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Tutti influencer? I social e la cultura del narcisismo

di Brendan Heard

Vivere tutte le nostre vite online ci sta trasformando in aspiranti “influencer” insulsi e ossessionati da noi stessi, portandoci a fare continui scatti, facendo le facce davanti alla fotocamera e portandoci a dimenticare cosa sia la cultura mentre la vita reale ci passa accanto.
Narcisismo e vanità sono in aumento.  Mentre in passato questi erano considerati vizi, dobbiamo ammettere che oggi, nella nostra distopia al ribasso, queste sono ora considerate vere e proprie virtù. Non c’è più alcuna opposizione morale anche ai selfie più estremi.
Denti finti, sorrisi finti, faccia d’anatra, strati arancioni incrostati di finta abbronzatura e infiniti ritratti personali catturati durante ogni immaginabile momento della vita anche personale fanno parte di ciò che chiamiamo la nostra nuova “cultura di Instagram”.

Ma questi scatti, questo flusso infinito di vignette, non sono la vita reale.  Sono piuttosto lo specchio vano della vita desiderata, i vistosi artefatti di coloro che “cercano di impressionare” incessantemente, indipendentemente dal fatto che stiano effettivamente facendo qualcosa di davvero importante o no.  I social media (in particolare Instagram) sembrano aver svolto un esperimento sociale enormemente influente, influenzando la moda, le relazioni personali, gli appuntamenti, l’occupazione, la politica e il modo in cui pensiamo a noi stessi.  Il modo in cui vediamo e viviamo la vita è alterato dal prisma della riflessione secondo il paradigma per cui tutti guardano tutti. Tuttavia, nonostante l’ascesa di questo narcisismo pubblicamente vidimato, in realtà la vanità rimane un vizio – un’indulgenza negativa, persino pericolosa, sia socialmente che individualmente.  Non c’è mondo, online o meno, in cui la vanità non sia sensatamente considerata un tratto distruttivo, poiché genera opinioni inflazionate, vantarsi, gelosia, disonestà, falsa rappresentazione e, infine, l’egomania inconsapevole del tirannico.  Mentre siamo tutti vanitosi in una certa misura, la moderazione (o, come avrebbe potuto dire Aristotele, l’equilibrio) è necessaria in tutte le cose.  Per la prosperità, la salute e la bella vita.

Ma oggi ogni aspetto banale di una vita personale deve essere catturato, classificato e reso affascinante.  L’ossessione porta a fantastiche imprese di foto ritocco, come ad esempio la tendenza a creare facce divertenti, dove i tuoi veri denti vengono limati fino a strane lapidi frastagliate in modo da poter avere “quel sorriso hollywoodiano” che tutti vorrebbero.  E se questo va bene, allora perché non sottoporsi a un intervento chirurgico allo stomaco, visto che stai andando all’estero?

Questa vanità alimenta il fenomeno della “moda Instagram”, basato sulla premessa che ogni singola persona è potenzialmente una celebrità (un influencer), quindi ogni singola persona deve anche avere indossare marchi di stilisti.  Laddove in precedenza i marchi di stilisti erano case d’arte o gruppi di esperti di moda che fornivano haute couture, ora l’influencer con il maggior numero di follower è quello che decide ciò che diventa di moda.  Gli standard discriminatori dell’estetica all’avanguardia vengono scambiati per un consumismo di massa di etichette poco importa se reali e contraffatte.  Pertanto, le mode stesse sono in gran parte grossolane, oscene e per lo più veicoli per visualizzare loghi di marchi sempre più grandi, come se la grandezza fosse sinonimo di ricchezza.  Come per tutte le cose legate alla vanità, come si può facilmente immaginare, la superficialità regna.

La vita non è più tanto vissuta quanto registrata.  Non è nemmeno registrata nella sua onestà totale, come un documento da lasciare ai posteri, ma nella simulazione sociale della vita stessa che in pratica non esiste. L’individuo è un eroe che recita una parte nel proprio “film della vita”.  Ma anche questo non è strettamente vero, poiché viviamo in un mondo post-reality-TV, dove raramente pensiamo in un quadro di narrazione, o vediamo le nostre vite legate alla narrativa classica, quant o come un’impressione o una vignetta della vita personale di tutti e le sue relazioni sociali.

Questa strana alterazione della visione del mondo sta solo aumentando di portata con le generazioni più giovani.  Con l’apparente perdita della capacità dei genitori di permettere ai bambini di “annoiarsi”, molti bambini non crescono più con una narrazione o una struttura narrativa.  Invece di guardare film, quindi seguire una trama, sono intrattenuti con i tablet che forniscono loro una scorta praticamente  illimitata di video di unboxing su YouTube in una sorta di lavaggio del cervello monotono di sensazioni prive di senso compiuto.

Ci sono bambini di dieci anni che vanno a scuola con ciglia finte, abbronzatura finta, unghie finte, che non possono posare per una foto senza fare “labbra da papera”. È così endemico che alcune scuole devono adottare politiche di prevenzione diretta per evitare certi comportamenti.  Per i giovani adulti, sembra esserci una mania per i video tutorial sul trucco: il trucco stesso è diventato una scienza che richiede un’intensa varietà di accessori come illuminante, primer, stick di contorno e ogni sorta di oggetti correlati.  Inoltre, tutto ciò di cui si sta parlando non è più solo per le donne.  La femminilizzazione del maschio occidentale non è un segreto, ma anzi è apertamente lodata come una conquista. Le ragioni di questa svolta anche verso il maschile dopo migliaia di anni di patriarcato hanno molte possibili fonti: politiche femministe, mancanza di modelli maschili, uso eccessivo di plastica e abbassamento del testosterone dovuto all’uso eccessivo di soia negli alimenti commerciali.  Ma ciò che forse è più inquietante della tendenza al narcisismo è quanto questi influencer (e peggio, le orde di aspiranti influencer) inizino ad assomigliare agli sterili “belli” dell’esperimento dell’utopia del topo di John B. Calhoun.

Calhoun ha racchiuso quattro coppie di topi in un grande recinto completo di tutti i comfort immaginabili per i topi: distributori d’acqua, contenitori per il cibo illimitati, nidi e una totale assenza di predatori.  A questo proposito Calhoun ha detto: “Parlerò in gran parte dei topi, ma i miei pensieri sono rivolti all’uomo”.  Mentre i topi inizialmente prosperavano ed erano fertili, dopo 600 giorni, con ancora spazio sufficiente per raddoppiare il loro numero, iniziarono a declinare, fino all’estinzione dell’intera colonia.

Sembrava che senza predatori, o senza volere, o anche senza nemmeno la necessità di acquisire le proprie risorse, avessero semplicemente perso la volontà di andare avanti.  I giovani topi che sono nati non hanno mai imparato le abilità per sopravvivere e, insieme a ciò, hanno apparentemente dimenticato come vivere.  Tra le aberrazioni e le rotture nelle norme sociali che si verificarono in quel processo c’era il fenomeno delle “belle del gruppo “ che passavano tutto il loro tempo a pulirsi e dormire.  Erano la personificazione definitiva della vita senza difficoltà o lotte.

Pur essendo più belli che mai, persero ogni interesse per il sesso riproduttivo e si estinsero.  Non così utopico, dopotutto.

Qual è la lezione per noi, in questa analogia cupa e familiare?  È questo: quando il lusso abbondante rimuove la sfida e la responsabilità… l’autoestinzione non è lontana.

Quindi stringi quelle labbra e tira fuori il telefono… la gente sta guardando.

Traduzione di Martina Giuntoli

Fonte: visionetv.it

 

 

Aldo Maria Valli:
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