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Monsignor Viganò: “Cristo re è stato detronizzato non solo dalla società ma anche dalla Chiesa”

L’arcivescovo Carlo Maria Viganò, in una meditazione per l’incontro annuale dello staff di LifeSiteNews, ha sottolineato quanto sia importante la regalità di Cristo e come sia stata minata non solo nella società, sotto l’influenza di forze massoniche, ma anche nella Chiesa, in seguito al Concilio Vaticano II.

Qui di seguito la versione italiana della meditazione.

***

Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. Pietro prese allora la parola e disse a Gesù: “Signore, è bello per noi restare qui; se vuoi, farò qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia”. Egli stava ancora parlando quando una nuvola luminosa li avvolse con la sua ombra. Ed ecco una voce che diceva: “Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo”. All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò e, toccatili, disse: “Alzatevi e non temete”. Sollevando gli occhi non videro più nessuno, se non Gesù solo. E mentre discendevano dal monte, Gesù ordinò loro: “Non parlate a nessuno di questa visione, finché il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti” (Mt 17, 1-9).

Permettetemi, cari amici, di condividere con voi alcune riflessioni sulla regalità di Nostro Signore Gesù Cristo, manifestata nella Trasfigurazione che oggi celebriamo, dopo altri episodi significativi della vita terrena del Signore: dagli angeli sulla grotta di Betlemme all’adorazione dei magi al battesimo nel Giordano.

Ho scelto questo tema perché credo che in esso possa riassumersi, in qualche modo, il punto focale del nostro e vostro impegno di Cattolici; non solo nella vita privata e familiare, ma anche e soprattutto nella vita sociale e politica.

Ravviviamo, anzitutto, la nostra fede nella Regalità universale del nostro divino Salvatore.

Egli è veramente re universale, cioè possiede una sovranità assoluta su tutto il creato, sul genere umano, su tutti gli uomini, anche quelli che si trovano fuori dal suo ovile, la santa Chiesa cattolica, apostolica, romana.

Ogni persona è infatti realmente creatura di Dio. A lui deve tutto il suo essere, tanto nell’insieme della sua natura, quanto in ciascuna delle parti di cui essa si compone: corpo, anima, facoltà, intelligenza, volontà e sensibilità; anche gli atti di queste facoltà, come pure di tutti gli organi, sono doni di Dio, il cui dominio si estende fino a tutti i suoi beni, in quanto frutti della sua ineffabile liberalità. La semplice considerazione del fatto che nessuno sceglie o può scegliere la famiglia a cui dovrà appartenere sulla terra, è sufficiente per convincerci di questa verità fondamentale della nostra esistenza.

Da questo deriva che Dio nostro Signore è il sovrano di tutti gli uomini, tanto individualmente considerati, quanto riuniti in gruppi sociali, dal momento che, per il fatto di costituire le varie comunità, essi non perdono la loro condizione di creature. Infatti, l’esistenza stessa della società civile ubbidisce ai disegni di Dio che ha fatto sociale la natura dell’uomo. Quindi tutti i popoli, tutte le nazioni, dalle più primitive fino alle più civilizzate, dalle più piccole fino alle superpotenze, sono tutte soggette alla sovranità divina e, di per sé, hanno l’obbligo di riconoscere questo soave dominio celeste.

Regalità di Gesù Cristo

Come attestano frequentemente le Sacre Scritture, Dio ha conferito questa sovranità al suo Figlio unigenito.

San Paolo afferma, in un modo generale, che Dio “costituì erede di ogni cosa” (Ebr 1, 2) suo Figlio. San Giovanni, da parte sua, conferma il pensiero dell’apostolo delle genti in molti passi del suo Vangelo. Per esempio, quando ricorda che “il Padre non giudica alcuno, ma ha rimesso ogni giudizio nelle mani del Figlio” (Gv 5, 22). La prerogativa di amministrare la giustizia spetta, infatti, al re, e chi la possiede, la detiene in quanto rivestito di potere sovrano.

Questa regalità universale che il Figlio ha ereditato dal Padre non deve intendersi soltanto come l’eredità eterna, per cui, con la natura divina, egli ha ricevuto tutti gli attributi che lo fanno uguale e consustanziale alla prima Persona della Santissima Trinità, nell’unità dell’essenza divina.

