“E Dio fece il presepe”. Racconti per un piccolo grande Natale

“In principio Dio volle fare un presepe e creò l’universo come ornamento della mangiatoia”.

Credo che bastino queste poche righe iniziali per dire che E Dio fece il presepe, di don Enrique Monasterio (Ares, 192 pagine, 15 euro) è un libro che merita di essere letto, gustato, meditato.

Come ho già detto altre volte, amo fare il presepe. Anche quest’anno l’ho fatto, utilizzando le statuine che erano dei mei genitori, alle quali se ne sono aggiunte altre acquisite lungo gli anni. È un presepe semplicissimo, ma ogni volta che lo faccio mi sembra nuovo. E in effetti lo è, perché le variazioni sul tema possono essere infinite. Come l’amore del buon Dio per noi.

Ma dicevo di questo bel libro che l’Ares ha opportunamente pubblicato, traduzione dell’originale El Belén que puso Dios. Un libro che è tante cose in una: racconto, fiaba, poesia.

Narrando a modo suo la creazione, don Monasterio scrive a un certo punto: “Poi Dio fece una pausa e pensò dove fare il suo presepe. Decise per Betlemme. Immaginò le statuine: il bue, l’asino, le lavandaie, i pastori…”.

Ora evidentemente qualche teologo molto ferrato dirà che non è propriamente così, che il bue e l’asinello non c’erano, che i pastori non cantarono eccetera. Ma fortunatamente don Enrique Monasterio non è teologo. E così può anche proseguire la sua versione della Genesi: “Come un artista che persegue con tenacia la pennellata perfetta, Dio dipinse migliaia di sorrisi su altrettanta lebbra. Poi fece delle prove dello sguardo limpido che avrebbe avuto Maria, sugli occhi di tanti personaggi. Fino a quando, un giorno, nacque la Madonna, la sua Figlia prediletta, la sua Sposa Immacolata, la sua opera maestra. La mise nel presepe accanto alla culla di Gesù, che era il ritratto perfetto di sua madre. E Dio vide tutto ciò che aveva fatto. Ed ecco era molto buono: anzi meraviglioso. Gli piacque così tanto che decise di trasmettere in diretta la nascita di suo Figlio ogni dicembre della storia, e in tutti i cuori che avrebbero fatto posto a un presepe. Così inventò il Natale”.

Quest’anno il presepe l’ho fatto sopra il pianoforte. L’anno scorso sopra i ripiani della libreria. Ogni anno un posto nuovo. Pensare dove fare il presepe è già un po’ come farlo, come gustarlo. Farlo ogni volta in un posto diverso è permettere a Gesù Bambino di visitare tutta la casa. Un secondo presepe, realizzato secondo la tradizione della famiglia di mia moglie, viene invece allestito sempre nello stesso posto. Questo secondo presepe è il presepe stabile, il mio è l’itinerante.

Nei presepi di cui ci parla don Enrique ci sono naturalmente pastorelli, torrenti, pecore, anatre, stelle, angeli, lavandaie. E ciascuno ha qualcosa da narrare, qualcosa da chiedere o da spiegare. E ci sono personaggi inaspettati, come Moreno, nato a Betlemme giusto due anni prima di Gesù e proprio nella locanda di Gioacchino, dove Maria e Giuseppe non trovarono posto. Moreno era un asinello, e la sua storia vi piacerà. Dico solo che a un certo punto, mentre si trovava accanto alla mangiatoia, chiese la grazia di poter cantare. D’altra parte, in quanto asinello, l’orecchio non gli mancava.

“Iniziai a scrivere queste pagine – spiega alla fine don Enrique – nel Natale del 1993, provando nostalgia per le più belle Vigilie di Natale della mia vita: quattro consecutive, trascorse a Roma accanto a san Josemaría Escrivá. Non ricordo se ci fossero torroni, marzapane o panettoni: è la cosa meno importante. Invece mi pare di sentire ancora le canzoni di Natale che cantavamo accanto al presepe”. Fu così, tornando a quei giorni trascorsi con il fondatore dell’Opus Dei, che don Enrique si mise a scrivere. Pensava a un trattato sul Natale. Ne vennero fuori racconti dal sapore di fiaba.

Piaceranno? L’autore non lo sa, e non se ne preoccupa. “Per lo meno – dice – me la sono goduta”: E, nel mio piccolo, faccio lo stesso dopo che ho sistemato l’ultima pecorella e l’ultima gallina nel presepe. Non so se piacerà, ma per lo meno me la sono goduta. E poi fare il presepe è così terapeutico: esco totalmente da me stesso per entrare a Betlemme. A ben vedere, non sono io che faccio il presepe, ma è il presepe che si fa attraverso le mie mani.

Don Enrique chiude con una citazione tratta da Baltasar Gracián: “L’uomo, per essere del tutto perfetto, avrebbe bisogno di un comignolo sul cocuzzolo della testa da cui far esalare i fumi che continuamente fuoriescono dal cervello, soprattutto nella vecchiaia”.

Buon Dio, quanto fumo inutile! Grazie per tutti i presepi che ti sei lasciato fare!

Aldo Maria Valli    

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