Eutanasia / Se gli ideologi fanno autogol. Il caso di Jordi Sabaté Pons

Occhi che parlano, ciglia che abbracciano

«Che bella società stiamo creando. Oggi è venuta a trovarmi un’assistente sociale. Mi ha chiesto quale fosse la mia volontà nel caso un giorno mi ritrovassi attaccato ad una macchina o fossi costretto ad alimentarmi artificialmente. Ossia così come lo sono ora. Non era cieca. Poi mi ha offerto l’eutanasia. Uno schifo»

A scriverlo sul suo account Twitter è Jordi Sabaté Pons, un giovane spagnolo che da sette anni soffre di sclerosi laterale amiotrofica, malattia neurodegenerativa caratterizzata da paralisi muscolare progressiva. Sui social si definisce un “attivista e youtuber; da sette anni con la SLA, malattia mortale senza cura. Non posso muovermi, parlare, mangiare né bere e respiro con difficoltà. Amo la vita”.

Nonostante la malattia invalidante e degenerativa il giovane di Barcellona, sposato con Lucia, è un grande comunicatore e amante della vita. Conta quasi 80 mila followers su Twitter e ventimila utenti iscritti al suo canale YouTube dove tiene interviste che chiama “interviste coi miei occhi”. È infatti attraverso gli occhi che riesce a scrivere e parlare coi suoi followers e interlocutori. Spiega lui stesso: «È così che comunico con voi, grazie a dei raggi infrarossi che leggono il movimento dei miei occhi e mi permettono di utilizzare una tastiera virtuale per scrivere e grazie a un riproduttore di voce per parlare». La sua simpatia, l’ironia e soprattutto l’autoironia sono ormai note a followers e amici che lui saluta sempre con “un abbraccio con le ciglia”.

In questi giorni, in vista dell’incontro di calcio tra Spagna e Svizzera valido per le qualificazioni ai Mondiali, Jordi ha ricevuto una maglia autografata dai giocatori delle “furie rosse” e ha voluto ringraziarli con un video in cui non ha perso occasione per ironizzare sulla sua condizione: «Mi avete scritto un messaggio di incoraggiamento per farmi animo… Suppongo che lo abbiate fatto per la mia terribile allopecia. Vi ringrazio per questo dettaglio ma cercate di vincere se non volete che vi investa con la mia Ferrari! Un forte abbraccio a tutti con le mie ciglia!».

Jordi Sabaté si è pubblicamente esposto contro il progetto di legge di eutanasia e ha avviato campagne chiedendo di approfondire la ricerca sulla SLA. Uno dei suoi ultimi appelli al mondo politico recitava così: «Governo spagnolo, partiti d’opposizione, partiti politici in generale. Noi malati di SLA siamo obbligati a morire e non abbiamo aiuti per vivere. È questa la crudele realtà. Abbiamo bisogno di aiuto, per favore!».

Nel marzo 2021 il governo spagnolo ha approvato la legge sull’eutanasia legale (Ley orgánica de regulación de la eutanasia). L’iter di approvazione è coinciso con l’emergenza sanitaria. Un’approvazione lampo ottenuta dal Partito socialista operaio spagnolo (PSOE) che governa con il partito di estrema sinistra Unidas Podemos e con l’appoggio dei partiti indipendentisti e nazionalisti. Così la Spagna è diventato il sesto paese del mondo a legiferare sull’eutanasia e il terzo a legalizzare le due modalità: l’eutanasia diretta e il suicidio assistito. Tuttavia, non è stata approvato alcun piano per le cure palliative.

In occasione dell’approvazione della legge, Jordi scrisse che «la priorità dovrebbe essere investire tutte le risorse sociali ed economiche nei malati affinché non debbano vedersi obbligati a chiedere aiuto per morire».

Di recente, alla porta di questo giovane, modello di speranza e – come direbbero oggi – di resilienza, hanno bussato assistenti sociali per chiedergli se la sua volontà fosse di morire accedendo al nuovo programma di eutanasia, pratica finalmente legale in Spagna.

Un clamoroso autogol per i promotori dell’eutanasia che vengono ora additati come insensibili e incapaci di capire chi avessero realmente davanti: un giovane affetto da una grave malattia ma allo stesso tempo pienamente realizzato e innamorato della vita. Un uomo che offre un messaggio completamente opposto rispetto a quello veicolato da coloro che vogliono spalancare le porte alla possibilità di farla finita innanzi a malattie del corpo e della psiche (come insegnano quelle legislazioni che aprono alla possibilità di eutanasia a causa di sofferenza psichica ritenuta insopportabile).

Per questo la denuncia di Jordi Sabaté Pons ha destato clamore e indignazione, finendo sui giornali e riaprendo un dibattito difficile da moderare e tantomeno da chiudere. Un dibattito nel quale bisognerebbe entrare in punta di piedi, non solo per rispetto dei diversi punti di vista, ma soprattutto (proprio perché di vita umana si tratta) nel rispetto di chi vive in prima persona situazioni di estrema sofferenza fisica e psicologica, spesso senza il sostegno e il conforto della fede o semplicemente di una forza vitale che caratterizza alcuni eccezionali “testimonial”.

