Uomini giusti ai posti giusti / 21

Cari amici, affezionati lettori della rubrica, come non essere felici per la notizia che a Torino si è tenuto (e finalmente!) il ritiro spirituale sulla “fedeltà di Dio come fondamento della fedeltà nei rapporti umani”, aperto a una quarantina di single, gay e lesbiche?  Come forse saprete, l’iniziativa, partita dal delegato ufficiale dell’arcivescovo per la “pastorale degli omosessuali”, l’anno scorso fu incredibilmente bloccata a causa delle critiche mosse dai soliti tradizionalisti ultraconservatori ipocriti e duri di cuore, ma adesso ha potuto andare in porto!

Spiega dunque un gesuita il quale, da uomo giusto al posto giusto, è stato tra i partecipanti, che si è trattato di “un ritiro quaresimale sull’amore, per convertirci all’amore, oggi quanto mai necessario non solo per le persone omosessuali, ma anche per gli etero”.

Bene! Evviva l’amore! E che bello il retroscena raccontato da un attivista gay presente: “È stata una bella sorpresa: oltre ad ospitarci, le suore hanno partecipato agli incontri con noi”. Meraviglioso! Un evviva anche per le suore giuste al posto giusto!

Il ritiro, apprendiamo inoltre, “non aveva intenti moralistici” (ça va sans dire!) ma “intendeva spiegare che Dio è fedele, continua a fidarsi dell’uomo, e dunque anche i rapporti umani, dall’amicizia all’amore, meritano fedeltà e rispetto”. Ecco perché “in tanti nella Chiesa sentono l’esigenza di aggiornare la dottrina”.

Come dite? Che il Catechismo della Chiesa cattolica però afferma che gli atti omosessuali sono intrinsecamente disordinati e quindi non si vede come un vescovo possa permettere che si insegni il modo di essere fedeli a un disordine? Ebbene, lasciate che  ve lo dica: se muovete questa obiezione dimostrate di essere proprio inguaribili ipocriti ultra-tradizionalisti duri di cuore! Non sapete che l’importante è l’amore e che la Chiesa deve avviare processi? Tocca proprio spiegarvi tutto!

Andiamo avanti e restiamo in zona. Siamo a San Cassiano di Grugliasco, dove (qui la foto), al momento di scambiarsi il segno della pace, durante la Santa Messa, è stata fatta passare una corda.

Un corda? Sì, una corda. Una bella corda robusta, di quelle che usano gli alpinisti per arrampicare.

Come dite? Che c’entra una corda con il gesto della pace? Ma insomma, è chiaro: tenersi tutti legati, mediante la corda, è segno di unione!

Come dite? Che poi magari la corda si attorciglia alla caviglie di qualcuno o, peggio ancora, può provocare strangolamenti?

Suvvia, non siate profeti di sventura! La corda (nonostante certe rimembranze forcaiole) è un simbolo bellissimo, e giustamente tanti uomini giusti (e donne giuste) ai posti giusti hanno pensato bene di mettersi in cordata. Che bella immagine! D’altra parte, durante la Messa, non si dice forse sursum corda?

Come dite? Che quel sursum corda lì è latino e non ha niente a che fare con la corda? E vabbè: non solo  siete proprio ipocriti ultra-tradizionalisti duri di cuore, ma avete pure la fissa del latino!

E ora, per favore, non venite a dirmi che di fronte a certe Messe vi vien voglia di tagliare la corda!

Ma concludiamo in bellezza e armonia. Ovvero con il simpatico, istrionico vescovo canterino che anche nella solenne Messa di Pasqua ha deliziato i fedeli, nel finale, con un piccolo assaggio delle sue qualità musicali. Vero uomo giusto al posto giusto, ha così trasformato l’omelia: da stanco discorsetto ad autentico  show. Bene così! E poteva forse mancare l’applauso da parte del pubblico? Certo che no.  Se show deve essere, che lo sia fino in fondo!

Aldo Maria Valli

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