Speranza per tutti? L’idea di salvezza universale a confronto con Scrittura, Tradizione e magistero

di Pietro D’Agostino 

Perché l’empio disprezza Dio

e pensa: «Non ne chiederai conto»?

Propter quid spernit impius Deum?

Dixit enim in corde suo: «Non requires»

Ps. 10, 13 = LXX 9, 34

Nel panorama a tratti desolante della predicazione ecclesiale circa il destino eterno delle anime, come da molti rilevato, il tema dei novissimi (morte, giudizio, inferno e paradiso) brilla per la sua assenza, fra silenzi e imbarazzi generali, con funerali trasformati in altrettante canonizzazioni per direttissima e un oltretomba popolato da angioletti paffuti e nuvolette. D’altronde, com’è noto, era la Chiesa cattiva di una volta a battere su queste note, ma la musica è cambiata: ora abbiamo scoperto di essere tutti più buoni. Pare infatti debba essere fissato alla metà del secolo XX il riapparire massiccio dell’universalismo soteriologico, sintetizzabile in proposizioni del tipo “tutti si salvano” o per lo meno “la dannazione è una possibilità alquanto improbabile”. Come se dall’Ascensione di Cristo al 1950 una Chiesa arcigna e popolata di profeti di sventura avesse annunciato delle verità distorte inculcando a torto il santo timor di Dio, finché i profeti del mondo nuovo, destati dal sonno dei secoli, non arrivarono a scuoterla dai suoi vaneggiamenti medievali.

È quindi con grande gioia (e con un sospiro di sollievo) che può essere salutata la pubblicazione, ormai, a dire il vero, non più recentissima, di un saggio di grande impegno teologico e di lettura gradevolissima, benché non sempre agevole per i non addetti ai lavori. Si tratta di Christophe J. Kruijen, Peut-on espérer un salut universel? Étude critique d’une opinion théologique contemporaine concernant la damnation [1], Parole et Silence, Paris 2017, 780 pp. Diciamo subito che il testo è in francese e che non ne esiste, per il momento, una traduzione italiana, benché si stia lavorando a una traduzione in inglese. Si progetta inoltre, per l’avvenire, una versione più agile e divulgativa del testo, la quale, speriamo, potrà essere più largamente diffusa anche in italiano [2]. L’opera costituisce la rielaborazione della tesi di dottorato dell’autore, sacerdote francese incardinato nella diocesi di Metz, addetto di segreteria alla Congregazione per la dottrina della fede dal 2008 al 2016. La tesi, condotta all’Angelicum sotto la direzione di p. Charles Morerod O.P. e discussa nel 2009, è stata decorata l’anno successivo col premio Henri De Lubac, attribuito a studenti particolarmente meritori degli atenei pontifici da parte dell’Ambasciata di Francia presso la Santa Sede e dal Centre Saint-Louis. Possiamo dire, mi pare, che il pedigree dell’autore sia tutt’affatto rassicurante e tale da farci pensare che abbiamo a che fare con qualcuno di competente.

Il corposo saggio, come si desume dal titolo, si concentra sullo studio minuzioso e puntuale di un ambito dottrinale – quello dell’escatologia – in cui la fantasia di certi teologi del ‘900 si è scatenata in maniera intemperante ed estrosa, con risultati quanto mai confondenti, fino ad approdare a quelle posizioni universalistiche oggi tanto diffuse che considerano il Paradiso un diritto dell’uomo e il perdono degli impenitenti un dovere di Dio. In particolare, il libro cerca di lumeggiare quali sono il significato e i limiti della popolare formula “sperare per [la salvezza di] tutti” di balthasariana memoria, indagandone i presupposti teologici e l’eventuale plausibilità in casa cattolica. Con acribia e pazienza l’autore conduce per mano il lettore alla scoperta di quest’ambito così affascinante e anche scivoloso del pensiero recente se non contemporaneo. Scivoloso, eh già. Perché quando si pongono domande dirette in materia a chi pure, per mandato, avrebbe il compito di spiegare le verità riguardanti il destino eterno dell’uomo, le risposte sono ora vaghe, ora contraddittorie, spesso banali, malcerte e confuse. P. Kruijen si è incaricato di chiarire le cose, affrontando i temi caldi dell’escatologia cattolica quali la realtà della dannazione, la possibilità di una rovina eterna liberamente scelta dalla volontà dell’uomo, e, come accennato, la plausibilità (o meno) di fare della salvezza di tutti gli uomini un oggetto di speranza teologale. Senza svelare il finale, possiamo anticipare che la soluzione ai quesiti di partenza ci sembra quanto di più fedele al Magistero perenne si sia sentito dire in materia negli ultimi anni.

