Noi, i decreti ingiusti, la resistenza. La lezione di Antigone

di Aldo Maria Valli

Vi racconto una storia.

Due fratelli, dopo la morte del padre, si contendono il trono. Uno riesce a esiliare l’altro e diventa re. L’esiliato però torna nella sua città a capo di un esercito straniero. C’è una battaglia e i due fratelli si uccidono reciprocamente. Re della città diventa il loro zio, il quale decide che i due cadaveri non possono essere trattati allo stesso modo. Se il corpo del fratello morto per difendere la patria sarà sepolto con tutti gli onori, quello dell’altro fratello dovrà restare sul terreno, esposto agli animali e alle intemperie. La decisione del re viene resa nota a tutti i cittadini e prevede che chiunque cercherà di seppellire il cadavere del secondo fratello sarà messo a morte.

I due giovani hanno due sorelle, due ragazze, una dolce e timida, l’altra coraggiosa e dotata di un forte senso della giustizia. Proprio per questo suo carattere, la seconda sorella non accetta che il cadavere di uno dei suoi fratelli resti insepolto e così, nonostante il divieto del re, cerca di seppellirlo. Scoperta, è condannata dall’inflessibile sovrano a una morte terribile: murata viva all’interno di una grotta. E tutto questo nonostante il figlio del re, promesso sposo della ragazza, abbia scongiurato il padre di non emettere una sentenza tanto dura. Anzi, è proprio il re a trascinare la giovane con la forza all’interno della caverna.

Ma ecco che un indovino predice al re grandi sventure se non libererà la ragazza. La grotta viene dunque aperta e si scopre che la giovane, per non affrontare una lenta agonia, si è tolta la vita. Abbracciato a lei c’è il giovane promesso sposo, che si è fatto murare insieme all’amata. Lui è ancora vivo ma, non appena vede il padre, si uccide a sua volta, e lo stesso, davanti a una simile tragedia, fa la regina. Il re, dunque, ha vinto, perché la sua legge è stata applicata, ma a quale prezzo!

Se la storia non vi risulta nuovissima avete ragione. Ha in effetti duemilacinquecento anni ed è l’Antigone di Sofocle. Una storia che mi è tornata alla mente nei giorni dei lockdown, delle ingiunzioni continue, della narrativa costruita sulla paura e sul disprezzo verso i non allineati.

Antigone, la giovane che non accetta di lasciare insepolto il cadavere del fratello Polinice, incarna i resistenti, coloro per i quali la giustizia viene prima del diritto. Antigone è la voce della giustizia primigenia, incisa nel cuore, un bene supremo che in date circostanze può entrare in conflitto con il diritto stabilito dai codici promulgati da chi ha il potere di farlo.

Di Antigone si occupò Simone Weil, che negli anni Trenta, durante un periodo di lavoro in fabbrica per condividere la condizione dei più poveri e più deboli, pubblicò in proposito un breve testo nel giornale di fabbrica, Entre nous, allo scopo di far conoscere agli operai quella storia emblematica e aiutarli a capire ancora meglio che cosa significhi resistere, soffrire e lottare.

Nel suo testo (si può leggere in Filosofia della resistenza. Antigone, Elettra e Filottete, edito da il melangolo) la filosofa francese mette subito in chiaro il significato che ha per noi l’Antigone di Sofocle: “Il soggetto del dramma consiste nella storia di un essere umano che, completamente solo, senza alcun sostegno, entra in contrasto con il proprio paese, con le leggi del suo paese, con il capo dello Stato, e che naturalmente è subito messo a morte”.

Ci sono diversi modi di essere messi a morte, e durante la cosiddetta pandemia lo abbiamo visto bene. Privare del lavoro e dello stipendio, impedire di esercitare i diritti più elementari, dipingere i resistenti come nemici dello Stato e del bene comune. Questo è oggi il modo in cui il Leviatano, moderno re Creonte di Tebe, mette a morte chi non si allinea, chi intende far valere la giustizia primigenia rispetto alla ragion di Stato.

Quando Creonte decide che la memoria di Polinice deve essere maledetta dal popolo di Tebe, per far valere la sua disposizione utilizza il mezzo di cui i tiranni si avvalgono da sempre: la paura. Ma Antigone dice no. E può dirlo non solo perché è una ragazza di indole coraggiosa, ma perché in lei il senso della giustizia non è stato ancora spento.

Quando Creonte attacca Antigone cercando di convincerla che i cadaveri dei due fratelli non possono essere trattati allo stesso modo, la giovane risponde con parole che da duemilacinquecento anni parlano al cuore e alla mente di tutti: “Io non sono nata per condividere l’odio, ma l’amore”. Parole che oggi, di fronte alle divisioni fomentate dal Leviatano e dai guardiani del pensiero unico, ci parlano in modo ancora più chiaro e intenso.

Simone Weil fa notare che, nel momento in cui viene trascinata da Creonte verso la caverna per essere murata viva, Antigone non avverte attorno a sé il minimo segno di solidarietà. Nessuna umana simpatia, nessuna traccia di pietà. Quelli che si trovano lì, al contrario, le ricordano freddamente che avrebbe fatto meglio a piegarsi, a non disobbedire. E anche questa circostanza parla direttamente a noi, perché è qualcosa che stiamo vivendo.

Creonte, dunque, apparentemente vince, nel senso che il suo decreto viene rispettato, e colei che non vi si è conformata paga l’insubordinazione con la vita. Ma chi vince, veramente?

La morale viene tratta dai cittadini di Tebe con le poche righe che Simone Weil cita a conclusione del suo scritto: “Le parole altezzose degli uomini superbi si pagano con terribili sventure; è così che invecchiando essi imparano la moderazione”.

I nostri Creonte ammetteranno mai di essere stati altezzosi e superbi? Impareranno mai la moderazione? Difficile dirlo. Certamente, in mancanza di persone come Antigone, saranno spinti a perseverare nella loro alterigia.

 

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