Quando Agatha Christie chiese al Vaticano di non sopprimere la Messa antica. Storia delle petizioni pro-Tradizione firmate da tanti artisti

di Joseph Shaw

Che cos’hanno in comune gli scrittori WH Auden, Evelyn Waugh, Jorge Borges e Francois Mauriac, il compositore Benjamin Britten, il chitarrista Andrés Segovia e i filosofi Augusto Del Noce e Jacques Maritain? Tutti questi personaggi nel 1966 firmarono una petizione internazionale per chiedere alla Santa Sede di non distruggere l’antica Messa in latino.

Più nota è un’altra petizione, che fu organizzata con lo stesso obiettivo nel 1971 in Inghilterra da Alfred Marnau della Latin Mass Society. Questa fu sottoscritta da un’impressionante selezione dell’élite culturale britannica: c’erano l’editore del Times, il presidente della British Academy, il duca di Norfolk, una coppia di vescovi anglicani e, cosa che fece sensazione, la scrittrice di gialli Agatha Christie.

Spesso si dimentica il fatto che ai cinquantasette nomi della petizione di Marnau se ne aggiunsero altri quarantadue in un elenco, pubblicato in Italia, comprendente un’intera selezione di amici letterati argentini di Jorge Borges e tre americani: l’artista Djuno Barnes, il poeta Robert Lowell e l’accademico francese, diventato americano, Julien Green.

Un altro gruppo di firmatari fece poi appello al Vaticano nel 2006, per dare sostegno morale a papa Benedetto XVI che si stava preparando ad allentare le restrizioni imposte alla Messa antica. Tra questi ci furono il ​​regista Franco Zeffirelli, il filosofo René Girard e l’attore Jean Piat, che doppiò Scar ne Il re leone.

È un mix eclettico, che include personaggi del mondo degli affari, della diplomazia, della politica e dell’università. Ma al suo interno sono gli artisti, i musicisti, i romanzieri e i poeti quelli che si distinguono. Tra i firmatari ci furono infatti otto compositori, quattro direttori d’orchestra, tre membri dell’Académie française e due vincitori del Premio Nobel per la letteratura. E non tutti sono cattolici praticanti. Graham Greene era un cattolico stanco, Malcolm Muggeridge un convertito, e la scrittrice Nancy Mitford, la scultrice Barbara Hepworth e il soprano Joan Sutherland non avevano alcun rapporto con la Chiesa cattolica.

Perché allora si interessarono alla questione della riforma della liturgia cattolica? Il testo della petizione del 1971 spiegava: “Il rito in questione, nella sua magnifica forma latina, ha ispirato una moltitudine di inestimabili conquiste nelle arti: non solo opere mistiche, ma opere di poeti, filosofi, musicisti, architetti, pittori e scultori in tutti i paesi e in tutte le epoche. Esso appartiene quindi alla cultura universale così come agli uomini di Chiesa e ai cristiani formali. Nella civiltà materialista e tecnocratica, che minaccia sempre più la vita della mente e dello spirito nella sua espressione creativa originaria, ovvero la parola, sembra particolarmente disumano privare l’uomo della parola proprio in una delle sue manifestazioni più grandiose”.

Ricorre ormai il cinquantesimo anniversario di questa petizione, e della concessione piuttosto limitata fattale da papa Paolo VI, l’Indulto inglese, trasmesso al cardinale arcivescovo di Westminster, John Heenan, in una lettera firmata da Annibale Bugnini il 5 novembre 1971.

Vale la pena sottolineare ancora la motivazione dell’appello al Vaticano: non nostalgia, non mancanza di immaginazione, non rigida incapacità di cambiamento, ma il riconoscimento, molto spesso proveniente dal di fuori della Chiesa, dell’incomparabile valore culturale e spirituale di quel modulo liturgico.

In un paese non cattolico come la Gran Bretagna i non cattolici dotati di educazione e cultura, e con ampi contatti sociali, incontreranno inevitabilmente la liturgia cattolica. Parteciperanno a matrimoni e funerali cattolici, la troveranno nei libri, nei dipinti e persino nei film popolari, ne vedranno le immagini su Internet. Nel 1970 erano consapevoli che ciò che stavano incontrando era qualcosa di antico, misterioso e profondo, tanto da esserne spesso commossi.

Nel Ritratto di Dorian Grey, Oscar Wilde ha messo nel cuore del suo antieroe decadente il desiderio della bellezza di questa liturgia. Il sacrificio quotidiano, più terribile in realtà di tutti i sacrifici del mondo antico, lo commuoveva tanto per il superbo rifiuto dell’evidenza dei sensi quanto per la semplicità primitiva dei suoi elementi e per l’eterno pathos della tragedia umana che cercava di simboleggiare.

