Lettera ad Aurelio Porfiri sul “passare al bosco”

di Aldo Maria Valli

Caro Aurelio, il tuo commento al mio articolo Mentre il papa è all’ospedale… mi ha fatto piacere e mi ha regalato un po’ di consolazione. In questi tempi grami la consonanza di idee e valutazioni con un amico è uno dei regali più grandi che il Signore ci possa fare.

Ora ti propongo questa similitudine. Immagina un’azienda in grave difficoltà. Il prodotto non “tira” e la merce resta invenduta nei negozi che la gente non frequenta più. Gli stessi negozianti sono sempre di meno e sempre più anziani, tanto che, faticosamente, in certi casi devono ruotare su negozi diversi, nei quali affluiscono per lo più clienti a loro volta anziani. Molti manager dell’azienda, anziché cercare soluzioni, danno dimostrazione di corruzione morale e disperdono quel poco di patrimonio di credibilità ancora rimasto.

Da parte sua, l’amministratore delegato è un tipo bizzarro. Sebbene parli di frequente di misericordia e accoglienza, si comporta come un despota vendicativo. Ma anziché colpire i responsabili dello sfacelo, come quei manager che pretendono di fare di testa loro innovando in modo incoerente, se la prende con i pochi dirigenti, funzionari e negozianti che, appellandosi all’antica tradizione dell’azienda, riescono a sfornare un prodotto degno, apprezzato da una clientela magari numericamente limitata ma fedele e anche giovane.

I motivi per cui l’amministratore delegato se la prende tanto con questa sezione buona dell’azienda sono in gran parte insondabili. Tuttavia, qualcosa emerge. Nessuno, tranne Dio, vede nel cuore degli uomini, ma in questo caso si intravvede qualcosa di irrisolto nell’animo di colui che è stato designato alla conduzione dell’impresa. È come se, pur dirigendola, volesse colpire la creatura che gli è stata affidata, gettando la parte migliore del suo management e della clientela nello sconcerto e nella tristezza. Un’autopunizione, in fondo, dato che lungo questa strada egli lascia solo macerie ed è destinato a essere ricordato come un picconatore vanesio.

In tutta la faccenda c’è un altro dato sconcertante. Il predecessore dell’amministratore delegato, che si è ritirato sostenendo di essere troppo anziano e debole per ricoprire adeguatamente l’incarico, vive a pochi passi dal successore, e colui che gli è subentrato va a trovarlo, lo abbraccia e ha per lui parole dolci. Poi però, nei fatti, lo smentisce e distrugge la sua opera.

Il caso del comportamento contro i pochi manager, funzionari e negozianti degni è tipico. Essendosi accorto della loro opera preziosa, del loro buon cuore e della fedeltà all’azienda, il predecessore li aveva messi nelle condizioni di operare al meglio, in un’area, per così dire, riparata. Ma ecco che il successore, al contrario, decide di affossarli, sostenendo contro ogni evidenza che essi lavorano non per il bene dell’azienda, ma per frazionarla.

Come si può ben capire, qui siamo di fronte a un animo complesso e contraddittorio, e forse solo uno psichiatra potrebbe sbrogliare la matassa.

Sta di fatto che l’azienda va male, i negozianti sono pochi, vecchi e stanchi, la merce resta invenduta, la clientela è a sua volta in gran parte anziana mentre un numero crescente di potenziali clienti si rivolge ad altri venditori, in un generale clima di disfacimento del quale ormai si sono resi conto perfino quegli osservatori che all’inizio avevano accolto con favore l’arrivo del nuovo amministratore delegato.

Che cosa potrebbe guarire l’azienda? La medicina ci sarebbe: è la materia prima che consente di dar vita al prodotto, e non è nemmeno difficile procurarsela, perché il Grande Produttore di questa materia prima (che è poi anche il fondatore dell’azienda) non si stanca di fornirla a tutti, senza distinzioni. Eppure, proprio coloro che dovrebbero recepirla e custodirla, per poi essere in grado di trasmetterla alla clientela nel modo più efficace, sembrano rifiutarla oppure, anziché fare da garanti della purezza della materia e preoccuparsi che arrivi a destinazione incorrotta, la manipolano a loro piacimento, pretendendo di sostituirsi al Grande Produttore, come se tale materia prima fosse cosa loro e non un tesoro che essi sono chiamati ad amministrare e a tutelare, per il bene del maggior numero possibile di clienti.

A fronte di questa situazione, ci sono clienti secondo i quali tutti gli amministratori delegati dell’azienda, da un certo anno in poi, sarebbero in sostanza degli usurpatori. Tali amministratori, dicono questi clienti (ma tra loro c’è anche qualche manager), si sono lasciati fuorviare da un’assemblea che i manager di allora tennero all’inizio degli anni Sessanta del secolo scorso e che, di fatto, preparò il terreno al fallimento perché diede il via all’adulterazione del prodotto. È una visione, questa, che ha una sua logica e che esercita un certo fascino sul sottoscritto. Ma forse ha troppa logica e poco cuore. E poco amore per questa povera azienda che, in ogni caso, non appartiene né all’amministratore delegato, né al management né tanto meno ai clienti, ma solo al Grande Produttore, perché è lui che l’ha voluta e fondata ed è sempre lui che, misteriosamente, fa navigare la barca permettendole di superare gli scogli che lungo la storia si presentano.

Sulle strategie che noi clienti dobbiamo adottare, se abbiamo a cuore l’azienda, occorre riflettere seriamente. Ho l’impressione che gli schemi mentali a cui siamo abituati non possano funzionare. La tua idea del “passare al bosco”, che prende ispirazione dal Trattato del ribelle di Ernst Jünger, è suggestiva e si avvicina alla mia idea di “guerrigliero”. Certo, usando queste espressioni stiamo forzando la mano. Ma qualche forzatura può forse essere utile in un frangente così spinoso.

 

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