“E io, con la mia autorità di sacerdote, invoco sui tiranni il castigo di Dio!”

Cari amici di Duc in altum, ricevo e pubblico l’omelia preparata per il giorno dell’Epifania da un sacerdote affezionato lettore del blog. L’autore, che preferisce restare anonimo, alla fine pronuncia parole veramente forti. Espressioni del tutto inusuali in questa nostra epoca di misericordismo e di ipocrisia da politicamente corretto. 

Aggiornamento

Il sacerdote che ha pronunciato questa omelia, in seguito alla sua pubblicazione, mi ha pregato di render nota questa confidenza da parte sua: “La sera del 5 gennaio, dopo l’annuncio dell’ennesimo decreto ingiusto e discriminatorio, ho letto lo sconforto nel volto dei fedeli che si erano radunati per recitare il Santo Rosario per il nostro Paese. Prima di andare a dormire, davanti al tabernacolo, ho chiesto al Signore di suggerirmi che cosa dire l’indomani per incoraggiarli. Alle due di notte mi sveglio di soprassalto e mi vengono in mente, in modo perentorio, le precise parole che ho poi aggiunto all’omelia che avevo preparato. Al risveglio le ricordavo perfettamente; ciononostante ho deciso di ometterle per ragioni di opportunità. Poco prima della Messa, però, mi sono reso conto che, dopo una richiesta così specifica e una risposta così chiara, non potevo farlo: sarebbe stata una diretta disobbedienza a Dio. Ho quindi obbedito, confortato da una profonda pace del cuore, scevra da qualunque sentimento di odio o di ribellione”.

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«Aperti i loro scrigni, gli offrirono in dono oro, incenso e mirra» (Mt 2, 11).

Nella festa dell’Epifania la Chiesa contempla la manifestazione del Figlio di Dio al mondo: è Dio che si mostra visibilmente nella carne, nella natura umana, a tutti gli uomini. I Magi rappresentano le primizie dei popoli che, grazie all’annuncio degli Apostoli e dei loro successori, verranno alla fede. In questo modo ha cominciato a realizzarsi la profezia che abbiamo appena udito: Isaia vide che Gerusalemme, prefigurazione della Chiesa, avrebbe accolto schiere di figli e di figlie che avrebbero portato in dono le ricchezze dei popoli. La Chiesa oggi abbraccia tutte le nazioni, anche se non tutti gli individui sono ancora cristiani, dato che non conoscono ancora la fede e non hanno ancora ricevuto la grazia del Battesimo; tuttavia la Chiesa è giunta in ogni parte del mondo. Noi professiamo anzitutto questo grande mistero: adoriamo il Signore che, grazie alla Chiesa, è presente in ogni luogo e viene adorato ovunque sulla terra.

Cosa dobbiamo imparare da questa festa?

Prima di tutto il primato dell’adorazione. I Magi erano saggi persiani che avevano anche una dignità sacerdotale, dei sapienti che scrutavano il cielo e avevano notato il sorgere di un nuovo astro. Grazie alle antiche Scritture avevano capito che si trattava del re che doveva nascere in Giudea, ma non di un re qualunque: era il re divino, il re mandato dal cielo. Si erano quindi messi in cammino e, trovato il bambino, nonostante le umili condizioni in cui si trovava in quel momento, si erano gettati ai suoi piedi. Noi dobbiamo imparare da loro a dare all’adorazione di Dio il primo posto in assoluto: in ogni circostanza, in qualsiasi situazione ci troviamo, dobbiamo anzitutto cercare il Signore e metterci alla sua presenza.

Se possiamo andare in chiesa, poniamoci davanti al tabernacolo, dove è realmente presente nel suo corpo, sangue, anima e divinità; gettiamoci ai suoi piedi come i Magi e offriamogli noi stessi. Se non possiamo andare in chiesa, cerchiamolo dentro di noi raccogliendoci nell’intimo, sapendo che l’anima del battezzato in stato di grazia è dimora della Santissima Trinità. Facciamo silenzio nel nostro cuore; non lasciamoci completamente dissipare dalle notizie, dagli avvenimenti, dalle voci, dalle congetture, ma rientriamo in noi stessi il più spesso possibile per cercare la presenza di Dio nella nostra anima di battezzati.