Essa è attribuita in modo speciale a Gesù Cristo in quanto uomo, mediatore tra il cielo e la terra. Infatti, la missione del Verbo Incarnato è stata precisamente l’instaurazione sulla terra del Regno di Dio. Osserviamo che le espressioni della Sacra Scrittura relative alla regalità di Gesù Cristo si riferiscono, senza ombra di dubbio, alla sua condizione di uomo.

Egli viene presentato al mondo come Figlio del re Davide, per cui viene a ereditare il trono paterno, esteso fino ai confini della terra ed eterno, senza calcolo di anni. Fu così che l’Arcangelo Gabriele annunciò la dignità del Figlio di Maria: “Darai alla luce un Figlio, a cui porrai nome Gesù. Questi sarà grande e sarà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Iddio gli darà il trono di Davide, suo padre, ed Egli regnerà in eterno sulla casa di Giacobbe ed il suo regno non avrà fine” (Lc 1, 31-33). È, inoltre, come re che lo cercano i magi venuti dall’Oriente per adorarlo: “Dov’è il nato Re dei Giudei?”, chiedono a Erode, al loro arrivo a Gerusalemme (Mt 2, 2). La missione che il Padre eterno affidò al Figlio, nel mistero della sua incarnazione, fu quella di instaurare sulla terra un regno, il Regno dei Cieli. Mediante la instaurazione di questo Regno si va concretizzando quella carità ineffabile con cui, da tutta l’eternità, Dio ha amato gli uomini e li ha attirati misericordiosamente a sé: “Dilexi te, ideo attraxi te, miserans” (Ger 31, 3).

Gesù consacra la sua vita pubblica all’annuncio e alla instaurazione di questo suo Regno, ora indicato come Regno di Dio, ora come Regno dei Cieli. Seguendo l’uso orientale, Nostro Signore si serve di parabole affascinanti, per inculcare l’idea e la natura di questo regno che è venuto a fondare. I suoi miracoli mirano a convincere il popolo che il suo regno era giunto, si trovava in mezzo al popolo. “Si in digito Dei eiicio daemonia, profecto pérvenit in vos regnum Dei”, “Se io scaccio i demoni col dito di Dio, il Regno di Dio è dunque venuto fino a voi” (Lc 11, 20).

La costituzione di questo suo Regno assorbì a tale punto la sua missione che l’apostasia dei suoi nemici approfittò di tale idea per giustificare l’accusa sollevata contro di Lui davanti al tribunale di Pilato: “Si hunc dimittis, non es amicus Caesaris”, “Se lo liberi, non sei amico di Cesare”, vociferavano a Ponzio Pilato: “Chi si fa re, si dichiara contrario a Cesare” (Gv 19, 12). Avvalorando la opinione dei suoi nemici, Gesù Cristo conferma al governatore romano di essere veramente re: “Tu lo dici: io sono re” (Gv 18, 37).

Re in senso proprio

Non è possibile mettere in dubbio il carattere regale dell’opera di Gesù Cristo. Egli è Re.

La nostra fede, tuttavia, esige che conosciamo bene la portata e il senso della regalità del divino Redentore. Pio XI esclude subito il senso metaforico, per cui chiamiamo re e regale quanto vi è di eccellente in un modo di essere o di agire umano. No: Gesù Cristo non è re in questo senso traslato. È re nel senso proprio della parola. Nella Sacra Scrittura Gesù appare nell’esercizio di prerogative regali di governo sovrano, dettando leggi e comminando pene contro i trasgressori. Nel celebre Discorso della montagna, si può dire che il Salvatore ha promulgato il codice del suo Regno. Come vero sovrano, esige ubbidienza alle sue leggi sotto pena niente di meno che della condanna eterna. E anche nella scena del giudizio, che annuncia alla fine del mondo, allorché il Figlio di Dio verrà, per amministrare la sua giustizia ai vivi e ai morti: “Il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria […] e separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri […]. Allora, […] dirà a quanti saranno alla sua destra: – Venite, o benedetti dal Padre mio […]. Allora dirà a quelli di sinistra: – Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno […]. E questi se n’andranno nell’eterno supplizio, i giusti invece alla vita eterna” (Mt 25, 31 e seguenti). Sentenza dolcissima e tremenda. Dolcissima per i buoni, per l’eccellenza senza pari del premio che li attende; tremenda e spaventosa per i malvagi, a causa dell’allucinante castigo a cui sono condannati per l’eternità.

