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Il più grande distruttore della pace è l’aborto. Ditelo all’Oms

di Wanda Massa

“Il più grande distruttore della pace oggi è l’aborto, perché è una guerra diretta, un’uccisione diretta, un omicidio commesso dalla madre stessa. […] E noi, che stiamo qui, i nostri genitori ci hanno voluti. Non saremmo qui se i nostri genitori non lo avessero fatto. I nostri bambini li vogliamo, li amiamo, ma che cosa è di milioni di loro? Tante persone sono molto, molto preoccupate per i bambini in India, per i bambini in Africa dove tanti muoiono, di malnutrizione, fame e così via, ma milioni muoiono deliberatamente per volere della madre. E questo è ciò che è il grande distruttore della pace oggi. Perché se una madre può uccidere il proprio stesso bambino, cosa mi impedisce di uccidere te e a te di uccidere me? Nulla”.

Era l’11 dicembre 1979 quando Madre Teresa di Calcutta pronunciava queste parole in occasione della cerimonia in cui le fu assegnato il Nobel della Pace.

Con estremo candore veniva affermata una verità tanto evidente, quanto negata, perché in completa antitesi con l’ideologia dominante, oggi capillarmente diffusa attraverso l’agenda 2030.

La pratica dell’aborto volontario, o della salute riproduttiva, come ipocritamente viene definito nell’anti-lingua, è un prerequisito essenziale al perseguimento degli obiettivi della green economy, in cui l’uomo, un tempo immagine di Dio, è invece generalmente considerato cancro del pianeta.

Il Comitato per il Nobel, nelle successive edizioni, ha prontamente rimediato a quell’imbarazzante errore.

Esattamente trent’anni dopo (nel 2009) conferì l’ambito riconoscimento a Barack Obama, neo presidente degli Usa, eletto grazie ai buoni offici della lobby abortista, cui restituì il favore con i suoi primi due atti da premier: finanziamenti federali per le multinazionali che promuovono l’aborto nel mondo e liberalizzazione dell’aborto a nascita parziale, una forma particolarmente cruenta di infanticidio.

Oggi, quando la politica degli Stati Uniti e dell’Unione europea (Italia in particolare) ci espone al rischio di un conflitto nucleare, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) pubblica un documento di oltre duecento pagine in cui chiede la legalizzazione dell’aborto sempre e comunque, ovvero senza alcun limite gestazionale e senza ammettere obiezione di coscienza.

Il corposo documento porta l’inquietante titolo di Abortion care guideline.

La cura dell’aborto è un ossimoro, che ripugna alla ragione, prima ancora che alla fede.

Quale cura può ricevere una madre che porta in grembo un figlio per nove mesi non per farlo nascere, ma perché venga ucciso?

Non è piuttosto una ghiotta opportunità per le organizzazioni abortiste che fondano il loro business sul commercio dei tessuti prelevati, a cuore battente, dai feti abortiti? Tessuti che sono tanto più remunerati quanto l’età gestionale del donatore è avanzata.

Non a caso a pagina 170 del documento in questione, dove sono indicate le più significative organizzazioni partner nell’attuazione delle linee guida, invitate dall’Oms rivedere le bozze prima della stesura ufficiale, figurano le principali multinazionali abortiste: International Partners for Reproductive Justice (Ipas), International Planned Parenthood Federation (Ippf), Marie Stopes International Reproductive Choices (Msi), Pathfinder International e Population Services International (Psi).

Alcuni ricorderanno i video pubblicati nel 2015 dall’attivista pro-life David Daleiden, dove compassati funzionari della Planned Parenthood illustravano il listino prezzi di acquisto per tessuti e organi di feti umani. Quei filmati portarono alla luce l’immondo  business che si cela dietro questi centri di prevenzione della salute e nel 2019 costarono a Daleiden la condanna a risarcire Planned Parenthood per il danno di immagine procurato all’azienda.

È stato possibile raggiungere un simile abisso di depravazione grazie al progressivo affermarsi dell’ideologia animalista e utilitarista, che hanno soppiantato la concezione della sacralità della vita umana.

Il più illustre esponente di questa linea di pensiero è Peter Singer, filosofo, docente presso le Università di Princeton e di Melbourne.

Singer sostiene non soltanto aborto e eutanasia, ma anche l’infanticidio. Lo giustifica in base alla Tesi della sostituibilità” (Replaceability argument) in base alla quale è preferibile per i genitori sopprimere il bambino malato per rimpiazzarlo con un “nuovo progetto creativo”.

È quanto abbiamo visto sistematicamente attuarsi negli ospedali inglesi con l’uccisione di bambini, la cui vita è stata arbitrariamente giudicata indegna di essere vissuta, da Charlie Gard ad Alfie Evans.

Nel 2021 a Singer è stato conferito il Premio Berggruen del valore di un milione di dollari, assegnato annualmente a pensatori le cui idee “hanno profondamente plasmato la comprensione e il progresso dell’io umano in un mondo in rapida evoluzione”.

Le recenti posizioni assunte dall’Oms a favore della liberalizzazione dell’aborto-infanticidio e dell’annientamento di ogni relativa obiezione di coscienza ne costituiscono la tragica prova.

Non so se la crisi politica in Ucraina degenererà in un conflitto mondiale, tuttavia per annientare il genere umano non è necessaria una guerra nucleare, è sufficiente l’insinuarsi in ampie fasce della popolazione di questa mentalità malvagia e anti umana.

Perciò è necessario ricordare l’ammonimento di Madre Teresa di Calcutta: l’aborto è il più grande distruttore della pace.

Ditelo all’Oms.

È in gioco la nostra sopravvivenza di essere umani.

 

Aldo Maria Valli:
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