Viganò: “Papa Francesco, perché non rispondi? Chi tace acconsente”

A un mese dalla pubblicazione del suo memoriale, monsignor Carlo Maria Viganò torna a parlare. Lo fa attraverso un testo, che pubblichiamo qui, fattoci pervenire dalla località segreta nella quale vive.

Nel nuovo documento l’ex nunzio negli Stati Uniti ribadisce di essersi deciso a parlare dopo lunga meditazione e unicamente per il bene della Chiesa, convinto che non ci fosse altra via per infrangere il silenzio dei pastori su peccati e crimini che hanno rovinato migliaia di vite e di vocazioni.

Certo, dice monsignor Viganò, sono consapevole di aver infranto il segreto pontificio, ma tale segreto è stato stabilito per difendere la Chiesa. Nel momento in cui, al contrario, il rispetto del segreto si traduce in un danno per la Chiesa, occorre uscire allo scoperto e rivelare la verità.

Ma il punto centrale del documento è la dove Viganò imputa a Francesco di non aver risposto alle sue contestazioni. Il papa, osserva l’arcivescovo, ha dato ai giornalisti il compito di fare chiarezza, ma come possono farlo se egli non risponde?  La mancata risposta non è forse in contraddizione con la richiesta, più volte avanzata dal papa, di essere trasparenti nella vita della Chiesa e di costruire ponti e non muri?

Nel testo c’è poi un appello che Viganò rivolge all’amico Marc Ouellet, il cardinale canadese che dal 2010 è prefetto della Congregazione per i vescovi: “Eminenza, prima che io partissi per Washington, lei mi parlò delle sanzioni di papa Benedetto nei confronti di McCarrick. Lei ha a sua completa disposizione i documenti più importanti che incriminano McCarrick e molti in curia che lo hanno coperto. Eminenza, le chiedo caldamente di voler rendere testimonianza alla verità!”.

Ma ecco qui di seguito il testo completo di monsignor Carlo Maria Viganò.

AMV

***

Scio Cui credidi

So in Chi ho creduto

(2 Tim. 1, 12)

All’inizio di questo mio scritto desidero innanzitutto ringraziare e rendere gloria a Dio Padre per ogni situazione e prova che ha disposto e che vorrà disporre per me durante la mia vita. Come ogni battezzato, come sacerdote e vescovo della santa Chiesa, sposa di Cristo, sono chiamato a rendere testimonianza alla verità. Per il dono dello Spirito che mi sostiene con gioia nella strada che sono chiamato a percorrere, intendo farlo fino alla fine dei miei giorni. Il nostro unico Signore ha rivolto anche a me l’invito: “Seguimi!”, ed intendo seguirlo con l’aiuto della sua grazia fino alla fine dei miei giorni.

“Finché avrò vita, canterò al Signore,

finché esisto, voglio inneggiare a Dio.

A Lui sia gradito il mio canto;

In Lui sarà la mia gioia”.

(Sal. 103, 33-34)

È trascorso ormai un mese da quando ho reso la mia testimonianza, unicamente per il bene della Chiesa, di quanto avvenuto nell’udienza con papa Francesco il 23 giugno 2013 e al riguardo di certe questioni che mi è stato dato di conoscere negli incarichi che mi furono affidati in Segreteria di Stato e a Washington, con relazione a coloro che si sono resi responsabili di aver coperto i crimini commessi dal già arcivescovo di quella capitale.

La decisione di rivelare quei fatti è stata per me la più sofferta e grave che abbia mai preso in tutta la mia vita. La presi dopo lunga riflessione e preghiera, durante mesi di profonda sofferenza e angoscia, in un crescendo di continue notizie di terribili eventi, con migliaia di vittime innocenti distrutte, di vocazioni e di giovani vite sacerdotali e religiose sconvolte. Il silenzio dei pastori che avrebbero potuto porvi rimedio, e prevenire nuove vittime, diventava sempre più insostenibile, un crimine devastante per la Chiesa. Ben consapevole delle enormi conseguenze che la mia testimonianza avrebbe potuto avere, perché quello che stavo per rivelare coinvolgeva lo stesso successore di Pietro, ciò nonostante scelsi di parlare per proteggere la Chiesa e dichiaro con chiara coscienza davanti a Dio che la mia testimonianza è vera. Cristo è morto per la Chiesa, e Pietro, Servus servorum Dei, è il primo chiamato a servire la sposa di Cristo.