Il saggio si divide in due macro-sezioni, precedute da un capitolo introduttivo: la prima sezione (Alcune posizioni contemporanee riguardanti la realizzazione della dannazione, pp. 65-248) esplora le posizioni di due dei padri dell’idea della “speranza per tutti”, ovvero, nell’ordine, Hans Urs von Balthasar e Karl Rahner, spiegandone i presupposti filosofici e gli intenti più o meno dichiarati. La seconda sezione (Panoramica del dato scritturale, tradizionale e magisteriale relativo alla dannazione, pp. 251-643) si occupa della realtà (e non solo della possibilità) della dannazione (reprobatio), cercando di rispondere alle domande: l’esistenza effettiva di dannati è solo il sogno sadico di qualche teologo senza cuore o è un dato di fede chiaramente desumibile dalla Rivelazione e dal Magistero? Ovvero, la realtà della riprovazione fa parte del depositum fidei? Da qui, naturalmente, deriva la messa in questione dei vari slogan, ormai ripetuti fino allo sfinimento, secondo cui la dannazione anche di un solo essere umano contraddirebbe l’infinita bontà di Dio, o secondo i quali la volontà salvifica universale di Dio implicherebbe di per sé che la dannazione esista solo come possibilità teorica, mai realizzata de facto. A tali buffi tentativi della modernità capricciosa l’autore risponde con toni ammirabilmente pacati (ma come fa?) e con la solidità del sano teologare tradizionale.

L’approccio di Kruijen è globale: dopo uno studio delle precedenti posizioni teologiche (in cui sono passati in rassegna, solo per il XX secolo, 26 teologi), si analizzano con pazienza e perizia i dati scritturistici, cui seguono quelli desunti dalla Tradizione patristica, per finire, hoc erat in votis, con le chiarificazioni fornite lungo i secoli dal Magistero ordinario e straordinario, attraverso i sinodi, i concili e gli insegnamenti dei Romani Pontefici. Se il taglio è quello del teologo dogmatico, l’autore non disdegna, specie per rispondere all’uso strumentale che von Balthasar pare aver fatto degli scritti dei mistici, di rivolgere lo sguardo alle opere di alcuni santi. Utile, in tal senso, l’opportuna confutazione dei tentativi di lettura in chiave universalistica che il teologo svizzero tentò di applicare a certi passaggi di s. Teresa di Lisieux e della b. Giuliana di Norwich.

L’impegno profuso dall’autore nella costruzione di solidi argomenti teologici è senz’altro ragguardevole, e le recensioni che il libro ha ricevuto (anche quelle più perplesse circa le conclusioni) non hanno lesinato sugli elogi al rigore metodologico che sta alla base del lavoro. Paradossalmente, ho trovato particolarmente illuminanti alcune considerazioni dal sapore non tanto teoretico, quanto più pratico, e ispirate ad una qualità ormai rara: il buon senso. In effetti, Kruijen considera ad un certo punto gli esiti pastorali che l’ipotesi della speranza per tutti ha verisimilmente provocato (o può provocare) nei fedeli, specialmente laddove essa si ammanti della formulazione insidiosa secondo la quale la dannazione esiste, sì, come possibilità reale, ma questa è in fondo totalmente improbabile [3]. L’autore abborda il problema con grande concretezza nei termini seguenti [4]: “[…] Perché un rischio sia temuto in modo tale che ne teniamo conto nell’organizzazione della nostra vita, è necessario che esso raggiunga o oltrepassi una certa soglia di probabilità […]. Così, la maggior parte delle persone non esita a prendere l’aereo, pur sapendo che esiste una probabilità, certo infima ma tuttavia reale, che esso precipiti. A maggior ragione esse lo prenderanno se nessun aereo è mai precipitato e forse non precipiterà mai. Da un punto di vista empirico possiamo dunque dire, a nostro avviso, che se la realizzazione della dannazione resta incerta, il rischio che essa si realizzi per noi stessi sarà considerato infinitamente improbabile e avrà perciò, almeno nella grandissima maggioranza dei casi, un’influenza nulla o infima sulle nostre decisioni”.

Concludo quindi questa recensione consigliando agli amici più coraggiosi la lettura di questo contributo prezioso, nell’attesa che ne venga prodotta una versione più maneggevole a vocazione divulgativa.

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[1] Si può sperare una salvezza universale? Studio critico di un’opinione teologica contemporanea riguardante la dannazione.

[2] Ringrazio l’autore p. Kruijen per le informazioni in merito (corrispondenza privata del 9/2/2022).

[3] Cf. p. 549, n. 74, commentando le considerazioni ottimistiche di Ottmar Fuchs, Das Jüngste Gericht. Hoffnung auf Gerechtigkeit, Regensburg, Pustes, 2007 (20092).

[4] Cf. p. 550. I corsivi sono nostri.

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