Cari amici di Duc in altum, sulla questione dell’affidamento e della consacrazione al Cuore Immacolato della Madre di Dio ricevo e volentieri vi propongo un contributo di padre Giulio Meiattini.
A.M.V.
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Caro Valli, leggo nel suo blog l’articolo Consacrazione o affidamento? Padre De Fiores spiegava… del bravo padre Stefano De Fiores. Certo si tratta di questioni su cui la teologia deve ragionare con ponderazione, maturando un linguaggio il più possibile equilibrato e fondato nella Scrittura e nella Tradizione. Vorrei tuttavia richiamare l’attenzione su un fatto che il testo di De Fiores non menziona e che invece, per completezza, andrebbe ricordato.
Pur titolandolo Atto di affidamento al Cuore Immacolato della Madre di Dio, Giovanni Paolo II nella lettera accompagnatoria definiva così il testo e il gesto solenne che chiese a tutta la Chiesa di compiere il 25 marzo 1984: “Le parole dell’atto di consacrazione e di affidamento, che allego…”. Il papa usa la congiunzione “e”, non “o”, come se si trattasse di un’equivalenza o di un’esplicazione del primo termine alla luce del secondo (come se intendesse: consacrazione “ovvero” affidamento).
Lo stesso avviene all’interno del testo dell’Atto di affidamento, dove si dice a più riprese: “Questo nostro mondo che ti affidiamo e consacriamo” e ancora: “In modo speciale ti affidiamo e consacriamo quegli uomini e quelle nazioni che di questo affidamento e di questa consacrazione hanno particolarmente bisogno”.
Nel medesimo testo, anche parlando di Pio XII, il papa afferma che il suo predecessore, quarant’anni prima, “ha affidato e consacrato al tuo Cuore Immacolato tutto il mondo”.
Come si vede, in quella circostanza del 25 marzo 1984, che avrebbe avuto una serie di conseguenze immense per la storia europea e mondiale (come sa chi guarda gli eventi nella luce della fede e dei segni mandati da Dio), Giovanni Paolo II accostò i due termini in modo sistematico e intenzionale, come complementari, non equivalenti e non alternativi. In altri termini, anche se era in corso una discussione fra teologi, non solo non volle rinunciare all’espressione più forte, “consacrazione”, ma vi insistette, anche se la volle accostare sempre a quella di affidamento. Proprio perché i due termini non dicono esattamente la stessa cosa, la parola più impegnativa, e teologicamente più delicata, “consacrazione”, non fu mai omessa. Questo dovrebbe far pensare!
Inoltre, i termini “affidare/affidamento”, almeno nella nostra lingua, non implicano la consegna definitiva e irreversibile di una cosa o una persona a qualcuno. L’affidamento può essere anche temporaneo o revocabile, non comporta la consegna totale o una stabile condizione o relazione di appartenenza, come invece indica il termine consacrazione. Forse consacrazione può sembrare a qualcuno un termine eccessivo, ma, per i motivi indicati, il solo affidamento appare troppo poco.
L’ipotesi che la teologia recente abbia compreso meglio il termine “consacrazione”, e per questo motivo ne ridimensioni l’uso in campo mariologico, come suggerisce lo scritto di De Fiores, o addirittura legittimamente lo scoraggi, è una lettura possibile. Ma ce n’è un’altra, da non escludere: che la teologia possa comprendere ancora meglio il posto e il ruolo di Maria nel piano di salvezza, tanto da ritenere come del tutto plausibile la consacrazione a lei riferita, sia pur in forma analogica (ma non metaforica) a quella nei confronti di Dio.
Segnalo, infine, che anche le parole della Vergine a santa Bernadette Soubirous apparirono fin dall’inizio sorprendenti e problematiche per la teologia. Affermare “Io sono l’Immacolata Concezione” invece che “l’Immacolata concepita”, come si sa, suonò strano e suscitò comprensibilmente delle difficoltà. Contrariamente a quanto asserisce De Fiores, io sono propenso a credere che la Vergine, anche a Fatima, non sia stata teologicamente imprecisa, per una presunta ma non dimostrabile accondiscendenza al milieu della devozione allora diffusa, quando parlò di “consacrazione” al suo Cuore Immacolato.
La ringrazio dell’attenzione.
dom Giulio Meiattini, OSB