Una considerazione di questo genere è sufficiente per rendersi conto di come per gli uomini sia di somma importanza individuare bene dove si trovi qui sulla terra il regno di Gesù Cristo, perché appartenere o non appartenere a esso decide del nostro destino eterno. Abbiamo detto “qui sulla terra”, dal momento che l’uomo merita il premio o il castigo per l’oltretomba in questo mondo. Sulla terra, dunque, gli uomini devono entrare a fare parte di questo ineffabile regno di Dio, temporale ed eterno, poiché si forma nel mondo e fiorisce nel cielo.

La situazione attuale

La furia del Nemico, odiatore del genere umano, si scatena principalmente contro la dottrina della regalità di Cristo, perché quella regalità si trova unita nella Persona di Nostro Signore vero Dio e vero Uomo. Il laicismo ottocentesco, alimentato dalla massoneria, è riuscito a riorganizzarsi in una ideologia ancor più perversa, da quando ha esteso la negazione dei diritti regali del Redentore non solo alla società civile, ma anche al corpo ecclesiale.

Questo attacco si è consumato con la rinuncia del papato al concetto stesso di regalità vicaria del romano pontefice, portando in seno alla Chiesa le istanze di democrazia e parlamentarismo già utilizzate per minare le nazioni e l’autorità dei governanti. Il Concilio Vaticano II ha fortemente indebolito la monarchia papale, come conseguenza della negazione implicita della divina regalità del sommo ed eterno Sacerdote, e con questo ha inflitto un colpo magistrale alla istituzione che fino ad allora si era posta come antemurale alla secolarizzazione della società cristiana. Venuta meno la sovranità del Vicario, ne è conseguita progressivamente anche la negazione dei diritti sovrani di Cristo sul Corpo mistico. E quando Paolo VI ha deposto con gesto ostentato il triplice diadema regale, quasi rinnegando la sacra monarchia vicaria, egli ha anche tolto la corona a Nostro Signore, confinando la sua regalità ad un ambito meramente escatologico. Prova ne siano le significative amputazioni della liturgia della festa di Cristo Re e il suo trasferimento alla fine dell’anno liturgico.

Lo scopo della festa, vale a dire la celebrazione della regalità sociale di Cristo, ne illumina anche la collocazione nel calendario. Nella liturgia tradizionale, essa fu assegnata all’ultima domenica di ottobre, così che la festa di tutti i santi, che regnano per partecipazione, viene fatta precedere dalla festa di Cristo, il quale regna per diritto proprio. Con la riforma liturgica, approvata da Paolo VI nel 1969, la festa di Cristo Re fu spostata all’ultima domenica dell’anno liturgico, cancellando la dimensione sociale della regalità di Cristo e relegandola alla dimensione spirituale ed escatologica.

Si sono resi conto, tutti questi padri conciliari che hanno dato il loro voto a Dignitatis humanae e hanno proclamato con Paolo VI la libertà religiosa, che hanno di fatto spodestato Nostro Signore Gesù Cristo strappandogli la corona della sua regalità sociale? Hanno compreso di aver molto concretamente detronizzato Nostro Signore Gesù Cristo dal trono della sua divina regalità su noi e sul mondo? Hanno compreso che, facendosi portavoce di nazioni apostate, facevano salire verso il suo trono queste esecrabili bestemmie: “Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi” (Lc 19,14); “Non abbiamo altro re all’infuori di Cesare” (Gv 19, 15)? Ma Egli, di fronte a quel vociferare confuso di insensati, ritraeva da loro il Suo Spirito.

Non è possibile, a chi non sia accecato da faziosità, non riconoscere l’intento perverso di ridimensionare la festa istituita da Pio XI e la dottrina in essa affermata. Aver detronizzato Cristo non solo dalla società ma anche dalla Chiesa è stato il più grande crimine di cui si sia potuta macchiare la gerarchia, venuta meno al proprio ruolo di custode dell’insegnamento del Salvatore. Come inevitabile conseguenza di questo tradimento, l’autorità conferita da Nostro Signore al principe degli apostoli è sostanzialmente venuta meno, e di questo abbiamo avuto conferma sin dall’indizione del Vaticano II, quando proprio l’autorità infallibile del romano pontefice è stata deliberatamente esclusa, a vantaggio di una pastoralità che poi ha creato i presupposti per formulazioni equivoche e fortemente sospette di eresia, se non eretiche tout-court. Ci troviamo quindi non solo assediati nella sfera civile, nella quale forze oscure hanno da secoli rifiutato il giogo soave di Cristo per imporre alle nazioni l’odiosa tirannide dell’apostasia e del peccato; ma anche nella sfera religiosa, in cui l’autorità demolisce sé stessa e nega che il re divino debba regnare anche sulla Chiesa, sui suoi pastori e sui loro fedeli. Anche in questo caso al soave giogo di Cristo è sostituita l’odiosa tirannide dei novatori, che con un autoritarismo non dissimile da quello dei loro sodali laici impongono una nuova dottrina, una nuova morale, una nuova liturgia in cui la sola menzione della regalità di Nostro Signore è considerata uno scomodo retaggio di un’altra religione, di un’altra Chiesa. Lo disse già San Paolo: Iddio “invierà loro una potenza d’inganno perché essi credano alla menzogna” (2 Ts 2, 11).

