Menzogne e verità di “Traditionis custodes”

Cari amici di Duc in altum, Traditionis custodes sta comprensibilmente monopolizzando l’attenzione dei lettori del blog. Delusione, tristezza e sconcerto sono i sentimenti prevalenti. Fra i commenti più lucidi, questo che pubblico qui sotto. Me lo ha inviato una lettrice e trovo che contenga molti spunti che meritano una riflessione.
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Caro Aldo Maria, vorrei proporre alcune riflessioni nate dalla lettura di Traditionis custodes.

  • Mi sembra che una chiave di lettura dell’intero corpo (documento e lettera), sia quella dello scimmiottamento. Mi spiego. Francesco indica più volte la sua motivazione di ciò che va a legiferare, ossia la continuità con quello che hanno fatto i suoi predecessori: san Pio V, che ha abrogato tutti i riti precedenti per uniformare l’uso di uno stesso Messale in tutta la Chiesa, e Benedetto XVI, che si è preso cura pastorale di coloro che erano legati al rito antico. Ora, nel riferirsi a chi lo ha preceduto, e nascosto dietro a quelle stesse motivazioni, Bergoglio fa esattamente il contrario. A differenza di san Pio V, che aveva abrogato tutti i riti che non potevano vantare una tradizione centenaria, lui cancella tutto ciò che è tradizione apostolica per imporre una Messa nata cinquant’anni fa; e a differenza di Benedetto XVI, getta allo sbaraglio le anime legate alla Messa antica. Emerge un delirio di onnipotenza, di cui questo papa e chi lo assiste hanno già dato ampia prova. Come se, così facendo, volessero dimostrare a sé e agli altri di essere essi stessi la Chiesa, monarchia assoluta. Si considera Benedetto XVI, in fondo, un ingenuo, perché nel concedere un uso generoso della Messa in latino si sarebbe fidato di alcuni pazzi (i fedeli e i sacerdoti legati al rito antico), pazzi che poi, come era prevedibile, lo hanno tradito, usando la Messa per combattere il Sacro Concilio e per dividere la Chiesa. Ecco, secondo me questa è la cosa più grave di tutta l’operazione Traditionis custodes: usare la verità (la cura pastorale, l’unità ecclesiale, eccetera) per mettersi al servizio della menzogna e usare la menzogna (sostenere che i destinatari dei provvedimenti di Benedetto XVI non si sono comportati bene) per fingere di servire la verità.
  • Il vero problema non è Traditionis custodes, ma Summorum pontificum. Benedetto XVI invece di spiegare che nessuno può disciplinare l’uso della Messa cattolica di sempre, perché quella è la Messa che abbiamo ricevuto dagli apostoli e che san Pio V ha reso obbligatoria imponendola all’intera Chiesa contro le varie innovazioni sorte qua e là, ha fatto alcune concessioni e ha chiamato questa Messa “forma straordinaria”. Ora, dire che una cosa è straordinaria implica che prima o poi qualcuno dica che adesso c’è bisogno di ritornare alla normalità. Dire, per esempio, che il lockdown è una situazione di vita straordinaria, significa che non potremo vivere sempre in quella condizione. In Summorum pontificum, insomma, c’era già il germe di Traditionis custodes. Inoltre, Benedetto XVI disse che le due forme, ordinaria e straordinaria, avrebbero potuto arricchirsi a vicenda. Ma come si può sostenere seriamente che il novus ordo, una Messa inventata a tavolino, sia in grado di arricchire ciò che abbiamo ricevuto dalla tradizione apostolica?
  • In Traditionis custodes colpisce la palese menzogna sostenuta là dove si dice che i fedeli che partecipano alla Messa tridentina sono stati fonte di divisione nella Chiesa. La realtà – e lo possiamo ben verificare guardando all’Italia – è esattamente opposta: i vescovi hanno soppresso, perseguitato, ghettizzato, minacciato i sacerdoti che volevano celebrare secondo il vetus ordo, e le richieste dei laici spesso sono rimaste inascoltate. Nessuno in questi anni ha potuto sperimentare la normalità del cammino ecclesiale usando la forma cosiddetta straordinaria. Dunque, come si può oggi pretendere di tirare le conclusioni rispetto a qualcosa che in realtà non è stato fatto sperimentare?
  • Mette i brividi ciò che Francesco dice verso la fine della lettera ai vescovi, quando afferma: mentre nell’esercizio del mio ministero assumo la decisione di sospendere la facoltà concessa dai miei predecessori, chiedo a voi di condividere con me questo peso. Una frase che suscita impressione e ricorda quella riguardante gli ebrei: il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli. Sembrano le parole di chi avverte la gravità di ciò che sta per compiere, potrebbe ancora fermarsi e invece dice: si abbatterà su di me un castigo e chiedo ai vescovi di condividerlo con me. Consapevole della propria responsabilità, il papa dice che si dovrà pagare un prezzo e decide di andare avanti.
  • Il documento è caratterizzato dalla rabbia, dal rancore. E anche questa circostanza fa riflettere. La rabbia a volte si può esprimere attraverso un certo comportamento, a parole o con i gesti, nei confronti di un fratello, una sorella o un gruppo. Ma quando si scrive un documento ufficiale, questo viene ponderato, rivisto, rielaborato. Lo si legge e lo si fa leggere. Ora, se dopo tutti questi passaggi mantiene lo stigma della rabbia, la conclusione può essere una sola: siamo di fronte a un brutto segno di volgarità e decadenza. Quella volgarità e quella decadenza che hanno segnato il pontificato di Bergoglio e che costituiscono un grave vulnus per l’autorità papale.
  • Una verità la Traditionis custodes la contiene, ed è là dove il papa dice che delle due l’una: o si segue il Concilio Vaticano II o si segue la Messa antica. Le due cose sono incompatibili perché segnano l’appartenenza a due diverse fedi e a due diverse chiese. Chi riconosce il Concilio riconosce la Chiesa che è nata in quel momento e che è distinta da quella di prima, tanto è vero che per quella di prima non c’è più posto. In altre parole, è la pietra tombale sull’ermeneutica della continuità, un compromesso che non poteva reggersi.

Lettera firmata

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