Obbedienza sì, obbedienza no / Coscienza e legge ingiusta. Una guida per cattolici

Cari amici di Duc in altum, è difficile negare che oggi la questione sempre più centrale per noi, sia come figli della Chiesa sia come cittadini, è quella dell’obbedienza. Il rapporto con leggi – siano esse ecclesiastiche o civili – che avvertiamo in coscienza come ingiuste ci mette di fronte a una scelta. In proposito ecco alcune riflessioni di Peter Kwasniewski, autore del libro True Obedience in the Church. A Guide to Discernment in Challenging Times.

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di Peter Kwasniewski

Non è esagerato affermare che per i cattolici che cercano di agire rettamente davanti a Dio e agli uomini discernere la natura e i limiti della virtù dell’obbedienza sta diventando oggi la questione più critica.

Sia nella sfera civile sia in quella ecclesiastica, i cattolici affrontano crescenti pressioni per sottomettersi a sentenze o comandi che sono sempre più in contrasto con l’insegnamento della Scrittura, della Tradizione e persino della ragione naturale. Per quanto riguarda la Chiesa non si può trovare migliore esempio di un diktat così preoccupante di quello del motu proprio Traditionis Custodes di papa Francesco e dei Responsa ad dubia della Congregazione per il culto divino, che limitano l’accesso ai tradizionali riti sacramentali e vogliono la loro eventuale eliminazione dalla vita della Chiesa.

Cosa deve fare un fedele cattolico?

Offro il seguente estratto dal mio libro di prossima uscita, True Obedience in the Church, come analisi di questo aspetto della rivoluzione attualmente in corso nella Chiesa e come invito all’azione pratica per il clero e i laici cattolici.

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Il culto liturgico tradizionale della Chiesa, la sua lex orandi o legge della preghiera, è un’espressione fondamentale, normativa e immutabile della sua lex credendi o legge della fede, che non può essere contraddetta o abolita o pesantemente riscritta senza rifiutare la continuità guidata dallo Spirito della Chiesa cattolica nel suo insieme.

La storia della Chiesa attesta che è stato ripetutamente provato che la Messa è proprio una tale professione di fede, come hanno dimostrato soprattutto le azioni di coloro che hanno cercato di minare tale fede. L’Enciclopedia cattolica è piuttosto chiara su questo punto: “Non c’è bisogno di dire che la Messa… è la caratteristica centrale della religione cattolica. Durante la Riforma e sempre, la Messa è stata la prova. La parola dei Riformatori, “È la Messa che conta”, era vera. Gli insorti della Cornovaglia nel 1549 si sollevarono contro la nuova religione ed espressero tutta la loro causa nella richiesta di togliere il servizio di comunione con il libro di preghiere e di restaurare la vecchia messa. La lunga persecuzione dei cattolici in Inghilterra prese la forma pratica di leggi che erano principalmente contro il dire Messa; per secoli l’occupante del trono inglese fu obbligato a manifestare il suo protestantesimo non con una negazione generale dell’intero sistema del dogma cattolico, ma con un ripudio formale della dottrina della Transustanziazione e della Messa. Come l’unione con Roma è il legame tra i cattolici, così la nostra comune partecipazione a questo, il più venerabile rito della cristianità, è la testimonianza e la salvaguardia di quel legame (Adrian Fortescue, Liturgy of the Mass).

Proprio per questo motivo, solo due gruppi di cattolici (o, dovrei dire, ex cattolici) hanno mai messo in discussione la lex orandi tradizionale: i protestanti, che la rifiutavano perché dissentivano apertamente dalla lex credendi che essa esprimeva, e i modernisti, che credevano che la lex credendi si evolve perpetuamente e deve evolversi, e quindi la lex orandi deve essere mutevole e malleabile per stare al suo passo.

Per lo stesso motivo, la tradizione cattolica riconosce, d’altronde, il solenne dovere del papa nei confronti dell’immemorabile pratica liturgica della Chiesa. Secondo il famoso giuramento pontificio del Liber Diurnus Romanorum Pontificum, prontuario di formulari utilizzato dalla cancelleria pontificia alla fine del primo millennio, il papa giurerà: «Manterrò inviolata la disciplina e il rito della Chiesa così come L’ho trovato e ricevuto tramandato dai miei predecessori”. In uno dei suoi testi approvati, il Concilio di Costanza afferma: «Poiché il Romano Pontefice esercita un potere così grande tra i mortali, è giusto che sia legato tanto più dagli inoppugnabili vincoli della fede e dai riti che devono essere osservati riguardo ai Sacramenti della Chiesa”.

