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Sul rischio di crearsi la devozione a immagine di se stessi

Aurelio Porfiri ci porta oggi a riflettere sulle devozioni e sui meccanismi interiori dai quali occorre guardarsi.

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Uno dei classici della spiritualità di ogni tempo è la Filotea di san Francesco di Sales, testo che ha formato generazioni di cristiani e che il grande santo concepì come guida spirituale per un’anima a lui affidata. Vi si parla di come raggiungere la vera devozione, tema importante in ogni tempo, il che spiega il successo del trattato. La devozione è qualcosa di personale, ma può anche dare adito a deviazioni che vanno frenate e controllate.

Rivolgendosi all’anima a lui affidata, l’autore dice: “Mia cara Filotea, tu vorresti giungere alla devozione perché sai bene, come cristiana, quanto questa virtù sia accetta a Dio: ma siccome i piccoli errori, commessi all’inizio di qualsiasi impresa, ingigantiscono con il tempo e risultano, alla fine, irreparabili o quasi, è necessario, prima di tutto, che tu sappia che cos’è la virtù della devozione. Di vera ce n’è una sola, ma di false e vane ce ne sono tante; e se non sai distinguere la vera, puoi cadere in errore e perdere tempo correndo dietro a qualche devozione assurda e superstiziosa. Arelio dava a tutti i volti che dipingeva le sembianze e l’espressione delle donne che amava; ognuno si crea la devozione secondo le proprie tendenze e la propria immaginazione. Chi si consacra al digiuno penserà di essere devoto perché non mangia, mentre ha il cuore pieno di rancore; e mentre non se la sente di bagnare la lingua nel vino e neppure nell’acqua, per amore della sobrietà, non avrà alcuno scrupolo nel tuffarla nel sangue del prossimo con la maldicenza e la calunnia. Un altro penserà di essere devoto perché biascica tutto il giorno una filza interminabile di preghiere; e non darà peso alle parole cattive, arroganti e ingiuriose che la sua lingua rifilerà, per il resto della giornata, a domestici e vicini. Qualche altro metterà mano volentieri al portafoglio per fare l’elemosina ai poveri, ma non riuscirà a cavare un briciolo di dolcezza dal cuore per perdonare i nemici; ci sarà poi l’altro che perdonerà i nemici, ma di pagare i debiti non gli passerà neanche per la testa; ci vorrà il tribunale. Tutta questa brava gente, dall’opinione comune è considerata devota, ma non lo è per niente”.

Insomma, pretendere di essere devoti solo perché mettiamo in atto certe preghiere o cerimonie, quando poi non cerchiamo di essere coerenti, è falsa devozione. Certamente, ci sono persone che malgrado la propria devozione continuano a peccare per debolezza e fragilità, non per animo cattivo o cattiva intenzione. Queste devono perseverare nella preghiera e nella devozione, cercare quella grazia che le aiuti a superare gli ostacoli causati dal proprio carattere e dalle proprie inclinazioni. A volte non c’è malanimo, non c’è cattiveria, c’è solo umana fragilità, debolezza, incapacità di comportarsi in modo differente. Alcuni invece coltivano un animo cattivo, corrotto consapevolmente. Ci sono persone che approfittano di certe posizioni per perseguire altri scopi, sapendo che stanno ingannando.

Ricordo come papa Benedetto XVI parlasse spesso della devozione dei semplici, della povera donna che prega per come sa eppure ci insegna tanto. Noi possiamo dare quello che abbiamo e se diamo tutto con sincerità allora forse possiamo dire che la nostra è vera devozione.

Quando il santo dice che siamo portati a crearci le devozioni a nostra immagine e somiglianza significa che ognuno si costruisce un proprio habitat, in cui si sente comodo e rassicurato. Dico spesso che la vita religiosa per alcuni confina con la patologia psicologica: la religione come rifugio per i propri problemi mentali. Ma rifugio non nel senso di sollievo, bensì nel senso di fuga, di camuffamento dei problemi.

San Francesco di Sales nel suo scritto naturalmente spiega cos’è la vera devozione: “Lo zucchero rende dolci i frutti un po’ acerbi e toglie il pericolo che facciano male quelli troppo maturi; la devozione è il vero zucchero spirituale, che toglie l’amarezza alle mortificazioni e la capacità di nuocere alle consolazioni: toglie la rabbia ai poveri e la preoccupazione ai ricchi; la desolazione a chi è oppresso e l’insolenza al favorito dalla sorte; la tristezza a chi è solo e la dissipazione a chi è in compagnia; ha la funzione di fuoco in inverno e di rugiade in estate, sa affrontare e soffrire la povertà, trova ugualmente utile l’onore e il disprezzo, riceve il piacere e il dolore con un cuore quasi sempre uguale, e ci colma di una meravigliosa soavità”.

Si tratta di bilanciare la propria vita, vedendola sempre con gli occhi della fede, qualunque cosa ci accada. In questo modo tutte le nostre preghiere, le nostre devozioni, le nostre invocazioni, saranno sincere proprio perché sgorgano da una comprensione interiore profonda di quanto ci accade.

Rivolto al clero di Roma, Benedetto XVI nel 2007, a proposito della devozione popolare nei santuari, disse: qui “si sente la presenza della preghiera di generazioni e si tocca quasi con mano la presenza materna della Madonna. Si può realmente vivere un incontro con la devozione mariana dei secoli, con i desideri, le necessità, i bisogni, le sofferenze, anche le gioie delle generazioni nell’incontro con Maria… Nella mia terra ho avuto l’esperienza dei pellegrinaggi a piedi al nostro santuario nazionale di Altötting. È una grande missione popolare. Ci vanno soprattutto i giovani e, pellegrinando a piedi per tre giorni, vivono nell’atmosfera della preghiera, dell’esame di coscienza, quasi riscoprono la loro coscienza cristiana di fede. Questi tre giorni di pellegrinaggio a piedi sono giorni di confessione, di preghiera, sono un vero cammino verso la Madonna, verso la famiglia di Dio e poi verso l’Eucaristia. Andando a piedi, vanno alla Madonna e vanno, con la Madonna, al Signore, all’incontro eucaristico, preparandosi con la confessione al rinnovamento interiore. Vivono di nuovo la realtà eucaristica del Signore che dà sé stesso, come la Madonna ha dato la propria carne al Signore, aprendo così la porta all’Incarnazione. La Madonna ha dato la carne per l’Incarnazione e così ha reso possibile l’Eucaristia, nella quale riceviamo la Carne che è il Pane per il mondo. Andando all’incontro con la Madonna, gli stessi giovani imparano a offrire la propria carne, la vita di ogni giorno perché sia consegnata al Signore. E imparano a credere, a dire, man mano, ‘Sì’ al Signore…  San Luca ci dice due volte che la Vergine ‘serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore’ (2,19; cfr 2,51). Era una persona in colloquio con Dio, con la Parola di Dio, e anche con gli avvenimenti tramite i quali Dio parlava con Lei… Quindi impariamo da Maria a parlare personalmente con il Signore, ponderando e conservando nella nostra vita e nel nostro cuore le parole di Dio, perché diventino nutrimento vero per ciascuno. Così Maria ci guida in una scuola di preghiera, in un contatto personale e profondo con Dio”.

Tenendo bene in vista questi elementi, possiamo fare in modo che la nostra devozione diventi più autentica e vera.

Aurelio Porfiri

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