Lettera ad Aurelio Porfiri sull’estraneità

Caro Aurelio,

noi due abbiamo scritto un libro intitolato Sradicati. Dialoghi sulla Chiesa liquida. La parola “sradicati” dice molto. Vuol dire che ci sentiamo non tanto privi di radici, perché quelle ci sono e sono forti, ma come strappati dalla terra, dalla nostra terra. Di qui la sensazione di essere come esuli, senza casa e senza appartenenza. Ma perché? Non perché ce ne siamo andati, bensì perché la casa è stata occupata, e chi ora la occupa non ha nulla in comune con noi, con la nostra tradizione, con la fede che ci ha nutriti per tanti anni della nostra vita.

Fuor di metafora, la nostra casa è la Chiesa, una Chiesa resa irriconoscibile da chi l’ha messa al servizio non della salvezza delle anime, ma del pensiero dominante nel mondo. Ed ecco perché non possiamo che sentirci sradicati.

Tu mi dirai che la Chiesa non è solo l’istituzione e la gerarchia, ma è là dove due o tre si riuniscono nel nome di Gesù, ed è vero. Ma, dato che la Chiesa istituzione mantiene un ruolo centrale (e quanto più tuona contro il clericalismo tanto più agisce in modo prettamente clericale) il senso di emarginazione è comunque forte.

Vorrei dare a tutto ciò che provo un nome più preciso, e la parola che mi viene in mente è estraneità. Ecco, mi sento sempre più estraneo alla Chiesa gerarchica, ai pastori, a questi pastori. Alle loro prediche. Ai loro riti. Estraneo alle cosiddette iniziative pastorali che si nutrono di slogan vuoti. Estraneo alle cerimonie in cui al centro viene messo non Dio ma l’uomo. Estraneo alle liturgie sciatte e stravolte. Estraneo al conformismo dei guardiani della misericordia. Estraneo all’ideologia ecologista che ormai è dilagata nel tempio. Estraneo alla dogmatizzazione del dialogo visto non più come mezzo ma come fine. Estraneo alla retorica della Chiesa in uscita e non autoreferenziale. Estraneo alle chiacchiere sul dovere di costruire ponti e non muri. Estraneo a tutto l’armamentario del gesuitismo progressista, replicato pappagallescamente dagli aiutanti del principe. Estraneo a questa Chiesa che parla come l’Onu e la massoneria e, non a caso, riceve l’applauso dei circoli mondialisti.

Non è facile vivere nell’estraneità. Ci si sente soli e si rischia di diventare esageratamente sospettosi. Io poi, per carattere, sono portato a dare fiducia e a vedere il lato positivo. Ma gli eretici e gli apostati che hanno dato la scalata al tempio e vi si sono insediati costringono noi, quelli che Prezzolini chiamava gli apoti, quelli che non se la bevono, a coltivare la diffidenza sistematica. Come legittima difesa di noi stessi ma, prima di tutto, della verità.

Vivere da estranei significa diventare un po’ clandestini, come passeggeri non autorizzati, costretti a guardarsi attorno con circospezione, perché i controllori possono spuntare da un momento all’altro. E loro sanno come normalizzarti.

Vivere da estranei è anche stancante. Mai un porto sicuro, mai una casa accogliente. Ovunque la possibilità di subire violenza. Ovunque il rischio della repressione.

Si tratta di una rivoluzione che tocca la persona a diversi livelli. Non solo sul piano strettamente spirituale, ma più in generale dal punto di vista culturale e sociale.

Lo stesso senso di estraneità lo avverto anche nei confronti dei mass media mainstream, dei quali pure ho fatto parte per decenni, e delle loro narrative. Non sono passati molti anni da quando vi lavoravo, eppure è come se fossero trascorsi secoli. La vicenda della cosiddetta pandemia ha certamente fatto da spartiacque, ma il processo per me era iniziato già prima.

Ora ti dirò qualcosa che ti stupirà, perché tu conosci la mia distanza dal pensiero di matrice marxista. Tuttavia, un quadro della situazione al quale mi sento di aderire l’ho trovato, espresso con grande lucidità, nel libro di un politico comunista. Mi riferisco a I santuari, di Emanuele Macaluso, deputato e senatore del Pci, componente di numerosi commissioni parlamentari (tra cui quella per gli Affari costituzionali), direttore de l’Unità e, per un breve periodo del Riformista.

