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San Giuseppe, aiuto nella crisi economica

Cari amici di Duc in altum, dopo la puntata di ieri, ecco il secondo contributo di Federico Catani su san Giuseppe.

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di Federico Catani

Questo è un periodo di gravissima crisi economica: molti hanno perso il lavoro e molti altri sono in grande difficoltà a causa delle politiche intraprese per contrastare la pandemia da Covid-19. Diventa quindi urgente ricorrere alla potente intercessione di san Giuseppe, modello e patrono di tutti i lavoratori.

La tradizione racconta che Giuseppe era un falegname, ma più precisamente l’evangelista Matteo dice che Gesù era il figlio di un carpentiere. Questo significa che quella condotta da Giuseppe e dalla sua famiglia, pur sobria, austera e semplice, era una vita dignitosa, non di indigenza come spesso si predica.

Di nobile stirpe

Non bisogna poi dimenticare che Giuseppe era della stirpe del re Davide, quindi era nobile. Ciò serviva per garantire a Gesù, il Messia, la discendenza davidica, così come profetizzato nell’Antico Testamento. Nobile e artigiano, quindi, Giuseppe, che racchiude in sé tutte le condizioni di vita. Nobile che ha vissuto però del suo lavoro, faticando per mantenere la famiglia, sudando e soffrendo, conformandosi alla volontà divina in ogni momento, anche in quelli più duri e difficili.

«Tutti i cristiani, di qualsivoglia condizione e stato, hanno ben motivo di affidarsi e abbandonarsi all’amorosa tutela di san Giuseppe. […] I nobili, posta dinanzi a sé l’immagine di Giuseppe, imparino a serbare anche nell’avversa fortuna la loro dignità; i ricchi comprendano quali siano i beni che è opportuno desiderare con ardente bramosia e dei quali fare tesoro» (Leone XIII, Quamquam pluries).

«Nelle vene di san Giuseppe scorre il sangue di Davide, di Salomone, e di tutti i nobili Re di Giuda e se la sua stessa dinastia avesse continuato a regnare, lui sarebbe stato l’erede del trono e avrebbe dovuto occuparlo. Non fermatevi a considerare la sua povertà attuale: l’ingiustizia scacciò la sua famiglia dal trono al quale aveva diritto, ma non per questo egli cessa di essere Re, figlio di quei Re di Giuda, i maggiori, i più nobili, i più ricchi dell’universo. Anche nei registri anagrafici di Betlemme san Giuseppe sarà iscritto e riconosciuto dal governatore romano quale erede di Davide: questa la sua regale pergamena, facilmente riconoscibile e che porta la sua regale firma. […] San Giuseppe ricevette nel Tempio un’accurata educazione e così Dio lo preparò a diventare un nobile servitore del suo Figlio, il cavaliere del più nobile Principe, il protettore della più augusta Regina dell’universo» (san Pier Giuliano Eymard).

Patrono dei lavoratori

Nel 1955, papa Pio XII istituì la festa di san Giuseppe artigiano, stabilendo che venisse celebrata il 1° maggio, per indicare al mondo la sollecitudine della Chiesa per i lavoratori e il mondo del lavoro. La Dottrina sociale cattolica non ha infatti nulla da imparare o prendere a prestito da altre ideologie: «Gesù Cristo – disse il Papa – non attende che Gli si apra il cammino per penetrare le realtà sociali con sistemi che non derivano da Lui, si chiamino essi “umanesimo laico” o “socialismo purgato dal materialismo”» (Discorso del 1° maggio 1955).

«I proletari, gli operai e quanti sono meno fortunati, debbono, per un titolo o per diritto loro proprio, ricorrere a san Giuseppe, e da lui apprendere ciò che devono imitare. Infatti egli, sebbene di stirpe regia, unito in matrimonio con la più santa ed eccelsa tra le donne, e padre putativo del Figlio di Dio, nondimeno passa la sua vita nel lavoro, e con l’opera e l’arte sua procura il necessario al sostentamento dei suoi.

Se si riflette in modo avveduto, la condizione abietta non è di chi è più in basso: qualsiasi lavoro dell’operaio non solo non è disonorevole, ma associato alla virtù può molto, e nobilitarsi. Giuseppe, contento del poco e del suo, sopportò con animo forte ed elevato le strettezze inseparabili da quel fragilissimo vivere, dando esempio al suo figliuolo, il quale, pur essendo signore di tutte le cose, vestì le sembianze di servo, e volontariamente abbracciò una somma povertà e l’indigenza.

Di fronte a queste considerazioni, i poveri e quanti si guadagnano la vita col lavoro delle mani debbono sollevare l’animo, e rettamente pensare. A coloro ai quali, se è vero che la giustizia consente di potere affrancarsi dalla indigenza e levarsi a migliore condizione, tuttavia né la ragione né la giustizia permettono di sconvolgere l’ordine stabilito dalla provvidenza di Dio. Anzi, il trascendere alla violenza e compiere aggressioni in genere e tumulti è un folle sistema che spesso aggrava i mali stessi che si vorrebbero alleggerire. Quindi i proletari, se hanno buon senso, non confidino nelle promesse di gente sediziosa, ma negli esempi e nel patrocinio del beato Giuseppe, e nella materna carità della Chiesa, la quale si prende ogni giorno grande cura del loro stato» (Leone XIII, Quamquam pluries).

Contro il comunismo, come insegnato a Fatima

Papa Pio XI nella sua enciclica Divini Redemptoris (19 marzo 1937), presentò san Giuseppe non solo quale modello e patrono dei lavoratori, ma anche come potente intercessore nella lotta condotta dalla Chiesa contro il comunismo, il grande errore diffuso dalla Russia in tutto il mondo, secondo quanto detto dalla Madonna nelle sue apparizioni di Fatima nel 1917.

«E per affrettare la tanto da tutti desiderata pace di Cristo nel regno di Cristo – scriveva il Papa – poniamo la grande azione della Chiesa cattolica contro il comunismo ateo mondiale sotto l’egida del potente Protettore della Chiesa, san Giuseppe. Egli appartiene alla classe operaia ed ha sperimentato il peso della povertà, per sé e per la Sacra Famiglia, di cui era il capo vigile ed affettuoso; a lui fu affidato il Fanciullo divino, quando Erode sguinzagliò contro di lui i suoi sicari. Con una vita di fedelissimo adempimento del dovere quotidiano, ha lasciato un esempio a tutti quelli che devono guadagnarsi il pane col lavoro delle loro mani e meritò di essere chiamato il Giusto, esempio vivente di quella giustizia cristiana, che deve dominare nella vita sociale» (Pio XI, Divini Redemptoris).

2 – continua

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