Quel che il papa dice. E quel che non dice

Non è piaciuta a tutti la Lettera al popolo di Dio scritta da Francesco in seguito al deflagrare della crisi dopo il rapporto del gran giurì della Pennsylvania su mille casi di abusi a danno di trecento vittime nell’arco di settant’anni, con ampie coperture e insabbiamenti da parte delle gerarchie.
LifeSiteNews (https://www.lifesitenews.com/news/pope-francis-blames-u.s.-sex-abuse-crisis-on-clericalism-fails-to-mention-h) osserva che la lettera sta ricevendo critiche da parte dei fedeli perché non specifica le azioni concrete da adottare e ignora la questione di fondo dell’omosessualità dilagante nel clero.
Il papa punta il dito contro il «clericalismo», inteso come «un modo anomalo» di considerare e vivere l’autorità della Chiesa, ma la spiegazione appare nello stesso tempo vaga e fuorviante. Non si affronta seriamente il problema se non si riconosce la questione dell’omosessualità e il ruolo dei vescovi. Tuttavia le parole «vescovo» e «omosessualità» nella lettera non appaiono neppure una volta.
Come hanno osservato, per esempio, il cardinale Raymond Burke (qui il mio articolo in proposito: https://www.aldomariavalli.it/2018/08/18/il-venerdi-santo-della-chiesa-degli-stati-uniti/) e il vescovo Robert Morlino di Madison (https://www.aldomariavalli.it/2018/08/19/odiare-il-peccato-unica-via-contro-la-devastazione-nella-vigna-del-signore/) una crisi così drammatica come quella degli abusi non può essere fronteggiata senza riconoscere il problema dell’omosessualità e del permissivismo che si è insinuato nella Chiesa. Di pari passo occorre sottolineare che, per quanto i provvedimenti dei vescovi possano essere importanti, tocca al papa dimostrare che la Chiesa ha saputo risalire alle cause del fenomeno, così da essere in grado di disciplinare correttamente le situazioni.
Le statistiche contenute nel rapporto del gran giurì della Pennsylvania dicono che in tre quarti dei casi i preti incriminati erano omosessuali e in maggioranza sceglievano come vittime ragazzi adolescenti. Non è dunque corretto parlare di pedofilia o, per lo meno, solo di pedofilia. D’altra parte già il rapporto del John Jay College nel 2004 segnalava che l’81 per cento delle vittime era composto da maschi, per lo più adolescenti tra i quattordici e i diciassette anni.
Anche Marie Collins, vittima di abusi ed ex membro della Pontificia commissione per la protezione dei minori (dalla quale si dimise per sottolineare il suo senso di frustrazione e l’inadeguatezza dell’organismo e) si dice perplessa circa la lettera del papa, e un altro commento significativo è poi quello dello scrittore Rod Dreher, autore del libro L’opzione Benedetto.
Nato metodista, convertito al cattolicesimo nel 1993 e poi, nel 2006, divenuto ortodosso proprio in seguito alle sue ricerche sulla rete segreta e potente dei preti omosessuali, Dreher (https://www.theamericanconservative.com/dreher/pope-francis-failed-letter-abuse/) osserva: «Se non avessi seguito questa storia da vicino per anni, sarei confortato dalla lettera del papa»; purtroppo però so che «è molto tardi» perché si possa ancora pensare che «le parole, da sole, siano credibili».
Papa Francesco, scrive Dreher, ha rilasciato «un torrente di buone parole», ma le azioni purtroppo non vi corrispondono.
Si prenda il caso di Donald Wuerl, l’arcivescovo di Washington amico dell’ex cardinale Mc Carrick (sospeso dopo essere stato riconosciuto colpevole di gravi abusi a danno di seminaristi) e adesso nell’occhio del ciclone, tanto che da più parti si invoca una sua rinuncia all’incarico.
