Per non dimenticare il Libano. E Jocelyne Khoueiry

In questi giorni rivolgiamo un pensiero costante, sgomento, commosso per quanto accaduto lunedì 4 agosto a Beirut, capitale di un Paese già in crisi gravissima (politica, sociale, economica, finanziaria) ormai da tempo. Un Paese che, oltre a un livello insostenibile di corruzione delle classi dirigenti, registra la presenza di circa due milioni di rifugiati su una popolazione complessiva di quattro milioni e più: da decenni ci sono rifugiati palestinesi (i primi dal 1948), da alcuni anni quelli siriani (circa un milione e mezzo). Pesantissima (e in continuo peggioramento) la situazione sociale, economica, finanziaria di un Paese (oltre il 60% della popolazione ormai sotto il livello di povertà) peraltro al centro di una contesa strategica tra assi politici internazionali contrapposti, che mette in serissimo pericolo l’applicazione delle “costanti nazionali”, fondate tra l’altro su una ripartizione ragionata del potere politico tra cristiani (soprattutto maroniti), musulmani sunniti (Hariri) e musulmani sciiti (Hezbollah).

Non per nulla il 15 luglio il patriarca maronita Béchara Raï aveva lanciato un appello perché al Libano fosse riconosciuto dall’Onu uno status di neutralità, al di fuori di ogni asse. Su tutto questo si è abbattuta l’esplosione di 2750 tonnellate di nitrato d’ammonio (e forse d’altro) stipate criminosamente in un magazzino del porto della capitale.

Ferita gravemente, ha detto Raï, “la sposa d’Oriente, il faro d’Occidente”. Al momento in cui scriviamo i morti sono 160, decine ancora i dispersi, oltre cinquemila i feriti, più di trecentomila gli sfollati. Distruzioni gravi nel raggio di almeno dieci chilometri dall’esplosione (come in alcuni quartieri cristiani storici, compreso quello armeno). Bruciate anche le riserve di grano: il vicario patriarcale monsignor Hanna Alwan ha subito paventato non solo la denutrizione (peraltro già purtroppo diffusa), ma una vera e propria crisi alimentare, una carestia. Il patriarca Raï ha chiesto che gli aiuti (dovrà essere approntata una sorta di piano Marshall) siano gestiti da “un fondo controllato delle Nazioni Unite”.

Intanto il Papa ha parlato della situazione libanese in più occasioni, ricordando il Paese dei cedri anche nella preghiera del 5 agosto a Santa Maria Maggiore. Papa Francesco ha donato 250 mila euro come contributo per gli aiuti più urgenti. Anche la presidenza della Cei ha stanziato un milione di euro a tale fine.

“Il Libano è più di un Paese, è un messaggio di pluralismo per l’Oriente e l’Occidente”, aveva evidenziato negli Anni Ottanta Giovanni Paolo II, sempre molto partecipe e molto vicino a quella che era conosciuta come “la Svizzera del Medio Oriente”, travolta da una sanguinosissima guerra civile a partire dal 1976.

Oggi l’avvenire è molto incerto e il rischio di perdere de facto l’indipendenza nazionale (da sempre fragile) è purtroppo assai concreto. Però per oggi diamo fiato ancora alla speranza.

Per restare al Libano, il 15 luglio è morta a sessantacinque anni Jocelyne Khoueiry, una persona veramente eccezionale. L’abbiamo incontrata nel 2014, a margine di un convegno promosso a Roma da Voci di fede per la festa della donna. Nel 1976, poco più che ventenne, si arruolò nella Falange maronita fondata da Pierre Gemayel (Kataeb) per difendere l’identità nazionale contro gli attacchi palestinesi. Fu combattente valorosissima (ad esempio con alcune sue coetanee riuscì nel 1977 a respingere un assalto palestinese a piazza dei Martiri) e fu perciò incaricata di costituire i reparti femminili della Falange.

Nell’intervista che le facemmo nel 2014 osservava tra l’altro: “Volevamo far capire che anche noi donne eravamo in grado di lottare per l’identità nazionale, di morire per l’amato Libano. Sono stati anni pieni di fierezza, di entusiasmo, con molta gloria a livello umano… eravamo un gruppo, alla fine, nel 1985, addirittura un migliaio. Ma sentivamo che ci mancava qualcosa per essere pienamente soddisfatte di noi stesse, il vero incontro con Dio”.

Jocelyne a metà degli Anni Ottanta decide di approfondire la propria fede e di trasfondere la sua passione in opere di aiuto ai bisognosi. Come ha ricordato il patriarca Béchara Raï nell’orazione funebre (chiesa di Saint-Siméon a Ghosta), Jocelyne Khoueiry  (morta spiritualmente carmelitana) ha in particolare fondato il gruppo La libanese, donna del 31 maggio (il 31 maggio ricorreva la giornata della militante del Kataeb/ Forze libanesi, dedicata alla Vergine Maria) e il centro Giovanni Paolo II per il dialogo e la cultura:  costante l’attenzione che questa grande libanese ha portato alle famiglie dei combattenti uccisi, agli orfani, ai portatori di handicap, alla difesa della vita (contro la diffusione della “cultura” dell’aborto) e della famiglia (contro l’imposizione dell’ideologia gender).

Jocelyne Khoueiry è stata membro del Pontificio consiglio per i laici e ha partecipato ai sinodi sul Libano e sulla famiglia, su volontà sia di Giovanni Paolo II sia di Benedetto.  Ai funerali ha parlato anche Amine Gemayel (ex-presidente del Kataeb ) che ha evidenziato come Jocelyne sia stata fedele al motto “Dio, patria e famiglia”, assegnandole il distintivo d’onore del movimento.

Giuseppe Rusconi

Fonte: Rossoporpora

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