È stata proprio questa la liturgia che ha ispirato innumerevoli conversioni nelle generazioni prima della riforma liturgica. Lo stesso Wilde in gioventù cercò di essere accolto nella Chiesa cattolica, e alla fine lo fece sul letto di morte.

L’unico firmatario sopravvissuto della “Agatha Christie Petition” del 1971 è il pianista e direttore d’orchestra russo Vladimir Ashkenazy. All’età di 84 anni vive in pensione in Svizzera. Come rappresentante della Federazione Una Voce ho avuto modo di entrare in contatto con lui, e il maestro ha accettato l’onorificenza conferita a coloro che hanno dato un contributo speciale al movimento per la Messa tradizionale: la Medaglia de Saventhem, che prende il nome dal presidente fondatore della Federazione, Erich de Saventem.

Nell’accettare il premio, Ashkenazy ha scritto: “La mia opinione personale sulla questione è che è di grande valore spirituale e importanza che la più antica liturgia cattolica latina, con la sua tradizione culturale e musicale, sia preservata per tutti coloro che sono interessati a rafforzare, o almeno a mantenere, la nostra connessione con il Divino; le antiche liturgie, siano esse cattoliche o ortodosse (sono battezzato nella Chiesa ortodossa russa) sono, per impostazione predefinita, destinate a rappresentare una relazione spirituale molto più pura con Cristo in particolare, e con il mondo in generale, di quanto non facciano, per citare il dottor Erich Vermehren de Saventhem, ‘le liturgie piatte, prosaiche, filistee o deliranti che presto travolgeranno e infine soffocheranno anche i riti recentemente rivisti’. Essendo un musicista, sono pienamente d’accordo con l’idea che l’antica, tradizionale Messa cattolica romana ha ispirato una gran quantità di inestimabili conquiste artistiche nel corso dei secoli: opere mistiche, poesie, trattati filosofici, opere musicali di genio, magnifici edifici, meravigliosi dipinti, sculture incredibili e persino la costruzione di meravigliosi strumenti musicali come l’organo e il pianoforte! Per quanto riguarda il pianoforte, i grandi compositori che si sono ispirati alla fede cristiana sono Bach, Beethoven, Liszt, Mozart e Rachmaninoff, i quali furono anche bravissimi pianisti; il punto è che la nostra Fede ha ispirato innumerevoli veri credenti a raggiungere grandi vette artistiche e spirituali, e la conservazione delle liturgie antiche e più autentiche, incommensurabilmente più vicine alla fonte spirituale originale di quelle banali di oggi, potrebbe fare molto per continuare a ispirarci tutti, sia culturalmente sia spiritualmente”.

Non si può negare l’attrazione per l’antica tradizione liturgica avvertita da chi è sensibile alla bellezza della parole, della musica e nell’architettura, nella pittura, nella scultura, nei paramenti usati nella Messa. Occasionalmente, questa realtà viene usata contro i sostenitori del Vetus ordo, accusati di essere “esteti”. In Il cavallo di Troia nella Città di Dio, Dietrich von Hildebrand definì l’esteta come segue: “L’esteta gode delle cose belle come si gode il buon vino. Non le affronta con riverenza e con comprensione del valore intrinseco che richiede una risposta adeguata, ma semplicemente come fonti di soddisfazione soggettiva”.

[…]

Von Hildebrand continua così: “È l’antitesi dell’estetismo apprezzare la grande funzione della bellezza nella religione, comprendere sia il ruolo legittimo che dovrebbe svolgere nel culto sia il desiderio degli uomini religiosi di cercare la più grande bellezza in tutte le cose che riguardano il culto di Dio. Questo corretto apprezzamento della bellezza è piuttosto una conseguenza organica della riverenza, dell’amore per Cristo, dell’atto stesso dell’adorazione”.

Alle osservazioni di von Hildebrand ne possiamo aggiungere una di papa Giovanni Paolo II: “La bellezza artistica, come una sorta di eco dello Spirito di Dio, è un simbolo che indica il mistero, un invito a cercare il volto di Dio reso visibile in Gesù di Nazareth” (Ecclesia in Europa, 60).