Poi, una volta che, o in chiesa davanti al tabernacolo o nel santuario interiore dell’anima, ci siamo posti alla presenza del nostro Creatore e Redentore, abbandoniamoci a Lui dicendogli: «Tu sei qui; perciò non ho nulla da temere, perché ci sei Tu. Tu sei presente e continui a operare, continui a proteggermi, continui ad assicurarmi tutto ciò di cui ho bisogno. Anche se dovrò soffrire, anche se dovrò lottare, tu non mi farai mai mancare l’indispensabile». Dobbiamo dare a questo atto di adorazione e di abbandono il primato su tutto il resto, su ogni altra attività.

Nell’adorare il Signore, nel riconoscere la sua presenza, dobbiamo anche offrirci a Lui. I Magi portarono dei doni che rappresentavano un omaggio a Colui che era adorato, dei doni relativi alla sua identità, che significavano la sua dignità. Prima di tutto la sua dignità regale: ecco l’oro; poi la sua identità divina: ecco l’incenso; infine la sua missione di Salvatore: ecco la mirra, che veniva usata per le sepolture ed è quindi un preannuncio velato della sua morte redentrice.

Noi possiamo offrirgli doni spirituali che prendiamo da noi stessi. Con la nostra testimonianza cristiana, lo riconosciamo come vero sovrano del mondo, come nostro vero re; perciò gli offriamo l’oro della nostra pubblica professione di fede: siamo cristiani e militiamo quindi per il Signore Gesù. Poi gli offriamo l’incenso della nostra preghiera, che deve diventare un movimento costante della nostra anima. Infine gli offriamo la mirra della mortificazione: il cristiano, come nuova creatura, deve far morire l’uomo vecchio con le sue concupiscenze e far crescere sempre più la vita soprannaturale che ha ricevuto nel Battesimo. Nell’atto stesso di adorarlo, offriamoci dunque a Lui mediante questi doni: la testimonianza pubblica che rendiamo al nostro Re, la devozione dell’anima che si abbandona a Lui riconoscendolo come Dio onnipotente, che può tutto in qualsiasi momento, e la mortificazione delle nostre tendenze cattive.

Dal punto di vista storico, la visita dei Magi alla Santa Famiglia ci mostra altresì gli atteggiamenti che dobbiamo avere di fronte ai tiranni di questo mondo. A Gerusalemme regnava Erode: era un usurpatore, un uomo che non era neanche ebreo, un tiranno sanguinario che aveva ottenuto il potere grazie a una concessione di Roma. Quando arrivano i Magi dicendo che è nato il Re dei Giudei, questo tiranno, evidentemente, si mette in agitazione, poiché sa che il vero Re dei Giudei non è lui, bensì il Messia; chiede quindi ai sacerdoti e agli scribi dove deve nascere il Cristo. Erode è perfettamente consapevole del problema; si rende conto di essere un intruso, perché il posto da lui occupato spetta al Messia, di cui sa che deve venire. I sacerdoti e gli scribi gli rispondono che, secondo il profeta Michea, nascerà a Betlemme. Quei rappresentanti religiosi, conniventi con il potere abusivo di Erode, sanno perfettamente non soltanto che deve nascere il Messia, ma anche dove; eppure rimangono del tutto indifferenti.