Certo, alcuni dei fatti che stavo per rivelare erano coperti dal secreto pontificio che avevo promesso di osservare e che ho fedelmente osservato fin dall’inizio del mio servizio alla Santa Sede. Ma la finalità del secreto, anche di quello pontificio, è di proteggere la Chiesa dai suoi nemici, non di coprire e diventare complici di crimini commessi da alcuni suoi membri. Io ero stato testimone, non per mia scelta, di fatti sconvolgenti, e come sta scritto nel Catechismo della Chiesa Cattolica (par. 2491), il sigillo del segreto non è vincolante quando la custodia del segreto dovesse causare danni molto gravi ed evitabili soltanto mediante la divulgazione della verità. Solo il sigillo del segreto sacramentale avrebbe potuto giustificare il mio silenzio.

Né il papa, né alcuno dei cardinali a Roma hanno negato i fatti che io ho affermato nella mia testimonianza. Il detto “Qui tacet consentit” si applica sicuramente in questo caso, perché se volessero negare la mia testimonianza, non hanno che farlo, e fornire i documenti in supporto della loro negazione. Come è possibile non concludere che la ragione per cui non forniscono i documenti è perché essi sanno che i documenti confermerebbero la mia testimonianza?

Il centro della mia testimonianza è che almeno dal 23 giugno 2013 il papa ha saputo da me quanto perverso e diabolico fosse McCarrick nei suoi intenti e nel suo agire, e invece di prendere nei suoi confronti quei provvedimenti che ogni buon pastore avrebbe preso, il papa fece di McCarrick uno dei suoi principali agenti di governo della Chiesa, per gli Stati Uniti, la Curia e perfino per la Cina, come con grande sconcerto e preoccupazione per quella Chiesa martire stiamo vedendo in questi giorni.

Ora, la risposta del papa alla mia testimonianza è stata: “Io non dirò una parola!” Salvo poi, contraddicendo se stesso, paragonare il suo silenzio a quello di Gesù a Nazareth davanti a Pilato e paragonare me al grande accusatore, Satana, che semina scandalo e divisione nella Chiesa, ma senza mai pronunciare il mio nome. Se avesse detto: “Viganò ha mentito” avrebbe contestato la mia credibilità e cercato di accreditare la sua. Così facendo però avrebbe accresciuto la richiesta da parte del popolo di Dio e del mondo dei documenti necessari per determinare chi dei due avesse detto la verità. Egli ha invece posto in essere una sottile calunnia contro di me, calunnia da lui stesso tanto spesso condannata persino con la gravità di un assassinio. Per di più, lo ha fatto ripetutamente, nel contesto della celebrazione del sacramento più sacro, l’Eucaristia, in cui non si corre il rischio di essere contestati come davanti ai giornalisti. Quando ha parlato ai giornalisti, ha chiesto loro di esercitare la loro professione con maturità e di tirare le loro conclusioni. Ma come possono i giornalisti scoprire e conoscere la verità se quelli che sono direttamente implicati si rifiutano di rispondere ad ogni domanda o di rilasciare qualsiasi documento? La non volontà del papa di rispondere alle mie accuse e la sua sordità agli appelli dei fedeli ad essere responsabile non è assolutamente compatibile con la sua richiesta di trasparenza e di essere costruttori di ponti e non di muri.

Ma c’è di più: l’aver coperto McCarrick non sembra essere stato certamente un errore isolato da parte del papa. Molti altri casi sono stati recentemente documentati dalla stampa, mostrando che papa Francesco ha difeso preti omosessuali che hanno commesso gravi abusi sessuali contro minori o adulti. Incluso il suo ruolo nel caso del padre Julio Grassi a Buenos Aires, l’aver reinstallato padre Mauro Inzoli dopo che papa Benedetto lo aveva rimosso dal ministero sacerdotale (fino al momento in cui è stato messo in carcere, e allora a questo punto papa Francesco lo ha ridotto allo stato laicale), e per aver fermato le indagini per accuse di abusi sessuali contro il cardinale Cormac Murphy O’Connor.

