la risposta fornita da Theresa May, primo ministro britannico, non appare delle più incoraggianti. Rispondendo a una domanda che le è stata posta al riguardo da un giornalista di Global Radio

(https://www.lifesitenews.com/news/uk-prime-minister-important-that-experts-decided-alfie-evans-fate),

May si è limitata a dire che la vicenda Alfie rappresenta «un caso tragico» e che era «importante che le decisioni sul supporto medico che viene dato ai bambini e agli altri pazienti siano prese da medici esperti in materia».

Già l’estate scorsa, riguardo al caso di Charlie Gard, Theresa May aveva evitato di entrare in argomento, esprimendo però fiducia nell’ospedale, il Great Hormond Street Hospital, nel quale il bambino era ricoverato.

Più in generale, la vicenda di Alfie deve spingerci a interrogarci sempre di più sui limiti della libertà personale posti dallo Stato in nome di un best interest, un presunto «miglior interesse» che spesso non è che un’etichetta nobile posta sopra una forma di autentica tirannia.

Perché i genitori sono spodestati? Perché lo Stato vuole decidere al posto loro? Chi può decidere qual è il «miglior interesse» per una persona? Perché due genitori devono trovarsi ad affrontare una battaglia spaventosa, ad armi impari, per affermare i diritti propri e del loro bambino?

Noi sappiamo che Alfie non è morto invano. Però non dobbiamo smettere di interrogarci. La tirannia conta sulla nostra smemoratezza.

Aldo Maria Valli

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