Islamizzazione strisciante nelle scuole Usa

Il 15 ottobre la Corte Suprema degli Stati Uniti ha rigettato una petizione presentata dal Thomas More Law Center (TMLC) circa il caso di Caleigh Wood, studentessa della La Plata High School, nel Maryland. Anni fa Caleigh, oggi ventenne, si rifiutò di prendere parte a un’esercitazione scolastica perché sentì che l’avrebbe costretta a negare la sua fede cristiana a favore di quella musulmana. Si trattava di una lezione di storia su Il mondo musulmano e secondo la ragazza e la sua famiglia, con il sostegno legale dell’avvocato Richard Thompson del TMLC, il contenuto dell’esercitazione valorizzava chiaramente l’Islam, denigrava il cristianesimo e costituiva un modo per forzare il pensiero della studentessa oltre che una disparità di trattamento da parte del sistema scolastico circa la religione musulmana e le altre fedi.

L’esercitazione al centro della controversia durò cinque giorni, nell’anno scolastico 2014-2015, quando la ragazza aveva quindici anni. L’unità didattica conteneva argomenti che toccavano la cultura, la geografia e la politica dei paesi islamici. Tra i materiali proposti agli studenti c’era una diapositiva che contrapponeva un “Islam pacifico” a un “Islam fondamentalista radicale” e includeva l’affermazione secondo cui “nella maggior parte dei casi la fede di un musulmano è più forte di quella di un cristiano medio”.

In una sezione nella quale gli alunni dovevano riempire gli spazi vuoti e completare alcune frasi si poteva leggere la shahada, ovvero la professione di fede nell’Islam, il cui testo recita: “Non c’è altro dio all’infuori di Allah e Maometto è il suo profeta”.

Su suggerimento della famiglia, Caleigh si rifiutò di portare a termine l’esercitazione, così come qualunque altro lavoro che la spingesse a violare la fede cristiana, e gli insegnanti le diedero un’insufficienza.

Il voto non influì sulla valutazione finale, perché Caleigh fu promossa, ma il problema, secondo i genitori della ragazza, andava ben oltre: toccava infatti la sfera delle convinzioni religiose. La famiglia Wood decise così di rivolgersi a un tribunale, sostenendo che l’esercitazione, a causa dei suoi contenuti, aveva violato il primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, che proibisce ai governi federali e statali di istituire una religione ufficiale o di favorire o sfavorire un punto di vista religioso rispetto a un altro.

Una corte d’appello federale rigettò il ricorso, affermando che la scuola non aveva violato i diritti della giovane in campo religioso in quanto l’esercitazione non la obbligava a professare un determinato credo. “Le autorità scolastiche, e non i tribunali, hanno la responsabilità di decidere quale tipo di discorso sia appropriato in classe”, scrisse il giudice nella sentenza, aggiungendo che “la libertà d’insegnamento non potrebbe sopravvivere a lungo se i tribunali si mettessero a gestire i programmi scolastici e ad  analizzare le singole dichiarazioni fatte dagli insegnanti”.

“Una sentenza importante – commentò con soddisfazione l’avvocato Andrew Scott, rappresentante legale dei funzionari scolastici della contea – perché ribadisce la loro discrezionalità nell’insegnamento di argomenti religiosi. La religione è parte integrante della storia. Non si può ignorare. La chiave è insegnarla da una prospettiva laica e non fare proselitismo”.

La famiglia Wood però non è si arresa e così, di ricorso in ricorso, si è arrivati fino alla Corte Suprema, che alcuni giorni fa ha respinto l’istanza.

Il caso negli Stati Uniti ha suscitato un certo scalpore, perché è solo l’ultimo capitolo di un dibattito in corso su come trattare i temi religiosi nelle scuole pubbliche.

Nella sua sentenza la Corte suprema ha preso in considerazione nel loro insieme i programmi di storia della scuola piuttosto che concentrarsi su ogni affermazione potenzialmente problematica. Se ogni singola affermazione degli insegnanti potesse essere messa in discussione dagli studenti o dai loro genitori, hanno scritto i giudici, l’istruzione nelle nostre scuole pubbliche sarebbe “ridotta al minimo comune denominatore”.