[…]

Quando non accusano i cattolici tradizionali di estetismo, gli oppositori dell’antica Messa latina fanno spesso appello a uno stereotipo contrastante. I lettori potrebbero trovare la seguente descrizione stranamente familiare: “…un tipo di individuo che ha bisogno di sentire che il suo ambiente è altamente prevedibile… ha bisogno di sapere dove si trova; e così si aggrappa alle norme: non si “lascia andare”, per paura di dove questo possa condurre; guarda all’autorità come una guida… [Lui] fa anche molto affidamento sugli stereotipi nella [sua] percezione dell’ambiente sociale”.

Questa è una descrizione della personalità “rigida”, o “autoritaria”, fatta dallo psicologo britannico Peter Kelvin nel suo The Bases of Social Behavior, del 1970. Kelvin stava sviluppando una teoria elaborata da Theodor Adorno, che aveva cercato di spiegare il fascismo alla maniera freudiana, in termini di soppressione della sessualità nell’infanzia (The Authoritarian Personality, 1950).

L’associazione di fascismo, rigidità psicologica, attaccamento alle regole (in particolare sulla morale sessuale) e morbosa avversione al rischio veniva applicata ai cattolici fedeli alla Messa tradizionale molto prima che papa Francesco fosse eletto. Questa teoria psicologica è all’avanguardia quanto il battello a vapore, ma ha fatto una forte impressione su quelli educati nella parte finale del ventesimo secolo, perché è servita a screditare chiunque si opponesse alla distruzione di ogni tipo di tradizione.

La teoria di Adorno e Kelvin sostiene che l’assunzione di rischi artistici è incompatibile con la “rigidità”. Tuttavia, il tentativo di associare i difensori della tradizione alla paura del cambiamento e alla mancanza di immaginazione va in frantumi se si considerano le persone che hanno firmato le petizioni per salvare il Vetus ordo. Come diceva il testo della petizione di Alfred Marnau, “uno degli assiomi della pubblicità contemporanea, religiosa oltre che laica, è che l’uomo moderno in generale, e gli intellettuali in particolare, sono diventati intolleranti a tutte le forme di tradizione e sono ansiosi di sopprimerle e di mettere qualcos’altro al loro posto. Ma, come molte altre affermazioni delle nostre macchine pubblicitarie, questo assioma è falso. Oggi, come in passato, le persone istruite sono all’avanguardia nel riconoscimento del valore della tradizione e sono le prime a dare l’allarme quando essa è minacciata”.

Lo stesso Marnau, poeta e romanziere, nel 1939 era stato costretto a fuggire dai nazisti quando questi minacciavano la sua patria (era nato a Bratislava). Aveva questo in comune con i due giganti intellettuali del primo movimento tradizionalista: Dietrich von Hildebrand fuggì dall’Austria, a causa elle sua attività antinaziste, mentre i tedeschi la invadevano, ed Erich von Saveventhem riuscì a passare agli inglesi mentre aveva un incarico nell’ambasciata tedesca a Istanbul nel 1942, essendo implicato nel complotto per assassinare Hitler.

I firmatari non erano né fascisti né reazionari bloccati nel fango. Proprio come il poeta modernista TS Eliot ha difeso il tradizionale Libro anglicano della preghiera comune, così artisti innovativi di ogni tipo hanno difeso l’antica liturgia cattolica. La creatività artistica richiede il coraggio e l’immaginazione per fare qualcosa di nuovo: non richiede la distruzione del vecchio. Al contrario, privare la comune esperienza culturale le espressioni artistiche classiche non stimola la creatività, ma toglie preziose fonti di ispirazione. Nessuno scrittore o artista di valore reale vuole che le nuove generazioni siano private della grande letteratura e dell’arte del passato: non solo gli artisti ne riconoscono il valore, ma queste opere forniscono il contesto in cui le proprie realizzazioni hanno un senso.

Ciò che i firmatari della richiesta di mezzo secolo fa riconobbero è che l’antica liturgia in latino della Chiesa cattolica è una parte insostituibile del paesaggio culturale universale, il paesaggio che fa da sfondo a ogni sforzo artistico. Capirono anche che il suo ruolo in questo paesaggio riguarda l’espressione di profondi valori spirituali: infatti, come sappiamo noi che vi siamo legati, la liturgia tradizionale ha un potere unico di avvicinare a quei valori anche coloro che prima ne erano attratti solo in modo superficiale.

In un momento in cui l’antica Messa è di nuovo in pericolo, dobbiamo ricordare con gratitudine i sottoscrittori degli appelli per la salvaguardia della liturgia tradizionale.

Fonte: onepeterfive.com

Nella foto (via Wikipedia Commons) Agatha Christie nel 1967

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