Ebbene, in quel libro Macaluso, che è morto novantaseienne all’inizio di quest’anno, sulla scia di Leonardo Sciascia (il quale sosteneva che il potere, il vero potere, non è là dove noi pensiamo che sia, ma “è altrove”) afferma senza esitazioni che coloro che prendono le decisioni vincolanti, dalle quali poi dipende il destino di interi popoli, stanno appunto nei “santuari”. E quali sono? Eccoli: massoneria, mafia e servizi segreti, con tutti gli addentellati del caso nell’economia e nella finanza.

Sento già l’obiezione e l’accusa: complottista! Alla quale rispondo: sì, complottista. Perché la storia del nostro Paese è intessuta di trame, macchinazioni e intrighi, con protagonisti ben precisi e una logica che è rimasta costante: mortificare la nazione con la paura (sono sufficientemente vecchio per ricordare bene la strategia della tensione), svuotare la democrazia, calpestare le libertà, assoggettare non solo le istituzioni ma anche, e contemporaneamente, le coscienze. Con l’immancabile supporto di utili idioti.

Il riferimento al nostro Paese, a fronte di fenomeni globali, sembrerà riduttivo, ma lo è solo in parte. Perché “i santuari” hanno sempre avuto un occhio specialmente puntato sull’Italia e su Roma. A motivo, certamente, della posizione della Penisola sullo scacchiere mondiale, ma anche per la presenza, nel cuore dell’Italia, di un uomo vestito di bianco la cui auctoritas e la cui libertas hanno a lungo costituito un ostacolo insormontabile per le trame della triade.

Ma ora quel baluardo è caduto. Certamente, il processo di infiltrazione è incominciato molto tempo fa, ma solo ora si può dire completo e manifesto. L’auctoritas è compromessa, la libertas svenduta. Sicché avvertire un senso di estraneità, sempre più profondo, anche se comporta dolore, non è sintomo di malattia, ma di salute mentale e spirituale.

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Sradicati. Dialoghi sulla Chiesa liquida

Nella Chiesa cattolica è tempo di profonde divisioni, su temi importanti e di grande impatto per i fedeli e anche per coloro che non si professano cattolici. Sul tema, ecco un libro, appassionato e sofferto,  scritto da Aldo Maria Valli, vaticanista, e Aurelio Porfiri, musicista di Chiesa e scrittore. Tutti e due impegnati in una intensa attività giornalistica, hanno condensato in questa pagine ore di discussioni, meditazioni, riflessioni anche controcorrente. Scrive il compianto teologo monsignor Antonio Livi nella prefazione: “Conosco Aurelio Porfiri e Aldo Maria Valli da molti anni, anche se per ragioni diverse. Sono lieto di poter dire alcune parole su questo testo, Sradicati, in cui i due autori cercano di prendere di petto alcuni problemi di pressante attualità nella Chiesa, una Chiesa in grande crisi, quasi liquida, come si dice nel sottotitolo del libro. Aurelio Porfiri e Aldo Maria Valli, gli autori, parlano da cattolici, sinceramente e profondamente credenti, e non temono che quanto scrivono possa attrarre nemici: la verità ha dei diritti che sono anche superiori al proprio tornaconto personale. Come dice il Vangelo, la verità ci farà liberi, non le convenienze dettate da esigenze di carriera… Vorrei dire a questi due miei amici: non vi fate zittire o impaurire da quanti vi ostacolano pubblicamente o di nascosto. Piuttosto, nella consapevolezza certa di difendere la verità del Vangelo dalle eresie o dalle strumentalizzazioni politiche, rallegratevi ed esultate di fronte alla persecuzione! Soffrire per la verità di Cristo su questa terra è un titolo certo di merito per godere della pace e della gioia in paradiso quando nostro Signore Gesù ci dirà: ‘Avanti, servo buono e fedele: sei stato fedele nel piccolo, e io adesso ti concedo un premio grande!’ “.
Un testo scorrevole, ma denso e di grande importanza per il dibattito fra le diverse anime del cattolicesimo nel nostro tempo. Al quale ha fatto seguito Decadenza. Le parole d’ordine della Chiesa postconciliare (Chorabooks, 2020).

Aldo Maria Valli, Aurelio Porfiri, Sradicati. Dialoghi sulla Chiesa liquida, Chorabooks, 2019

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