I vescovi luterani norvegesi, l’aborto e la “lungimiranza” di certo cattolicesimo

Anni fa, a Oslo, durante una cena conobbi un pastore luterano norvegese. Incominciammo a chiacchierare e scoprii che era sposato. Non solo. Era sposato, divorziato e risposato. Con una pastora. A sua volta divorziata e risposata, se non ricordo male.

Temo che l’espressione del mio volto tradì una certa sorpresa, perché il pastore disse: “Lo, so, per voi cattolici romani è difficile capire”. Lo disse con quel tono di condiscendenza che a volte i nordici assumono nei confronti di noi meridionali, e la mia impressione fu che stesse pensando: “Ma prima o poi ci arriverete anche voi”.

All’epoca il papa era Giovanni Paolo II e il sottoscritto pensò: “Questi luterani si credono tanto progrediti ma non hanno capito che, semplicemente, hanno ceduto alle logiche del mondo e tradito i comandamenti divini”. Da povero ingenuo quale sono, ringraziai in cuor mio il buon Dio per avermi fatto nascere cattolico e mi sentii al riparo da certe derive. Ma oggi, tanti anni dopo, e dopo tanto ecumenismo à la page, non sarei più così sicuro.

L’episodio mi è tornato alla mente quando ho letto che i vescovi luterani norvegesi hanno  sottoscritto una dichiarazione sull’aborto nella quale dicono che “la Chiesa, come istituzione, nel corso della storia ha mostrato una mancanza di coinvolgimento per la liberazione e i diritti delle donne”.

Mancanza di coinvolgimento per la liberazione e i diritti delle donne?

Vado avanti e leggo: “Una società con accesso legale all’aborto è una società migliore di una società senza tale accesso. Previene l’aborto illegale e promuove la salute e la sicurezza delle donne”.

Sembra la dichiarazione di un partito politico filoabortista. Tanto più che i “pastori”, a scanso di equivoci, si premurano di sottolineare: “Non vogliamo mettere in discussione la legge sull’aborto”.

E potevano mancare le scuse? Certo che no. “Siamo spiacenti. Come Chiesa dobbiamo cambiare il nostro modo di parlare dell’aborto e di prenderci cura delle persone colpite”.

E poteva mancare l’ambiguità? Certo che no. L’obiettivo della Chiesa, scrivono infatti i vescovi, non è tanto mettere in discussione la legislazione (in Norvegia l’aborto è legale fino alla dodicesima settimana di gestazione), e nemmeno mettere in discussione il fatto che il feto sia una vita “che ha valore e chiede protezione”, quanto “promuovere una comunione inclusiva”.

Comunione inclusiva? E che vuol dire?

E poteva mancare l’ambivalenza? Certo che no. E infatti i vescovi, pur lasciando intendere che il feto, tutto sommato, è una persona, alla fin fine difendono la legge che fa dell’aborto un diritto, alla faccia del diritto di quella persona che non ha voce per rivendicare il suo diritto alla vita.

E poteva mancare l’appello al dialogo? Certo che no. Infatti i vescovi luterani dicono, e di nuovo si scusano, che essersi opposti alla liberalizzazione dell’aborto ha peggiorato il dialogo con la società e con le donne.

Mea culpa, ambiguità, ambivalenza, trasformazione del dialogo in nuovo dogma: dove ho già sentito questo repertorio?

E il bello (naturalmente si fa per dire) è che queste prese di posizione dei vescovi luterani arrivano proprio mentre la politica ripensa certe questioni sotto una nuova luce, come dimostra il fatto, per restare alla Norvegia, che il premier Erna Solberg, del partito conservatore, ha parlato di possibile modifica in senso restrittivo della legge sull’aborto per quanto riguarda gli aborti selettivi, e la suprema corte ha riconosciuto il diritto dei medici di non procedere con trattamenti sanitari quando questi siano avvertiti come contrari alla loro coscienza.

Quindi mentre politica e società, perfino in un paese ultra-secolarizzato come la Norvegia, per la prima volta vanno in una direzione meno relativista, ecco che un bell’assist alla mentalità relativista arriva dalla Chiesa luterana. Che certi cattolici corteggiano  perché Lutero “ha fatto una medicina per la Chiesa” e noi saremmo indietro di qualche secolo.

Complimenti vivissimi per la lungimiranza.

Aldo Maria Valli

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