Le dimissioni per raggiunti limiti di età di Wuerl (classe 1940, successore di Mc Carrick a Washington nel 2006) sono sul tavolo di papa Francesco già da due anni (tutti i vescovi cattolici, come si sa, si dimettono formalmente una volta compiuti i settantacinque anni), eppure nel caso dell’arcivescovo di Washington il pontefice non le ha accettate. Il che spinge Dreher a commentare: «Finché Donald Wuerl sarà a capo dell’arcidiocesi di Washington, le parole del papa [contro gli abusi] resteranno vuote».
Ma si prenda anche il caso del cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga, che fa parte della cerchia più ristretta dei consiglieri del papa, in quanto coordinatore del Consiglio dei nove cardinali incaricati della «grande riforma» che Francesco avrebbe dovuto condurre in porto. Ebbene, scrive Dreher, Maradiaga è al centro di «un enorme scandalo per omosessualità» che coinvolge il seminario della sua diocesi (l’ausiliare di Maradiaga si è dimesso dopo esser stato accusato di avere diverse relazioni omosessuali), eppure la posizione del cardinale honduregno (che ha già compiuto i fatidici settantacinque anni ed è dunque in età di pensione) sembra sempre più forte nella curia romana, tanto che le voci di corridoio nei sacri palazzi dicono che sarà confermato per almeno altri cinque anni (e nel frattempo, negli ultimi vent’anni, la popolazione cattolica in Honduras si è dimezzata, con masse di fedeli che sono passate al pentecostalismo o hanno abbandonato completamente il cristianesimo). L’unica cosa che mantiene Maradiaga al potere è la volontà di Francesco, per cui la conclusione di Dreher è la stessa di prima: «Finché Maradiaga rimane al potere, le parole del papa saranno vuote».
Insomma, conclude Dreher, occorre prestare attenzione non solo a ciò che il papa dice, ma anche a ciò che non dice.
Durissima è poi la reazione alla lettera del papa di una delle mille vittime che al gran giurì della Pennsylvania hanno raccontato di essere state molestate per anni. Il documento di Francesco, dichiara Jim Faluszczak, quarantanove anni, ex prete che ora assiste le vittime di abusi, «non offre soluzioni su come la Chiesa dovrebbe combattere il fenomeno». E «se il papa non riesce a trovare soluzioni, meglio che si ritiri, così da consentire ai cattolici di mettere al suo posto un altro papa in grado di agire».
Intanto, mentre sul britannico Catholic Herald la lettera del papa è giudicata «inadeguata» e «piena di cliché» (http://www.catholicherald.co.uk/commentandblogs/2018/08/21/pope-franciss-letter-on-abuse-was-not-enough-we-need-action/), c’è chi propone di azzerare la Conferenza episcopale degli Stati Uniti.
È il caso di Jason Scott Jones, che su LifeSiteNews (https://www.lifesitenews.com/opinion/enough-its-time-to-disband-the-us-bishops-conference) scrive: «È tempo di sciogliere la Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti. Invece di perdere tempo in stupide dichiarazioni politiche su questioni come immigrazione, riscaldamento globale e sindacati, i vescovi devono concentrarsi su tre cose: rendere facilmente disponibili i sacramenti (specialmente la confessione); ricostruire l’educazione cattolica fatiscente e assicurarsi che i nostri bambini non vengano abusati sessualmente».
I vescovi, scrive Jones, sono responsabili dell’ambito spirituale e i laici sono responsabili della cristianizzazione dell’ambito temporale, ma questa fondamentale differenza tra la gerarchia e il laicato è stata completamente dimenticata. I vescovi, quando si occupano della vita dei laici, dovrebbero assumere posizioni forti su questioni non negoziabili come l’aborto, le unioni omosessuali e la protezione dei bambini; invece, concentrati come sono sulla promozione di cause «liberal», non si occupano della salvezza delle anime. Nel frattempo l’educazione cattolica si è disintegrata, i sacramenti sono abusati (quanti cattolici americani ricevono l’Eucaristia anche se si confessano raramente o mai?), e i nostri figli sono a rischio proprio quando si trovano tra coloro con cui dovrebbero essere più sicuri. «I vescovi non sono amministratori, né attivisti. Sono pastori. Esistono per uno scopo: aiutare i cristiani a raggiungere il paradiso».