Non stupisce quindi vedere che come nel secolo i magistrati sovvertono la giustizia condannando gli innocenti e assolvendo i colpevoli; come i governanti abusano del proprio potere per tiranneggiare i cittadini; come i medici rinnegano il giuramento di Ippocrate rendendosi complici di chi vuole diffondere la malattia e trasformare i malati in pazienti cronici; come i maestri non insegnano l’amore per il sapere ma coltivano negli allievi l’ignoranza e la manipolazione ideologica, così in seno alla Sposa di Cristo vi sono cardinali, vescovi e chierici che danno scandalo ai fedeli per la loro condotta morale riprovevole, seminano l’eresia dai pulpiti, favoriscono l’idolatria celebrando la pachamama e il culto della Madre Terra, in nome di un ecologismo di matrice chiaramente massonica e perfettamente coerente con il piano di dissoluzione voluto dal mondialismo. “Questa è la vostra ora, è l’impero delle tenebre” (Lc 22, 53). Il kathèkon pare esser venuto meno, se non avessimo la certezza delle promesse del Salvatore, Signore del mondo, della storia e della stessa Chiesa.

Conclusione

Eppure, mentre costoro distruggono, noi abbiamo la gioia e l’onore di ricostruire. Più grande felicità ancora: una nuova generazione di laici e sacerdoti partecipano con zelo a quest’opera di ricostruzione della Chiesa per la salvezza delle anime, e lo fanno con la consapevolezza delle proprie debolezze, delle proprie miserie, ma anche lasciandosi usare da Dio come docili strumenti nelle sue mani. Mani disponibili, mani forti, mani dell’Onnipotente. La nostra fragilità mette ancor più in luce l’opera del Signore, specialmente dove questa fragilità umana si accompagna all’umiltà.

Questa umiltà deve portarci ad instaurare omnia in Christo, a iniziare dal cuore della fede, che è la preghiera ufficiale della Chiesa: torniamo alla liturgia in cui a Nostro Signore è riconosciuto il suo assoluto primato, al culto che i novatori hanno adulterato proprio in odio alla divina maestà e per esaltare orgogliosamente la creatura umiliando il Creatore, per rivendicare in un delirio d’onnipotenza la ribellione del suddito contro il Re, il non serviam contro l’adorazione dovuta al Signore.

La nostra è una guerra: ce lo ricorda la Sacra Scrittura. Ma una guerra in cui “sub Christi Regis vexillis militare gloriamur”, e in cui disponiamo di armi spirituali potentissime, di uno spiegamento di forze angeliche dinanzi al quale nessuna potenza terrena e infernale ha alcun potere.

Se Nostro Signore è re per diritto ereditario (essendo di stirpe regale), per diritto divino (in ragione dell’unione ipostatica) e per diritto di conquista (avendoci redenti con il suo sacrificio sulla croce), non dobbiamo dimenticare che al suo fianco, nei piani della divina provvidenza, questo divino sovrano ha voluto porre come nostra signora e regina la propria augusta madre, Maria Santissima. Non vi può essere regalità di Cristo senza la dolce e materna regalità di Maria, che san Luigi Maria Grignon de Montfort ci ricorda essere mediatrice nostra presso il trono della maestà del suo Figlio, come una regina intercede al trono del re.

La premessa per il trionfo del re divino nella società e nelle nazioni è che egli già regni nei nostri cuori, nelle nostre anime, nelle nostre famiglie. Che regni dunque Cristo in noi, e con lui la sua santissima madre. Adveniat regnum tuum: adveniat per Mariam.

Marana Tha, Veni Domine Iesu!