Di moltissime autorità teologiche che potrebbero essere citate, basti ricordare Francisco Suárez, SJ (1548-1617): “Se il papa dà un ordine contrario ai giusti costumi, non si deve obbedirgli; se cerca di fare qualcosa di manifestamente contrario alla giustizia e al bene comune, sarebbe lecito resistergli; se attacca con la forza, potrebbe essere respinto con la forza, con la moderazione caratteristica di una buona difesa” (De Fide, disp. X, sez. VI, n. 16).

Suárez sostiene inoltre che il papa potrebbe essere scismatico “se volesse sovvertire tutte le cerimonie ecclesiastiche fondate sulla tradizione apostolica” (De Caritate, disp. XII, sez. 1). È sempre legittimo per noi voler aderire a ciò che la Chiesa ha solennemente insegnato e praticato.

Già nel IV secolo sant’Atanasio Magno poteva dire ai fedeli: “I nostri canoni e le nostre forme [Atanasio si riferisce alle consuetudini pubbliche della preghiera e del culto, la lex orandi]  infatti non sono stati dati oggi alle Chiese, ma ci sono stati sapientemente e sicuramente trasmessi dai nostri padri” (Lettera enciclica). Dovremmo essere scettici nei confronti delle novità che alcuni uomini di Chiesa desiderano aggiungere alla tradizione o con cui vorrebbero sostituirla, e dovremmo essere disposti a resistere se si cerca di eliminare la tradizione, che è indiscutibilmente parte essenziale e costitutiva del bene comune della Chiesa.

Non dobbiamo obbedienza a un’autorità ecclesiastica se agisce contro il bene comune della Chiesa.

I teologi cattolici sono unanimi nel sostenere che ciò è possibile – l’autorità ecclesiastica può effettivamente agire contro il bene comune – e, cosa ancora più importante, che i cattolici comuni sono in grado di riconoscere quando accade.

In Inghilterra molti cattolici si rifiutarono di partecipare al nuovo rito protestante della Messa dell’arcivescovo Cranmer, anche quando furono incoraggiati a farlo dal clero che preferì la strategia del compromesso con le forze eretiche che arrivarono al potere nel XVI secolo. Anche a costo di disagi e sanzioni, i devoti cattolici inglesi si rifiutarono di partecipare a quello che solo in seguito sarebbe stato chiamato il rito anglicano, e questo ben prima che qualsiasi direttiva da Roma affermasse che il nuovo servizio era “la progenie dello scisma, il segno dell’odio della Chiesa” e che parteciparvi era  “gravemente peccaminoso” (v. William Lilly, England Since the Reformation).

Proprio come i governanti secolari non hanno un’autorità che può prevaricare l’esercizio della ragione da parte di un cittadino e la voce della sua coscienza, così anche nel regno della grazia i governanti ecclesiastici non hanno un’autorità che possa semplicemente spegnere la ragione del credente ed eliminare la sua responsabilità davanti a Dio per amare il bene comune della Chiesa più di ogni bene personale di chiunque altro.

Il sensus fidelium è parte integrante dell’indefettibilità della Chiesa, che troppo spesso viene erroneamente interpretata come una sorta di qualità magisteriale dall’alto, solo della gerarchia, mentre in realtà è una dotazione divina fatta alla Chiesa proprio come entità corporativa. Ecco perché Newman ha potuto osservare che durante la crisi ariana del quarto secolo, “il dogma divino della divinità di Nostro Signore fu proclamato, imposto, mantenuto e (umanamente parlando) preservato, molto più dalla Ecclesia docta [la Chiesa insegnata] che dalla Ecclesia docens [la Chiesa docente]” e che “il corpo dell’episcopato era infedele al suo incarico, mentre il corpo dei laici era fedele al suo Battesimo” (Ariani del IV secolo, Nota 5).

Oggi un vero appello alla coscienza può e deve essere fatto dai cattolici che vedono che i beni vitali vengono loro sottratti con violenza. Questo non è essere “progressisti”; è essere umani e cristiani. È essere giustamente tradizionali, conoscendo e testimoniando il valore perenne di ciò che è stato amato e venerato prima di noi ed è stato sempre tramandato con incrollabile fedeltà.

Fonte: crisismagazine.com

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