L’esercitazione in cui era compresa la professione di fede dell’Islam, ha rilevato la Corte, era intesa a valutare se gli studenti conoscessero le “credenze e le pratiche” dei musulmani, ma i giovani non erano tenuti a memorizzare lo shahada e a recitarla. Dunque, hanno concluso i giudici, questo tipo di esercitazione non è in contrasto con la libertà di religione.

Circa la diapositiva che parlava della maggiore “forza” della fede dei musulmani rispetto a quella di un cristiano medio, la Corte, pur sottolineando che l’immagine e la didascalia non favorivano una credenza rispetto alle altre e che erano “rilevanti” nel quadro dell’esercitazione, le hanno giudicate “inappropriate” e ha consigliato alla scuola di non includerle più nelle proprie unità didattiche.

La scuola ha fatto sapere che la diapositiva ora non è più utilizzata, ma ha ribadito: “Noi non insegniamo religione. Ciò che stiamo insegnando è la storia del mondo. Non c’è alcun tipo di indottriunamento”.

Ma il caso non è chiuso. Ciò a cui si è di fronte in molte scuole americane “non è solo una violazione del primo emendamento, ma una continua, seppur sottile, diffusione dell’Islam” sostiene Crisismagazine.  E l’avvocato Richard Thompson ha affermato di “non essere a conoscenza di alcuna scuola pubblica che abbia costretto uno studente musulmano a scrivere i testi di preghiere cristiane come per esempio Giovanni 3:16 (‘Poiché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna’)”.

Scrive Crisismagazine riportando le valutazioni di Thompson: “Con il pretesto di insegnare storia o studi sociali, le scuole pubbliche in tutta l’America stanno promuovendo la religione islamica in modi che non sarebbero mai tollerati per il cristianesimo o qualsiasi altra religione. È deludente che la Corte suprema non abbia colto questa opportunità per chiarire il metro di valutazione che i tribunali inferiori dovrebbero usare quando si pronunciano in materia insegnamento della religione nelle scuole pubbliche”.

Il mese scorso gli ambienti accademici di sinistra si sono sollevati contro la minaccia dell’amministrazione Trump di tagliare i fondi federali per un programma che secondo molti osservatori promuove l’Islam, potrebbe violare la Costituzione, incoraggiare l’antisemitismo e far avanzare le priorità ideologiche che hanno lo scopo di indottrinare piuttosto che educare.

Il programma in questione, spiega Crisismagazine, è gestito dall’Università della North Carolina e dalla Duke University. L’anno scorso il consorzio dei due atenei per gli studi sul Medio Oriente ha ricevuto dal governo 235 mila dollari per un programma che sulla carta dovrebbe favorire l’insegnamento delle lingue straniere al fine di preparare gli studenti alle carriere nella diplomazia e nella sicurezza nazionale. Un’indagine ha però rivelato che il programma ha promosso indebitamente “gli aspetti positivi dell’Islam” ma non quelli del cristianesimo o dell’ebraismo. Inoltre, una conferenza organizzata dal programma, intitolata “Conflict Over Gaza: People, Politics and Possibilities”, ha visto la partecipazione di un rapper che ha eseguito una canzone “sfacciatamente antisemita”.

Nel 1963 una sentenza della Corte Suprema (School District of Abington Township contro Schempp) stabilì che è incostituzionale che le scuole pubbliche impongano attività religiose. L’attività in questione era la lettura della Bibbia. Eppure, sostiene il conduttore radiofonico Tom Wallace, evangelico, sembra che, a parte il cristianesimo, qualsiasi altra religione sia accettabile: “Nelle nostre scuole pubbliche vengono insegnati l’ateismo, il buddismo e l’Islam. Per la maggior parte lo fanno con il pretesto di insegnare genericamente religione nel mondo, ma quando parlano del cristianesimo insegnano che le crociate furono un grande peccato e non dicono mai che furono condotte, per la maggior parte, da cristiani che riprendevano la terra conquistata dalla spada dell’Islam”.

A.M.V.

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