Carlo Maria Viganò, arcivescovo

Di seguito, la Consacrazione al Sacro Cuore e l’Inno per la Festa di Cristo Re (rito antico) che abbiamo pregato insieme al termine della meditazione.

O Gesù dolcissimo, o Redentore del genere umano, riguardate a noi umilmente prostrati innanzi al vostro altare. Noi siamo vostri, e vostri vogliamo essere; e per vivere a voi più strettamente congiunti, ecco che ognuno di noi, oggi spontaneamente si consacra al vostro sacratissimo Cuore.

Molti, purtroppo, non vi conobbero mai; molti, disprezzando i vostri comandamenti, vi ripudiarono. O benignissimo Gesù, abbi misericordia e degli uni e degli altri e tutti quanti attira al vostro Sacratissimo Cuore.

O Signore, siate il Re non solo dei fedeli che non si allontanarono mai da voi, ma anche dì quei figli prodighi che vi abbandonarono; fate che questi, quanto prima, ritornino alla casa paterna, per non morire di miseria e di fame.

Siate il Re di coloro che vivono nell’inganno e dell’errore, o per discordia da voi separati; richiamateli al porto della verità, all’unità della fede, affinché in breve si faccia un solo ovile sotto un solo pastore.

Siate il re finalmente di tutti quelli che sono avvolti nelle superstizioni dell’idolatria e dell’islamismo; e non ricusate di trarli tutti al lume e al regno vostro.

Riguardate finalmente con occhio di misericordia i figli di quel popolo che un giorno fu il prediletto; scenda anche sopra di loro, lavacro di redenzione di vita, il sangue già sopra essi invocato.

Largite, o Signore, incolumità e libertà sicura alla vostra Chiesa, largite a tutti i popoli la tranquillità dell’ordine. Fate che da un capo all’altro della terra risuoni quest’unica voce:

Sia lode a quel Cuore divino, da cui venne la nostra salute; a lui si canti gloria e onore nei secoli dei secoli. Amen

Te sæculórum Príncipem,

Te, Christe, Regem Géntium,

Te méntium te córdium

Unum fatémur árbitrum.

Te, Principe dei secoli

Te, Cristo, Re delle genti

Te, delle menti, Te dei cuori,

confessiamo unico Sovrano

Scelésta turba clámitat:

Regnáre Christum nólumus:

Te nos ovántes ómnium

Regem suprémum dícimus.

La turba scellerata urla:

«Non vogliamo che Cristo regni»

Ma noi, acclamando,

Ti dichiariamo Re supremo.

O Christe, Princeps Pácifer,

Mentes rebélles súbjice:

Tuóque amóre dévios,

Ovíle in unum cóngrega.

Cristo, Principe Portatore di pace,

assoggetta le anime ribelli;

e, con il tuo amore, gli erranti

raduna in un solo ovile.

Ad hoc cruénta ab árbore

Pendes apértis bráchiis,

Diráque fossum cúspide

Cor igne flagrans éxhibes.

Per questo dall’albero sanguinante

pendi con le braccia stese,

e, dalla crudele punta perforato,

il cuore, di fuoco flagrante, manifesti.

Ad hoc in aris ábderis

Vini dapísque imágine,

Fundens salútem fíliis

Transverberáto péctore.

Per questo sugli altari ti tieni nascosto

di vino e di cibo nell’immagine

effondendo la salvezza sui figli

dal petto transverberato

Te natiónum Præsides

Honóre tollant público,

Colant magístri, júdices,

Leges et artes éxprimant.

Te delle nazioni i principi

manifestino [Re] con pubblico onore

[Te] adorino i maestri, i giudici

[Te] le leggi e le arti esprimano [si ispirino all’insegnamento di Gesù]

Submíssa regum fúlgeant

Tibi dicáta insígnia:

Mitíque sceptro pátriam

Domósque subde cívium.

Le sottomesse insegne dei re rifulgano

a Te dedicate:

e con tuo mite scettro la Patria

e le case dei cittadini tieni sudditi

Jesu tibi sit glória,

Qui sceptra mundi témperas,

Cum Patre, et almo Spíritu,

In sempitérna sæcula. Amen.

Gesù, a Te sia gloria,

che reggi gli scettri del mondo,

con il Padre, e l’almo Spirito

per i secoli sempiterni. Amen

***

 

 

 

 

 

 

Aldo Maria Valli:
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