Storia di Jonathan. Che non si inginocchia davanti agli uomini
Cari amici di Duc in altum, vi propongo il mio più recente intervento per la rubrica La trave e la pagliuzza in Radio Roma Libera.
***
Per gli appassionati di basket della mia generazione dire Isaac significa dire Joe Isaac, mitico giocatore americano della Pallacanestro Milano, sponsorizzata All’Onestà, negli anni Sessanta del secolo scorso. Ma ora di Isaac importante ce n’è un altro. Parlo di Jonathan Isaac, ala degli Orlando Magic, che è balzato agli onori delle cronache perché prima della gara contro i Brooklyn Nets non si è inginocchiato come hanno fatto tutti i suoi compagni nel gesto antirazzista del movimento Black Lives Matter.
“Non credo che il gesto sia fondamentale per supportare la causa. Credo fortemente nell’uguaglianza di tutte le vite, come racconta il Vangelo”, ha spiegato Jonathan, che non ha avuto esitazioni nell’uscire dal coro per andare controcorrente.
La morte di George Floyd per soffocamento a causa dell’abuso da parte di un poliziotto di Minneapolis ha segnato profondamente anche il mondo dello sport e in particolare il basket, dove la presenza di atleti di colore è forte. Di qui l’adozione di numerose iniziative a favore della causa antirazzista, come minuti di silenzio, magliette dedicate, pugni alzati e giocatori in ginocchio. Jonathan Isaac però in proposito ha le idee chiare: niente maglietta con la scritta “Black Lives Matter” e niente genuflessione. Così, durante l’inno nazionale pre-partita lui se n’è rimasto in piedi, solo e unico in mezzo a tutti gli altri giocatori
“Ci ho pensato molto – ha spiegato Jonathan a fine gara – e poi ho deciso di non farlo: credo che inginocchiarsi e indossare una maglietta non serva a supportare la causa al di là del semplice momento in cui lo si fa”.
Nato nel Bronx nel 1997 e profondamente religioso, Isaac ha detto: “Per me le vite dei neri sono sostenute dal Vangelo. Tutte le vite sono sostenute dal Vangelo e credo fortemente che tutte contino, anche quelle delle persone di colore. Non mi sono comportato così per farmi notare, in cerca di popolarità: sono solamente un umile servitore di Gesù Cristo. Pur aderendo completamente ai principi per i quali si battono i neri d’America e i miei colleghi, non credo che indossare una maglia e inginocchiarsi dia un sostegno concreto a questo tipo di battaglie. Ascoltare, predicare e mettere in pratica il Vangelo per me è molto più efficace”.
La partita fra gli Orlando Magic e i Brooklyn Nets non sarà quindi ricordata per il risultato (128 a 118 a favore dei primi) quanto per la scelta di Jonathan, il quale ha precisato che durante l’inno ha pregato.
I compagni di squadra conoscevano già la sua opinione e non sono rimasti sorpresi dalla scelta di restare in piedi. Steve Clifford, l’allenatore, ha detto: “Ognuno può protestare e manifestare il proprio pensiero come vuole, gli Stati Uniti sono il Paese delle libertà”.
In seguito alla morte di George Floyd l’NBA, l’associazione del basket professionistico statunitense, ha concesso ai giocatori di far scrivere una parola-messaggio al posto del proprio nome sulla maglia. Molte star, come LeBron James, Anthony Davis e Kahwi Leonard non hanno aderito. Gli italiani Marco Belinelli e Nicolò Melli hanno optato per la parola “Uguaglianza”, scelta anche da altri settantatré giocatori. Danilo Gallinari ha invece preferito la parola “Giustizia”.
Purtroppo, per Jonathan Isaac la stagione è finita nella gara successiva. Durante un’azione contro i Kings il giovane talento dei Magic ha infatti subito la rottura del legamento del ginocchio sinistro, lo stesso che si era già infortunato nel giorno di Capodanno a Washington, costringendo l’atleta a saltare ben trentuno partite. Ora Jonathan dovrà affrontare una riabilitazione ancora più lunga.
Ma Jonathan non è uno che si abbatte facilmente. Il presidente dei Magic, Jeff Weltman, che è andato a trovare Isaac con l’intenzione di tirarlo su di morale, ha riferito che durante l’incontro le parti si sono invertite ed è stato Jonathan a consolare lui.
All’indomani dell’infortunio, Isaac ha twittato per ringraziare tutti per le preghiere e i messaggi ed ha ricordato: “Our God is not just a God of the hills but a God of the valleys!”. E poi ha citato la seconda lettera ai Corinzi: “Perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi”. E ha aggiunto: “Il mio ritorno sarà più grande del mio contrattempo. I still stand in Jesus name!”.
Jonathan Isaac è ministro del culto della Jump Ministries Global Church di Orlando, fondata dal “vescovo” Durone Hepburn, una chiesa evangelica che si definisce “non confessionale” ed è molto attiva nel campo dei mass media e dello spettacolo.
Aldo Maria Valli
***
Sei un lettore di Duc in altum? Ti piace questo blog? Pensi che sia utile? Se vuoi sostenerlo, puoi fare una donazione utilizzando questo IBAN:
IT65V0200805261000400192457
BIC/SWIFT UNCRITM1B80
Beneficiario: Aldo Maria Valli
Causale: donazione volontaria per blog Duc in altum
Grazie!