Cardinali e vescovi come Wuerl, continua l’autore, hanno perfino provato a usare il la Conferenza episcopale degli Stati Uniti per impedire ai colleghi di parlare di argomenti politicamente delicati, ma questa non è una sorpresa dal momento che il 40 per cento dei fondi arriva ai vescovi dal governo federale degli Stati Uniti.
Che la situazione sia ormai in gran parte fuori controllo è confermato dalle iniziative di legge che in diverse parti del mondo hanno messo nel mirino il sacramento della confessione.
Scrive Sandro Magister (http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2018/08/19/chiesa-sotto-attacco-fuori-legge-il-sacramento-della-confessione/): «In Australia, nel territorio della capitale Canberra, il segreto della confessione è da giugno perseguibile come un reato, qualora il sacerdote che venisse a conoscenza, mentre amministra il sacramento, di un abuso sessuale su minori non lo denunciasse alle pubbliche autorità… I vescovi dell’Australia hanno reagito difendendo l’intangibilità del sigillo della confessione, la cui trasformazione in reato mette a rischio la stessa libertà religiosa. Ma il primo ministro del Nuovo Galles del Sud, uno dei sei Stati che compongono la federazione australiana, ha già chiesto che la legge sia discussa e approvata a livello federale, rendendola valida per l’intero paese».
E l’Australia non è un caso a sé. «In India, a fine luglio, la Commissione nazionale per le donne ha raccomandato al governo di New Delhi di mettere fuori legge il sacramento della confessione in tutto il paese, al fine di evitare i ‘ricatti’ che i sacerdoti potrebbero esercitare contro le donne».
«Già nel 2011, in un’Irlanda scossa dall’esplosione degli abusi sessuali commessi da preti cattolici, l’allora primo ministro Enda Kenny sostenne che ”i sacerdoti dovrebbero avere l’obbligo di legge di denunciare i casi di abuso appresi in confessione”».
E come dimenticare il Cile, dove «i magistrati che stanno investigando sugli abusi sessuali compiuti da vescovi e sacerdoti, e che hanno già chiamato a testimoniare, tra gli altri, l’arcivescovo di Santiago, cardinale Ricardo Ezzati Andrello, stanno valutando se interrogare anche papa Francesco in persona, sulla base dei reati – come la distruzione di archivi compromettenti – da lui denunciati nella lettera ai vescovi cileni dello scorso mese di maggio»?
Insomma, la Chiesa che in campo morale ha abbassato la guardia in nome del dialogo con il mondo, ora si trova sotto accusa proprio da quello stesso mondo.
E completiamo il quadro, almeno per ora, con i commenti di due cardinali.
Il primo è Joseph Tobin, arcivescovo di Newark negli Stati Uniti, il quale, dopo che sei sacerdoti rimasti anonimi hanno denunciato sulla Catholic News Agency che all’origine egli abusi c’è la «sub-cultura gay», si è rivolto così ai preti della sua diocesi: «Nessuno mi ha mai parlato di una simile sotto-cultura. D’ora in poi ai preti sarà vietato parlare con i giornalisti e tutte le eventuali richieste dovranno essere riferite al responsabile dell’ufficio comunicazioni sociali della diocesi».
Che dire? Complimenti per la lungimiranza!
Il secondo è il neo-cardinale messicano Sergio Obeso Rivera, il quale, secondo quanto riferisce Crux (https://cruxnow.com/church-in-the-americas/2018/08/21/mexican-cardinal-says-abuse-victims-should-think-about-skeletons-in-their-own-closet/) ha detto che le vittime degli abusi dovrebbero «vergognarsi di parlare perché anche loro hanno scheletri negli armadi».
Che dire?
Senza parole.
Aldo Maria Vlli

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