Nel frattempo, una delegazione della USCCB (la Conferenza episcopale degli Stati Uniti, ndr), guidata dal suo presidente, il cardinale DiNardo, è andata a Roma per chiedere un’indagine del Vaticano su McCarrick. Il cardinale DiNardo e gli altri prelati devono dire alla Chiesa in America e nel mondo: il papa si è rifiutato di svolgere un’indagine in Vaticano sui crimini di McCarrick e dei responsabili di averli coperti? I fedeli hanno diritto di saperlo.

Vorrei fare un appello speciale al cardinale Marc Ouellet, perché con lui come nunzio ho sempre lavorato in grande sintonia e ho sempre avuto grande stima e affetto nei suoi confronti. Ricorderà quando, ormai terminata la mia missione a Washington, mi ricevette la sera nel suo appartamento a Roma per una lunga conversazione. All’inizio del pontificato di papa Francesco aveva mantenuto la sua dignità, come aveva dimostrato con coraggio quando era arcivescovo di Québec. Poi, invece, quando il suo lavoro come prefetto della Congregazione per i vescovi è stato virtualmente compromesso perché la presentazione per le nomine vescovili da due “amici” omosessuali del suo dicastero passava direttamente al papa, bypassando il cardinale, ha ceduto. Un suo lungo articolo su L’Osservatore Romano, in cui si è schierato a favore degli aspetti più controversi dell’Amoris Laetitia, ha rappresentato la sua resa. Eminenza, prima che io partissi per Washington, lei mi parlò delle sanzioni di papa Benedetto nei confronti di McCarrick. Lei ha a sua completa disposizione i documenti più importanti che incriminano McCarrick e molti in curia che li hanno coperti. Eminenza, le chiedo caldamente di voler rendere testimonianza alla verità!

In fine, desidero incoraggiarvi, cari fedeli, fratelli e sorelle in Cristo: non scoraggiatevi mai! Fate vostro l’atto di fede e di completa fiducia in Cristo Gesù, nostro Salvatore, di San Paolo nella sua seconda Lettera a Timoteo, Scio Cui credidi, che ho scelto come mio motto episcopale. Questo è un tempo di penitenza, di conversione, di grazia, per preparare la Chiesa, sposa dell’Agnello, ad essere pronta e vincere con Maria la battaglia contro il drago infernale.

Scio Cui credidi” (2 Tim. 1, 12)

In Te, Gesù, mio unico Signore, ripongo tutta mia fiducia.

Diligentibus Deum omnia cooperantur in bonum” (Rom. 8, 28).

Come ricordo per la mia ordinazione episcopale, conferitami da san Giovanni Paolo II il 26 aprile 1992, avevo scelto un’immaginetta presa da un mosaico della basilica di San Marco, a Venezia. Essa riproduce il miracolo della tempesta sedata. Mi aveva colpito il fatto che nella barca di Pietro, sballottata dalle acque, la figura di Gesù è riprodotta due volte. A prua Gesù dorme profondamente, mentre Pietro dietro di lui cerca di svegliarlo: “Maestro, non t’importa che moriamo?”. Mentre gli apostoli, atterriti, guardano ciascuno in una direzione diversa e non si avvedono che Gesù è ritto in piedi dietro di loro, benedicente, ben al comando della barca. “Destatosi, sgridò il vento e disse al mare: taci, calmati… Poi disse loro: perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?” (Mc. 4, 38-40).

La scena è quanto mai attuale per ritrarre la tremenda bufera che sta attraversando in questo momento la Chiesa, ma con una differenza sostanziale: il successore di Pietro non solo non vede il Signore a poppa che ha sicuramente il pieno controllo della barca, ma nemmeno intende svegliare il Gesù dormiente a prua.

Cristo è forse diventato invisibile al suo vicario? È tentato forse di improvvisarsi come sostituto del nostro unico Maestro e Signore?

Il Signore è ben saldo al comando della barca!

Cristo, Verità, possa essere sempre luce nel nostro cammino.!

29 settembre 2018

Festa di San Michele, Arcangelo

+ Carlo Maria Viganò

Arcivescovo tit. di Ulpiana

Nunzio Apostolico

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