L’allarme di monsignor Livi: “Storicismo e sociologismo, nemici mortali della teologia cattolica”
Assoggettata al modernismo che strizza l’occhio al protestantesimo (un po’ come cercare il bacio della morte) e ridotta ad ancella delle scienze sociali, la teologia cattolica oggi non se la passa gran che bene. Così è rincuorante potersi accostare a una riflessione teologica veramente cattolica. Possibilità offerta da Teologia, dogma e pastorale. Un teologo parla, l’ultimo libro di monsignor Antonio Livi (Edizioni Chorabooks), una conversazione con Aurelio Porfiri nella quale Livi non teme di andare, ancora una volta, controcorrente rispetto a certe mode e soprattutto recupera quell’alleanza tra ragione e fede che san Giovanni Paolo II mise al centro del suo magistero ma oggi appare ignorata se non rinnegata.
Mentre da ogni parte l’essere cattolico appare ridotto a un vago sentimentalismo che sopprime ogni possibilità e capacità di giudizio, monsignor Livi va dritto per la sua strada e dice: «Io sono convinto che oggi lo strumento culturale più utile all’apostolato cristiano è la rivalutazione della ragione critica. I fedeli devono essere resi consapevoli che la logica naturale – riscoperta grazie a una conoscenza adeguata delle leggi del pensiero – è l’unica difesa possibile della verità rivelata contro le false ragioni del razionalismo ateo da una parte e del fideismo irrazionalistico dall’altra».
Questa è musica per le orecchie di chi non ne può più di moralismi e sociologismi da quattro soldi spacciati come «nuovi paradigmi», e bisogna essere davvero grati a monsignor Livi per il suo coraggio e la sua chiarezza.
Stimolato dalle domande di Porfiri, in ogni capitolo il teologo riafferma la sua preoccupazione «per l’inquinamento della teologia cattolica ad opera di fanatici sostenitori della riforma della Chiesa in senso luterano».
Qui vorrei puntare l’attenzione sul capitolo Teologia e liturgia, nel quale Livi spiega che anche la teologia liturgica è stata inquinata da due ben precise eresie metodologiche: lo storicismo e il sociologismo.
«Lo storicismo – afferma Livi – è un paradigma ermeneutico del dogma che comincia con il relativizzare la verità rivelata facendone una Filia temporis e finisce per sostenere la necessità di sostituire al dogma come Parola di Dio la mutevole “coscienza del popolo di Dio”, formula con la quale si spacciano per “istanze di base” le ideologie della teologia clericale progressista».
Niente più uso della ragione critica, niente più pensiero cattolico strutturato, ma solo sofismi che, con l’obiettivo di piacere al mondo e guadagnare consenso da parte delle gerarchie ecclesiastiche, vanno contro tutto ciò che appare come tradizionale e piegano il dogma alle esigenze «pastorali».
Catechesi, diritto canonico, struttura gerarchica della Chiesa, sacra liturgia: non c’è settore che non sia sconvolto da questo tsunami che avanza implacabile nel nome dell’aggiornamento e del cambiamento, travolge tutto e non si rende conto del paradosso di invocare il rinnovamento rifacendosi ai capisaldi di una riforma, quella luterana, che risale al XVI secolo!
Ecco così una Chiesa che, nei fatti, svaluta i sacramenti, non riconosce la presenza reale di Cristo nell’Eucaristia, non vive la Santa Messa come sacrificio, rifiuta una dottrina morale fedele ai dieci comandamenti e riduce tutto a una «mistica irrazionalistica».
Ovviamente questo tipo di Chiesa, brutta copia tardiva del luteranesimo, piace tanto alla gente che piace, ma ciò non toglie che non sia più cattolica, e merito di monsignor Livi è di dichiararlo senza tanti giri di parole.
Ma si diceva dell’altro «ismo» che inquina tutto: il sociologismo, «che consiste nell’interpretare il dogma ecclesiologico come se la dinamica della Chiesa di Cristo fosse semplicemente un’espressione delle leggi della scienza sociologica».
Qualche esempio? Pensiamo al divorzio, all’aborto, alla convivenza adulterina, alla pratica omosessuale. L’eresia sociologistica mette da parte la Verità e l’eterna legge divina, nega il peccato (riducendolo a una generica «fragilità»), ignora la distinzione tra bene e male in senso oggettivo e si pone come obiettivo l’accoglienza. Poiché la Chiesa non è più Corpo mistico di Cristo, ma comunità sociale, e l’obiettivo non è più la salvezza dell’anima ma, appunto, l’accogliere, ecco che la legge è vista come intollerabile rigidità.
A questo proposito monsignor Livi cita Agostino e ricorda che la vera teologia cristiana fonda la comunione ecclesiale su rapporti interiori di grazia, non su rapporti di mera vicinanza in senso sentimentale ed esteriore.
In questa neo-Chiesa, Chiesa capovolta, nella quale l’uomo ha preso il posto di Dio, la liturgia è snaturata e falsata. E quello che è in pericolo, fatalmente, è il culto eucaristico.
Ricordando a questo punto la lezione del cardinale Giuseppe Siri, con la sua costante esortazione, rivolta a consacrati e laici, a credere, comprendere e vivere l’Eucaristia come autentico centro della vita cristiana, monsignor Livi conclude affermando che se Siri insisteva tanto sulla centralità dell’Eucaristia era perché lui stesso, per primo, la viveva, partecipando con la massima consapevolezza possibile al santo Sacrificio della Messa e recandosi a visitare Gesù Sacramento nel tabernacolo per ringraziarlo e adorarlo.
Non ci sono altre strade. La catechesi, le direttive pastorali, le norme giuridiche e disciplinari: tutto prende senso dal culto eucaristico. Niente di strano, dunque, se proprio contro l’Eucaristia, e contro il sacerdote come uomo di Dio, si concentrano le forze che, magari in nome di presunte riforme, vogliono in realtà omologare la Chiesa al mondo e ridurla ad agenzia sociale.
Ecco perché occorre esser grati ad Antonio Livi. Perché, come scrive Riccardo Cascioli nella nota introduttiva, «è chiaro che gli interessa soltanto ciò che porta a Dio» e «ci aiuta a discernere la vera teologia, che a Dio ci avvicina, dalla falsa teologia, che invece ci porta lontano senza che neanche ce ne accorgiamo».
Aldo Maria Valli