Non è però difficile leggere in questo episodio come la cultura della morte, incarnata da posizioni ideologiche lontane anni luce dall’antropologica cristiana, non guardi realmente in faccia all’uomo, ai suoi desideri e alle sue aspirazioni. Come ha recentemente affermato il presidente della Cei Bassetti, «è necessario ribadire che non vi è espressione di compassione nell’aiutare a morire, ma il prevalere di una concezione antropologica e nichilista in cui non trovano più spazio né la speranza né le relazioni interpersonali».

Lo stesso cardinale Bassetti ha ribadito l’incompatibilità tra la cultura dello scarto e la cultura della vita «che è prima di tutto una cultura dell’amore, della gioia e del prendersi cura degli altri».

Mons José Ignacio Munilla, vescovo di San Sebastián molto attivo su social noto per il suo impegno nel campo della comunicazione, in particolare coi giovani e sui temi sensibili, ha commentato la notizia e intervistato il diretto interessato nel suo programma di Radio Maria: «C’era da aspettarsi che l’eutanasia si sarebbe convertita in una sottile e tenace pressione sui più deboli affinché “decidano” di togliersi di mezzo. Ma non immaginavamo che lo facessero così presto e in un modo così sfacciato».

Il vescovo spagnolo ha ricordato agli ascoltatori le parole della lettera Samaritanus bonus: «La miseria più grande consiste nella mancanza di speranza davanti alla morte». «Il cristianesimo ha un messaggio più attuale che mai. La speranza della vita eterna, la speranza che il dolore e la sofferenza non sono l’ultima parola. L’ultima parola è “vita eterna”». Munilla ha inoltre fatto notare che mentre la legge è in vigore da diversi mesi, attualmente si conta un solo caso di richiesta di eutanasia (un caso tra l’altro spettacolarizzato dalla stampa che ha intervistato in diretta un uomo di Madrid mentre l’infermiere incaricato di porre fine alla sua vita suonava al citofono). Il governo ha approvato la legge per rispondere a una presunta richiesta popolare e ad una pressante necessità sociale, ma dai numeri e dalle adesioni si capisce come la legge voglia solamente aprire la porta a un aumento della “domanda”. «Si va dunque generando una cultura di morte. Un’ideologia che vuole insegnare alla società come e quando iniziare e dare termine alla vita. Dall’aborto alla eutanasia» afferma monsignor Munilla.

Intervistato su Radio Maria, Jordi Sabaté ha raccontato il suo stato d’animo dopo la visita dell’assistente sociale. «Sinceramente mi sono sentito attaccato e arrabbiato.  Non potevo credere a quello che mi stavano dicendo. Mi ha molto infastidito. In Spagna abbiamo grandi professionisti che potrebbero aiutarci e molte volte ci dedicano anima e corpo, ma le amministrazioni e le istituzioni non offrono strumenti per farlo in maniera umana. Ad esempio, quando noi malati di SLA abbiamo bisogno di una tracheotomia per continuare a vivere, prima ci chiedono se abbiamo i mezzi economici per sostenere le spese delle cure domiciliari, altrimenti non potremmo accedere al servizio. Io ho la fortuna di avere dei familiari che pagano più di seimila euro al mese per sostenere tutte le spese. Altrimenti mi sarei trovato obbligato a morire da tempo».

Riguardo all’idea dell’eutanasia come un atto di pietà verso il malato, Sabaté afferma: «Offrire l’eutanasia come una forma di pietà è un’atrocità. Per una questione non solo religiosa o medica, ma puramente morale. È necessario investire ogni risorsa per difendere la vita, nella ricerca e nelle cure. Oggi invece si approva una legge sull’eutanasia senza che ci siano aiuti per continuare a vivere. Tutto ciò è inumano». Secondo Sabaté non si tratta affatto di una scelta libera. «Di certo, se vuoi morire puoi sceglierlo. Ma per noi malati di SLA se non hai i mezzi economici non puoi che scegliere la morte. Ho parlato con più di un centinaio di malati di SLA e la maggior parte di loro, se sceglie l’eutanasia, è per mancanza di risorse economiche. Questo è un delitto contro la vita!».

Alla domanda sulla perdita della speranza nella cultura attuale, Sabaté afferma: «In un paio di decenni, i valori in cui abbiamo creduto per centinaia di anni sono caduti a picco. Non mi riferisco solo ai valori cristiani che sono l’essenza della società spagnola, europea e occidentale, ma anche ai valori di etica morale. Abbiamo perso molta umanità e amore nella difesa della vita. Ma io non perdo la speranza che presto torneremo a essere una società come Dio comanda».

E sulla fede risponde: «Anche se non ci crederete, per me non esistono giorni cattivi. Sono stato talmente male all’inizio della malattia che il terrore, il panico e l’ansia che ho vissuto non hanno più spazio nella mia vita. Quando tocchi il fondo c’è una forza che ti fa risalire a galla e da quel momento apprezzi di più le cose positive della vita, che sono molte. Io ho fede in Cristo e Cristo è sempre con noi nei momenti buoni e in quelli cattivi. Aver fede in Cristo mi aiuta, e mi aiuta ancora di più l’amore che provo per la vita. E siccome Dio ha creato la vita, amare la vita è amare Cristo».

Fonte: testadelserpente.wordpress.com

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