Il brusco risveglio della Svezia multiculturale

Cari amici di Duc in altum, dopo la pubblicazione del mio articolo C’era una volta la Svezia felix. Ovvero tutte le pecche del modello multiculturale, mi ha scritto Fabio Longo, medico italiano che da più di trent’anni lavora in Svezia. Una testimonianza preziosa, che in parte conferma e in parte corregge quanto riferivo nell’articolo. Significativo, mi sembra, è soprattutto quanto il dottor Longo scrive a proposito di quelle comunità che, a dispetto degli aiuti e delle agevolazioni che ricevono, proprio non vogliono integrarsi e costituiscono la principale causa dei problemi oer l’ordine pubblico.

A.M.V.

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Caro Aldo, ti scrivo a proposito della tua recente nota del 5 giugno C’era una volta la Svezia felix, che condivido largamente.

Come sai, frequento assiduamente quel Paese da trentaquattro anni, anche per lavoro, e desidero condividere con te e i tuoi lettori alcune mie impressioni.

Il primo punto è: ma è davvero mai esistita quella “Svezia felix” che tu hai descritto molto bene?

Io posso dire che probabilmente è un mito che abbiamo creato noialtri non svedesi a partire dagli anni Sessanta-Settanta, quando da lì ci arrivavano immagini confuse e superficiali, magari di seconda mano, ingigantite e comunque filtrate dalla nostra sensibilità latina (forse un po’ repressa all’epoca, vedi il famoso film Il diavolo, con Alberto Sordi, del 1963): un mondo che a noi appariva clamorosamente libertario, avanzato, anticonformista e via dicendo.

Da lì alla nascita del mito il passo è stato breve: si fantasticava su questo paradiso di conquiste sociali, pace, libertà individuali, per non parlare della presunta facilità di approccio all’altro sesso.

Poi periodicamente questo mito viene ridimensionato quando vediamo che non corrisponde alle nostre aspettative, o forse al nostro malcelato desiderio che da qualche parte ci sia il Paradiso, come implorava Borges ne La biblioteca di Babele: “Se l’onore, la sapienza, la felicità non sono per me che siano per altri! Che il cielo esista, anche se il mio posto è all’inferno!”.

Il punto però è che nessuno svedese vede il proprio Paese come un tale paradiso, nessuno di loro ha davvero l’idea di essere venuto “a miracol mostrare”, a beneficio delle altre genti del mondo.

Al contrario, gli svedesi sono sempre molto critici quando il sistema, che loro vivono e vedono dall’interno, non funziona: ne sono prova le proteste, i dibattiti, anche le trasmissioni televisive che non perdonano (tipo Sverige sviker, vale a dire La Svezia tradisce).

Dunque non sorprende come dietro il mito, già da sempre sopravvalutato all’estero, ci siano i problemi, a partire da quello dell’immigrazione e dell’ordine pubblico.

Un Paese fondamentalmente gentile, rispettoso, tradizionalista (proprio così, credimi!), non abituato al sovraffollamento e all’esasperata, pericolosa convivenza di popoli molto diversi, ha commesso il grande errore: pensare di gestire con l’abituale calma e senso pratico un enorme numero di immigrati dai Paesi più disparati e disperati.

Il concetto in cui si confidava era: diamo a ognuno una casa, un lavoro dignitoso, massima disponibilità da parte della pubblica amministrazione, scuole garantite, sanità, addirittura corsi di svedese obbligatori e gratuiti per favorire l’inserimento, persino l’interprete per le visite mediche e corsi settimanali di lingua originaria per non far perdere ai bambini le proprie radici; così faremo nascere automaticamente una coscienza civile e magari anche riconoscenza verso chi ospita.

Ebbene, ovviamente non tutto è andato per il verso giusto!

Premetto che in Svezia non esistono ghetti o periferie infernali e senza speranza, soprattutto a Stoccolma: ci sono sì quartieri nuovi abitati solo da stranieri, in massima parte provenienti dal mondo arabo (per esempio Skärholmen o Jakobsberg), ma tutti vivono in condomini più che dignitosi, circondati dal verde, collegatissimi dai mezzi pubblici, con disponibilità di ogni servizio immaginabile nonché negozi e centri commerciali pulitissimi e moderni.

Insomma niente accampamenti abusivi, case occupate e zone verdi devastate, come capita di vedere in alcune nostre brogate e periferie. Si tratta certamente di enclave, inevitabili, tuttavia vivibilissime rispetto ai nostri standard.

Qui finisce però il lato positivo.

Il fatto è che gli svedesi, di fronte a flussi migratori enormi e sproporzionati in rapporto alla popolazione residente (a Malmö si sfiora il 40% di immigrati) non hanno ritenuto opportuno o non sono stati capaci di bloccare sul nascere una serie di problemi.

Ingenuità, troppa fiducia nel buon cuore degli uomini, pigrizia? Fatto sta che è arrivato il brusco risveglio, il meccanismo si è inceppato e non si sa bene come risolvere i guai.

Da un lato per tutti gli svedesi è dolorosamente incomprensibile che, per esempio, una ragazza non possa andare in giro sorridente e vestita come le pare (come è stato per tanti decenni precedenti) senza essere molestata o peggio violentata, il che aumenta molto e forse esagera la percezione di insicurezza sociale.

Dall’altro però tutto ciò dimostra inequivocabilmente come l’integrazione, che va intesa soprattutto come il rispetto delle leggi e dei costumi di chi ti accoglie e ti ospita, debba essere perseguita con molta più severità: se vuoi vivere in un Paese che ti dà così tanto, e dove puoi stare certamente molto meglio che in quello d’origine, tu e la tua famiglia dovete mostrare gratitudine. Tutto ciò che ricevete dovete meritarvelo.

Purtroppo bisogna rimarcare come gli episodi di piccola e grande delinquenza siano causati quasi sempre da un certo tipo di immigrati provenienti da paesi arabi: la realtà ha dimostrato che, anche quando le persone sono messe nelle migliori condizioni di partenza, non ci si può aspettare la disponibilità a una convivenza serena da parte di chi dimostra di odiare a priori la nostra cultura occidentale, di disprezzare le nostre tradizioni e di voler imporre le proprie usanze a ogni costo. Si tratta, in una parola, di quelli che in Germania chiamano Nestbeschmutzer (coloro che sporcano il nido, gli ingrati).

Si dice spesso: ma anche gli italiani erano emigranti!

Sì, maltrattati e malpagati, però potevano sbarcare solo se avevano un lavoro e se rispettavano le leggi: tutta qui la differenza.

La prova? Sta nel fatto che contro il modello svedese perseguito finora si sono schierate non solo  formazioni di estrema destra come Sverige Demokraterna, ma ormai anche formazioni liberali e centriste come Moderaterna, le quali hanno recentemente spinto con decisione verso un immediato giro di vite, lasciando perdere ipocrisie, pensieri deboli e fissazioni politically correct.

Spero che anche il papa capisca che se un certo tipo di integrazione non funziona in Svezia non può funzionare da nessuna parte.

Fabio Longo

 

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