Qui c’è un potere religioso e civile che non sta adempiendo il suo compito, lo scopo per il quale sussiste: non sta facendo ciò per cui è legittimato ad agire. Che cosa fanno allora i Magi? Ricevono il compito di andare a informarsi e di riferire a Erode dove sta il bambino; ovviamente egli mente, dato che non vuole adoralo, ma sopprimerlo. Anche questo però – come insegna san Leone Magno – è servito ai piani divini: con la strage degli Innocenti, la notizia della nascita del Messia si è diffusa ulteriormente; la fuga in Egitto, poi, ha fatto sì che il Redentore visitasse anzitempo quella terra avvolta dalle tenebre del paganesimo e della stregoneria, prima ancora che arrivassero gli Apostoli; vi ha portato la sua grazia prima ancora che quel popolo se ne potesse rendere conto. Anche Erode, suo malgrado, ha dunque contribuito al compimento dei disegni divini; ignaro di farlo, sì, ma lo ha fatto. La storia dei Magi ci fa riconoscere che Dio guida i suoi eletti in ogni circostanza, servendosi, nella sua Provvidenza, anche dell’agire dei suoi nemici.

Una volta trovato il bambino, i Magi, avvertiti in sogno, non tornarono a informarne Erode, decidendo così che dovevano obbedire a Dio piuttosto che al tiranno, poiché ai tiranni non si obbedisce. Obbedire ai tiranni è peccato; si obbedisce a Dio – e a Dio solo. Poi si obbedisce agli uomini nella misura in cui quelli legittimamente dotati di autorità esigono ciò che è giusto, ciò che è conforme al diritto, ciò che corrisponde alla volontà di Dio; gli uomini sono soltanto rappresentanti, non autocrati. Se qualcuno si pone come autocrate, detenendo un potere che non è stato legittimato da nulla, né da un’investitura divina, come avveniva in passato, né da un voto democratico, allora quell’uomo, evidentemente, governa in modo illegittimo e non va obbedito.

Noi dobbiamo assolutamente mantenere i nervi saldi, il discernimento vigile e la pace del cuore. Quello che stanno facendo (siccome non riescono a piegare tutta la popolazione ai loro desideri, dettati sostanzialmente dal profitto e anche, probabilmente, da un disegno di controllo globale) è una guerra psicologica che mira a far crollare le persone. Sapendo questo, dobbiamo rispondere nel modo giusto, senza farci coinvolgere, per quanto possibile, conservando la mente lucida e cercando di fare, con l’aiuto della grazia, quello che possiamo. Il Signore ci ispira, facendoci vedere le mosse da compiere e i passi da fare, purché rimaniamo tranquilli di fronte a Lui, in adorazione, senza lasciarci scuotere da nessuna eventualità.

Il regime continua a bombardarci di annunci contraddittori e di disposizioni poco chiare, con provvedimenti di per sé invalidi perché non prevedono sanzioni. Non si tratta necessariamente di provvedimenti coerenti; a parte la loro illegittimità radicale, molto spesso sono annunci che mirano a scoraggiare le persone, a farle sentire impotenti, senza difesa. Noi, invece, abbiamo come difesa il nostro Dio, il nostro Re, Gesù Cristo; dobbiamo perciò perseverare nell’obbedienza a Lui e fare in modo che nulla ci tolga la pace interiore.

Io, con la mia autorità di sacerdote, che mi rende partecipe dell’autorità apostolica, invoco sui tiranni il castigo di Dio. Lo faccio pubblicamente e chiamo voi a testimoni: il tuo popolo, Signore, è testimone di queste parole. Io invoco la tua maledizione su quelli che ci stanno opprimendo, perché possano convertirsi ed evitare il castigo eterno. È il tuo popolo, Signore, che stanno vessando; è il tuo popolo che vogliono portare alla disperazione; è il tuo popolo santo, è questo resto fedele che continua ad adorarti e seguirti, nonostante tutto. Ti supplico di intervenire in suo favore. So che il popolo italiano non lo merita, ma per riguardo ai tuoi piccoli, ai tuoi poveri, a questo resto fedele, ti supplico di intervenire e di togliere di mezzo i tiranni che ci opprimono.

Sia lodato Gesù Cristo!

 

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